Siamo nel 2021 e parlando di College, in pochissimi coglierebbero il riferimento a uno dei più eclatanti e soddisfacenti casi di trash televisivo che l’Italia ci abbia mai regalato. Chi scrive non esagera, perché questo articolo, se fosse stato scritto cinque anni fa, poteva anche iniziare così:
“Caro diario, ieri ho scoperto che nessuna delle mie amiche, tutte mie coetanee, ha mai visto College in vita sua. Ho quindi sentito l’obbligo morale di colmare questa incresciosa lacuna la sera stessa, con l’emozione di chi sta per correggere un imperdonabile errore del destino e nel contempo, regalare un’epifania clamorosa, che inspiegabilmente non ha illuminato la strada di queste ragazze, quando il tempo lo richiedeva. Ahimè..”, continuerebbe sempre questa ipotetica pagina di diario “..mi sono scontrata con una delusione quasi inaccettabile. Non solo le mie amiche non hanno provato un istantaneo e travolgente entusiasmo alla visione delle avventure di Arianna e le sue compagne collegiali ma oltretutto, hanno iniziato crudelmente a fare a pezzi questo capolavoro degli anni novanta. Sottolineando ogni buco di trama, ogni pessima scelta stilistica e aggiungendo sterili polemiche sul non rispetto del politically correct, del femminismo, del contesto razziale e via discorrendo.”
Come se i cardini su cui si regge l’universo del trash si lasciassero scuotere da questi concetti.
Inutile dire che mi sono ritrovata a riconsiderare ognuna di queste decennali amicizie, chiedendomi quali tipo di affinità siano stati capaci di avvicinarci se la visione di College ha evidenziato un divario così inaccettabile.
Questo ha portato a una doverosa considerazione sulla serie televisiva con protagonista Federica Moro. College, come altre perle prodotte in quella istrionica decade dalla tv generalista italiana, doveva essere vista nel suo contesto storico. Con gli occhi di un* ragazzin* che sognava di poter essere rinchius* in un istituto come il Victoria College, vedendo trasformata la punizione che aveva spinto i genitori a una simile scelta correttiva, nell’esperienza formativa della vita.
Urge andare per gradi, perché ormai è stato necessario accettare (cinque anni dopo la mia scoperta), che moltissime persone non hanno mai visto College in vita loro.
Partiamo dalla trama. Siamo come già detto negli anni novanta, in Italia e nei pressi di Livorno. La scatenata e frizzantissima Arianna Silvestri, interpretata appunto dalla bellissima Federica Moro, finisce nel Victoria College, dove il suo temperamento anarchico e attacabrighe (la nostra ci guida la moto, alza spesso le mani, fracassa vasi della dinastia Ming come se fossero piatti dell’Ikea e ha come unico obiettivo di vita, quello di provare a scatenare un infarto simultaneo ai suoi tre ingessatissimi tutori legali), proverà a essere ammansito dalla rigidissima Professoressa Müller.
Manco a dirlo, Arianna è più ricca di un monarca britannico e quindi passa il suo tempo a fare shopping, scorrazzare sulla moto e dare il tormento al bellissimo e sbruffoncello Marco Poggi.
E qui, i puristi di College mi alzeranno la mano per segnalare un doveroso bug nel sistema. Già, perché la serie è stata pioniera di quell’escamotage narrativo che oggi sistema ogni problema di sceneggiatura degli spin-off della Marvel e non solo. Ossia l’utilizzo dell’universo alternativo.
Perché la serie è tratta dal film del 1989, intitolato appunto College, dove Arianna finisce al Victoria College, in forma correttiva a causa del suo riottoso e spendaccione caratteraccio e dove incontra, fortuitamente, il bel Marco Poggi. Cadetto dell’Admiral Academy, istituzione navale dirimpettaia del collegio femminile di Arianna. I due si provocano, si stuzzicano, s’innamorano, lui la insegue e lei se la tira peggio di Roberta Ruiu delle Lollipop ma alla fine, la costanza di Marco, trionferà sulle resistenze di Arianna.
