Maestoso, indimenticabile, sublime. Le Avventure di Pinocchio – disponibile su Rai Play – è un’opera senza tempo che riesce a toccare le corde dell’anima anche a distanza di mezzo secolo. Lo sceneggiato in cinque episodi scritto e diretto da Luigi Comencini è andato in onda per la prima volta su Rai 1 nella primavera del 1972 ed è considerato ancora oggi una delle serie tv italiane migliori di sempre. Liberamente tratta dall’omonimo romanzo per ragazzi di Carlo Collodi del 1881, la miniserie è stata scritta a quattro mani con la sceneggiatrice Suso Cecchi d’Amico. De Le Avventure di Pinocchio esiste anche una versione più lunga in sei episodi e una versione più corta in formato film, anche questa disponibile su Rai Play insieme a tante altre perle rare.
La volontà di sviluppare il progetto nasce agli inizi degli anni ’60, ma le sfide rallentavano continuamente i lavori. Oltre ai vari impedimenti, il problema più grande consisteva nell’adattare nella versione live-action tutti quegli elementi fantastici che permettevano a un burattino di parlare, camminare, mangiare e bere. Molti cineasti ci hanno provato senza successo, persino Federico Fellini, ma Comencini riesce a trovare il compromesso ideale. Decide di apportare alla storia originale delle modifiche necessarie per arginare l’ostacolo “burattino”: ad esempio Pinocchio non diventa un bambino solo alla fine della storia, come avviene nel romanzo, ma viene trasformato già dal primo episodio.
Cosa rende la versione di Comencini un capolavoro sospeso nel tempo?
Un burattino di legno artigianale, una scenografia brulla, costumi scarni ed essenziali, orecchie di pezza, baffi finti e parrucche colorare. Certo, all’epoca lo sceneggiato era all’avanguardia, ad esempio fu uno dei primi ad andare in onda a colori, e per il burattino di legno era stata realizzata una versione meccanica che rendeva i movimenti credibili. Però se la paragoniamo ai moderni riadattamenti cinematografici, come i coloratissimi e sofisticati Pinocchio di Benigni del 2002 e Pinocchio di Garrone del 2019, la miniserie di Comencini dovrebbe farci sorridere per tanta ingenuità. Invece si pone ancora a un livello insuperabile e li schiaccia con una potenza poetica inaudita. Le Avventure di Pinocchio è la prova che non servono troppi effetti speciali e budget stellari per creare un’opera immensa: l’importante è avere una storia potente e saperla raccontare con sensibilità ed empatia.
Comencini ha puntato sul realismo e ha affievolito i toni fiabeschi tipici delle versioni animate, come quella della Disney del 1940 e quella di Giuliano Cenci del 1972; oppure pensiamo alla miniserie Rai del 2009 diretta da Alberto Sironi e interpretata da Luciana Littizzetto e Margherita Buy e ai lungometraggi di cui abbiamo appena parlato. In questo modo la miniserie non è più ascrivibile al genere fantastico, ma diventa un’opera drammatica e ancora vicina al neorealismo.
Il regista ha trovato un equilibrio unico e perfetto.
Da un lato le vicende sono inserite in una dimensione realistica, anzi sembra quasi di essere nell‘Italia del dopoguerra, affamata e ostile: un ricordo ancora vivido tra gli spettatori degli anni ’70. Dall’altro lato invece, Comencini è riuscito con estrema sapienza a limare ogni coordinata temporale rendendo eterni sia i personaggi che le tematiche trattate. Questa delicata miscela è l’ingrediente che manca nelle altre versioni ed è ciò che permette allo spettatore di emozionarsi ancora oggi. La ricerca delle location è stata un’operazione certosina e alla fine hanno scelto un’ambientazione contadina tra i borghi aridi, spogli e poveri delle campagne romane e viterbesi – e non toscane – che fanno da sfondo ideale a una storia straziante.
Nel progetto non c’è una sola nota stonata o casuale.
La scelta del cast è stata studiata nei minimi dettagli e Comencini ha optato per attori con un bagaglio comico. Il primo nome pensato per interpretare Geppetto fu addirittura quello di Alberto Sordi, invece decisero per Nino Manfredi, il quale quest’anno avrebbe compiuto 100 anni. L’attore di origini ciociare veste alla perfezione i panni di Geppetto e lo arricchisce con quella malinconia e sofferenza che ha vissuto in prima persona. Gina Lollobrigida ha reso la Fata dai capelli turchini il simbolo della dolcezza materna che allo stesso tempo sa essere severa e giusta. C’è un solenne Vittorio De Sica nelle vesti del giudice mentre Franco Franchi e Ciccio Ingrassia donano ai personaggi de il Gatto e la Volpe quei tratti tipici della furbizia popolare, scaltra e disperata.
E non da ultimo, il pestifero Andrea Balestri.
