Avete presente la fede?
John è nel deserto. Non possiede nulla, se non qualcosa di molto piccolo che stringe gelosamente tra le mani, con una forza che quasi provoca dolore.
John è nel deserto, privo di tutto se non di un minuscolo gnocco di vita: un piccolo seme.
Quel deserto sono le persone, ed il seme è nient’altro che quell’isola con la quale ha subito scambiato uno sguardo d’intesa, che ricambiando quell’occhiata salda delle sue pupille gli ha assicurato che il destino non necessita di una ragione; che le cose capitano, indipendentemente dal nostro ragionevole controllo, e che per lui andrà tutto bene.
Anche dopo l’ultimo traguardo che disegna il trapasso di un corpo, ma non di un’idea. Per un’eterna rimembranza che è quasi equipollente al valore espresso, con leggera saggezza, in vita.
In uno dei confronti più antichi, la ragione ha dovuto riconoscere che il terreno fosse troppo saturo di quel diorama di speranze che rafforzano la bellezza del “come“, più che quella del “perché“.
John ha vinto senza giocare, quando ha capito che il momento del riscatto era giunto ormai da sé.
Ha affondato i piedi in ognuno di quei granelli di sabbia che sono le persone, che coesi aumentano la forza di gravità attirando prepotentemente ogni pesante passo al suolo, rendendo tutto più complicato con la diffidenza.
Ha camminato nell’affollato miasma di pessimismo e macchinosa ricerca di spiegazioni, dove la forza per continuare a camminare non è mai stata, tuttavia, insufficiente.
Poi si è fermato, adocchiando il punto giusto in cui seminare il suo contenitore di fede; dove, esattamente, cominciare a sperare in quell’isola. Sempre lì, al cospetto di granelli di identità che avrebbero potuto, o meno, cominciare a sperare con lui.
John si inginocchia e, senza temere il fallimento, sotterra quel seme battezzato dal sudore della sua fronte.
Perché John l’ha guardata negli occhi la vita; e quello che ha visto è bellissimo.