Oggi Marco, verrebbe querelato per stalking e pignorato di ogni suo bene terreno, grazie alla sentenza a favore della capricciosissima protagonista. Nella serie invece, Arianna e Marco (che nel mentre ci cambia pure interprete e nazionalità), stanno insieme e vivono un tira e molla che Temptation Island può solo imitare e Arianna si iscrive al Victoria College, giusto appunto per controllare che il cadetto non le compri un corpicapo cornuto, di cui il suo sfarzoso gaurdaroba non sente la necessità.
Ma proseguiamo con la trama dei due universi paralleli che alla fine si ritrova nei protagonisti e nel nesso narrativo, ossia nei dispetti e nei corteggiamenti, che cadetti e collegiali si riservano per tutte le puntate. Ora qui, una ragazzina nata nell’86 che vede la serie tutti i pomeriggi, mangiando un Cornetto Algida e sognando un Marco Poggi tutto per sé, non può che iniziare a spasimare.
Arianna è femminista al massimo livello che gli anni novanta consentivano a un’adolescente di essere in tv, senza che i genitori sentissero il bisogno di spegnere il televisore. È arrogantella, sfrontata, smaliziata, furba e molto arguta. Arriva nel collegio livornese per ultima e diventa subito la capa indiscussa delle studentesse annoiate che già lo frequentavano.
Che ovviamente, sono assortite con la stessa inquadrata originalità che la decade del tempo promuoveva. Siamo negli anni delle Spice Girls e di Non è la Rai dopotutto, (Arianna potrebbe essere la sorella maggiore televisiva di Ambra, senza neanche troppi sforzi immaginari). Abbiamo infatti Cinzia, l’intellettuale tecnologica con i fondi di bottiglia sugli occhioni azzurri, Vally la sportiva, Beatrice la bellona spocchiosa e riccona (ve la siete immaginata bionda, vero? E infatti avete ragione) e Samantha, che manco a dirlo come ogni Samantha televisiva che si rispetti, corre dietro ai ragazzi neanche fossero la palla e lei Mbappé.
I cadetti amici di Marco, che come come vogliono le regole cosmiche televisive dell’epoca, si accoppierano con la loro controparte femminile di corrispondenza: secchione con secchiona, sportivo con sportiva e snob con snob, sono dei Thunderbirds che non ci hanno creduto abbastanza ma capaci di farci sognare di essere corteggiate anche noi in quella maniera.
Perché dunque College dovrebbe meritare il titolo di prototipo di femminismo televisivo, nonostante questo esubero di cliché stantii?
Perché tolte le banalità caratteriali dei personaggi, il terribile doppiaggio (specie quello dedicato ai personaggi di differenti etnie, tipicamente scimmiottati come nella gran parte dei film italiani trasmessi in tv in quella decade), le ragazze di College erano la risposta italiana al Girl Power che dilagava in quegli anni nel mondo. Arianna era la versione coatta e stilizzata della paladina per eccellenza del primo femminismo, Elizabeth Bennet. Versione che andava sicuramente corretta e rivista ma che per lo meno si slacciava da tutte le proposte televisive di quegli anni che volevano le ragazze adolescenti in continua lotta tra loro per aggiudicarsi il bello della scuola (vedi alla voce Beverly Hills) o che cercavano di emergere in un contesto scolastico e lavorativo che le vedeva sempre e di buon grado da parte loro, marginali.
Le ragazze di College nel loro piccolo, piccolissimo universo, erano disobbedienti e spregiudicate, volevano i ragazzi ma li volevano alle loro regole, erano amiche per quanto diverse fossero e mai rivali e coglievano ogni occasione, per provare a trasgredire le rigide regole che il collegio imponeva loro.
Riguardare College oggi, non può che strappare qualche sorriso imbarazzato e far roteare molteplici occhi verso il cielo: ma come poteva, una bambina di poco più di cinque anni, non restare affascinata da Arianna e le sue amiche che pattinano vestite come Occhi di Gatto per fare uno scherzo memorabile o non sognare di ricevere una serenata, con tanto di trombe e marcetta, da Marco il sottone per farsi perdonare di qualcosa che nemmeno sapeva di aver fatto?
(Titolo dell’elaborata serenata : “Ma che ti ho fatto Arianna? Perché ce l’hai con me?” E il cantautorato italiano, muto.)
Cioè ragazzi, questo per strapparle un appuntamento, si paracaduta di fronte a lei, rifiutandosi di far aprire il paracadute se lei non gli sventola il fazzoletto per aria, in segno di consenso.