Un bimbetto di 8 anni con l’argento vivo addosso scelto tra 3000 candidati per interpretare il burattino più famoso del mondo, nonostante non avesse mai recitato prima. Il ruolo di Lucignolo è stato affidato a Domenico Santoro, incontrato in giro per l’Italia mentre il regista realizzava I bambini e noi, un documentario a puntate dove intervistava i bambini di ogni estrazione sociale, ma con un occhio di riguardo alle fasce più povere, al lavoro minorile e all’istruzione.
Comencini ha sempre avuto un rapporto speciale con l’infanzia e ha saputo raccontarla in tutte le sue opere con disincanto, intelligenza e mai con toni paternalistici. Scegliere un principiante per il personaggio principale non è stata una soluzione facile, ma lui voleva proprio quel ragazzino naturalmente vispo e bischero. Nelle numerose interviste Andrea Balestri ricorda le fatiche che la troupe ha sostenuto per girare quasi ogni scena, ad esempio quella sulla tomba della Fatina: dopo innumerevoli ciak, non riuscendo a piangere spontaneamente, suo padre l’ha preso da parte e gli ha dato un bel ceffone. Per non parlare poi dei dissapori sul set tra Lollobrigida e il piccolo Andrea!
La colonna sonora da pelle d’oca.
A coronare la narrazione e a rendere lo sceneggiato una preziosa opera d’arte ricordiamo la colonna sonora composta da Fiorenzo Carpi: delle melodie indelebili che scaldano il cuore. Tra gli effetti sonori più suggestivi c’è il continuo fruscio del vento che crea inquietudine, dà la sensazione del freddo tagliente e delle notti gelide. Oppure il cicaleccio del Grillo Parlante, la coscienza di Pinocchio: una semplice ombra proiettata sui muri scalfiti che con quella vocina chiara e solenne ammonisce sia noi che il burattino.
La sceneggiatura de Le Avventure di Pinocchio è stata riadattata molto rispetto al romanzo, a differenza del film di Roberto Benigni, il quale ha cercato di aderire in maniera maniacale alla storia scritta da Collodi. Eppure il capolavoro di Comencini risulta nella sua essenza quello più vicino alla natura dell’opera ottocentesca, mantenendo le stesse sfumature tristemente ironiche e perfino satiriche. In entrambi i progetti emerge la volontà di approfondire il momento dell’infanzia nei suoi aspetti più controversi e di descrivere il percorso di crescita con i suoi ostacoli, la ribellione, la sfrontatezza e l’insofferenza giovanili verso le regole del mondo adulto. Sia Collodi che Comencini sono riusciti a sfruttare la favola per raccontare degli argomenti importanti, come la povertà, la solitudine, il divario sociale, l’analfabetismo, i metodi educativi e tante altre questioni che erano sentite sia a fine ‘800 che negli anni ’70, e forse ancora oggi.
Il filo rosso che unisce entrambe le opere è la fame.
Una fame atavica che il popolo italiano ha sempre sofferto. Nel Pinocchio di Comencini non avvertiamo mai la sensazione di essere in una fiaba, per questo tutte le difficoltà affrontate da Geppetto e dagli altri personaggi ci fanno soffrire e ci stringono la bocca dello stomaco. Dal racconto emerge una società ostile e per nulla solidale. Gli elementi grotteschi e surreali si mescolano al contesto povero dando vita a delle situazioni realistiche popolate da personaggi archetipici che è possibile ritrovare nella nostra vita quotidiana. C’è Geppetto, il buono e lo sconfitto. Mangiafoco (Lionel Stander) che, come dichiara a Pinocchio, sembra cattivo ma cela un animo sensibile. Poi ci sono gli approfittatori, come il Gatto e la Volpe, i burocrati ottusi e intransigenti e così via.
Come scrivono Anna Antonini e Chiara Tognolotti nel loro libro Burattini animati. Le avventure di Pinocchio nel cinema animato italiano, la miniserie era:
Destinata a un pubblico vasto e composito, essa, analogamente alla versione disneyana, si radica profondamente nell’immaginario degli spettatori al punto da sovrapporre in maniera quasi indelebile le immagini al romanzo, confondendo le linee narrative presenti nel testo scritto con quelle sviluppate nella versione televisiva.
Di certo la fortuna dello sceneggiato è dovuta al fatto di essere stato riproposto a oltranza sui canali Rai, ma la sua fama non viene dalla diffusione capillare. L’amarezza che Comencini è riuscito a imprimere sulla pellicola ci raggiunge anche oggi a distanza di 50 anni e, nonostante i nostri gusti siano influenzati da espedienti tecnologici sempre più raffinati, ha ancora la capacità di farci venire i brividi.
Con semplicità, purezza e un’acuta sensibilità, Le Avventure di Pinocchio racconta una storia potente e per farlo non si avvale di nessun artificio sofisticato: la malinconia è l’unico effetto speciale capace di raggiungere gli spettatori di ogni epoca e di ogni età.