I cassetti della memoria si riempiono man mano che gli anni passano. Ci sono cose belle, cose brutte o cose che semplicemente sono lì perché è giusto che ci siano. Aprire i cassetti della memoria e trovarvi i ricordi della nostra infanzia è ritrovare un mondo che credevamo perduto per sempre. Tutto ciò che è necessario fare è chiudere gli occhi e guardarci dentro. Questo è anche lo scopo della nostra rubrica: Ti sblocco un ricordo. Vogliamo portarvi indietro nel tempo, vogliamo entrare nella vostra mente e visitarla insieme a voi. Vogliamo aiutarvi ad aprire cassetti della memoria che non ricordavate di avere, nel grande armadio della vostra vita seriale (come abbiamo fatto con Lupin III e Sampei). Chiudete gli occhi quindi e iniziate a immaginare, non prima però di aver letto la parolina magica che sbloccherà il vostro ricordo, il titolo della serie tv di cui oggi vi vogliamo parlare. Prima di rivelarvelo però, vogliamo iniziare con la sua sigla. Una intro musicale iconica, che per chi scrive è in assoluta la migliore di tutte quelle mai prodotte per una creazione televisiva animata: quella di Ken il Guerriero.
Una musica a tratti psichedelica, a tratti cupa, che ci incute subito timore riverenziale e che crea un alone di mistero intorno all’anime, come misteriose sono le mostruose forme più o meno grandi, ma sempre inconoscibili, dei nemici che appaiono nella sigla di Ken il Guerriero. L’unica figura che risulta chiara e distinta è proprio quella del nostro eroe, che si muove in un mondo post apocalittico permeato dalla malvagità e dalla violenza. E poi ci sono le parole stupende di quella sigla, che rimarranno per sempre. “Mai, mai scorderai l’attimo, la terra che tremò. L’aria s’incendiò e poi silenzio. E gli avvoltoi sulle case sopra la città, senza pietà. Chi mai fermerà la follia che nelle strade va? Chi mai spezzerà le nostre catene? Chi da quest’incubo nero ci risveglierà, chi mai potrà? Ken, sei tu, il fantastico guerrieeeeeero!”.
Ken il Guerriero, la nascita di un mito
Ken il guerriero viene pubblicato per la prima volta in Giappone nel 1983 sotto forma di manga sulle pagine di Shōnen Jump della Shūeisha, in 27 volumi. Gli autori sono Tetsuo Hara e Buronson, pseudonimo dello sceneggiatore Yoshiyuki Okamura. Il successo è istantaneo e l’anno successivo viene subito prodotta la relativa serie animata. In Italia Ken il Guerriero giunge solo nel 1987 ma è da subito un successo. Entra di diritto nei cartoni di fine anni ’80 più amati dagli spettatori che, nonostante la violenza dei combattimenti, si lasciano incantare dalla narrazione e dalla profondità dei personaggi. In Ken il Guerriero le emozioni fanno la parte del mattatore, grazie a uno sviluppo della trama a dir poco avvincente, capace di farci capire il vero spirito dell’amicizia, dell’amore e della fedeltà. Tutte queste emozioni vengono infatti messe a contrasto con la violenza, la follia e la malvagità dell’uomo. Insomma, una storia iconica che ha raggiunto una fama globale.
E se da un lato questo successo è imputabile alla perfezione dei disegni, dalla già citata sceneggiatura e dal protagonista, tra i migliori mai apparsi in un anime, parte del boom di Ken è anche dovuto al momento storico in cui è approdata sui teleschermi. Va infatti ricordato che l’Italia e il resto del mondo, in quel periodo, vivevano la fase conclusiva della guerra fredda, sotto la costante minaccia nucleare. Ken il Guerriero infatti racconta di un mondo post apocalittico, distrutto dall’uso indiscriminato di testate atomiche, che hanno reso il pianeta arido e condotto l’umanità ad un regresso tecnologico. Bande di prepotenti violenti controllano città e persone, imponendo la loro volontà basata sulla semplice legge del più forte. L’ambientazione era quindi per certi versi molto verosimile e già trattata in opere cinematografiche di successo globale come il fantastico Mad Max.
Il messaggio di Hokuto no Ken: le parole come estensione dei pugni
Benché inizialmente si nasconda dietro a combattimenti, poco alla volta si scopre che il filo conduttore dell’intera serie tv ruota intorno al concetto di famiglia, accettazione, perdono, redenzione. La crudeltà, l’aggressività e il famelico desiderio di supremazia restano allora solo un contorno, un mezzo utile per veicolare il messaggio della narrazione. Nel corso di tutte le puntate che compongono le due parti dell’anime, assistiamo così alla maturazione psicologica, fisica ed anagrafica dei protagonisti. Li vediamo crescere, evolversi, sacrificarsi e morire. Li osserviamo cadere e rialzarsi, piangere e sorridere. Ken il guerriero, quindi, si tramuta in una produzione animata dall’incredibile forza comunicativa, in cui i personaggi vanno oltre il banalissimo dualismo di bene e male, di eroe e villain, per divenire simbolo, mito, leggenda. Più della violenza e dell’amore, è la tristezza a essere protagonista nelle lande desolate di Ken il Guerriero.
L’anime infatti non inscena battaglie in cui l’adrenalina e la spettacolarizzazione sono gli elementi predominanti. Anzi, tutt’altro. I duelli finali, alle volte, durano relativamente poco tempo, ma è il preambolo ed il contorno narrativo a rendere ogni singola lotta un concentrato di pathos ed epicità. Pur senza lesinare in virtuosismi visivi, Ken il Guerriero si focalizza soprattutto sulla dimensione umana dei guerrieri, sulla loro emotività, sulle ragioni che li spingono a combattere. Insomma, su quello che li ha resi quello che sono. Le loro parole ed i loro sguardi diventano quindi la linfa vitale che da forza ai loro pugni, che vengono scagliati quasi fossero un’estensione fisica della loro emotività. Nessun combattimento appare mai davvero fine a se stesso, inserito per il solo gusto di intrattenere lo spettatore. In buona parte degli scontri, d’altronde, a ferire gli sfidanti sono più i dialoghi che i cazzotti. In questo modo, le battaglie assumono connotati molto coinvolgenti, empatici e umani. Battaglie che “mai, mai scorderemo”.