Ah, Misfits. Chi si ricorda del gruppo di disadattati più assurdo del Regno Unito? Creata da Howard Overman e Vince Pope e andata in onda dal 2009 al 2013, Misfits è rimasta per anni imbattuta nel suo genere. Nata come un teen drama atipico, nel senso che sia i protagonisti che il target erano adolescenti ma non si incentrava sull’ambiente scolastico, si trasforma in uno sci-fi ancora più atipico ed è qui che cambia tutto. Perché all’epoca il genere superoeroistico non aveva neanche lontanamente lo stesso appeal di oggi né era così saturo. L’unica altra serie tv sui supereroi era Heroes.
Misfits: Da grandi poteri derivano… grandi responsabilità?
Così come per Heroes, la differenza di trattazione del genere rispetto a oggi è palese. Molto prima del fenomeno The Boys, Misfits apriva la strada agli eroi anti-eroi, ma senza l’ufficialità dei prodotti successivi. Anzi, anche sforzandoci, ci verrebbe difficile mettere Nathan o Simon nella stessa categoria di Billy o del Patriota. Questo perché in Misfits non si è mai accennato al termine “supereroe” seriamente con tute, mantelli e via discorrendo. L’unico momento in cui ci si è arrivati vicini è in un episodio della seconda stagione e nella terza stagione con Simon ma, anche in quel caso, il suo scopo era concentrato su Alisha e non sul mondo.
In Misfits non ritroviamo la parabola dell’eroe per caso, come anche nell’anticonformista (almeno per gli standard di oggi) The Boys. I nostri sono sempre focalizzati su un uso egoistico e pasticciato dei poteri e l’unico motivo per cui si scontrano con altri “dotati” è per salvare la pelle. Di base guardavamo la serie perché era divertente, perché la chimica tra personaggi così diversi era forte, perché volevamo vedere quanti guai avrebbero causato e perché volevamo capire che potere aveva Nathan. La serie era figlia di un approccio ancora molto spensierato e a loro, come a noi del resto, non interessava molto approfondire i massimi sistemi o le cause e le motivazioni stesse dei poteri. I Misfits, e noi con loro, erano politically scorrect nel modo di parlare, di agire ma anche di approcciarsi ai poteri e all’idea di “bene più grande” (inesistente) e andava bene così.
Lo sci-fi per dummies
A braccetto con la stessa leggerezza, Misfits introduce uno sci-fi vacillante e fluttuante, come direbbe un Dottore di nostra conoscenza. E questo ci porta a un paradosso di oggi: tanto la nostra comunicazione esterna è super-semplificata, tanto i prodotti come serie tv e film sono diventati eccessivamente cervellotici e seriosi. Così sono andati sparendo i filmoni ingenui, chiassosi e trash degli anni ’90 (compresi quelli sui supereroi) e sono entrate in scena epopee sulle origini e sulla psiche umana, storie cupe e complesse, in cui s’intravede quasi sempre la macchina della sceneggiatura e della mente degli sceneggiatori.
Misfits, nel suo anticonformista disinteresse, introdusse una fantascienza fumosa e caotica con il solo scopo di raccontare una storia. Così come per l’origine dei poteri, non si è mai preoccupata di dare spiegazioni, di riempire ogni buco di trama o di basarsi su evidenze scientifiche. E a noi, in realtà, è sempre andata bene così. Ragioniamoci: quando mai in passato ci siamo fatti domande sulle fonti scientifiche di Doctor Who o sul senso di Super Mario Bros. o sul costume del primo Batman di Burton?
Cosa è cambiato?
Pur nata nel periodo in cui qualcosa stava già cambiando, Misfits portava avanti lo spirito underground della periferia britannica: scorretta, profonda senza essere cervellotica, caotica e sincera. Non a caso nella stessa epoca veniva fuori Skins, che in modo più drammatico raccontava lo stesso mondo. Ogni personaggio era onesto nei suoi difetti, nei suoi pregi, problemi e sì, anche indifferenze. Perché, se a noi poteva sembrare assurdo che nessuno di loro usasse i poteri a fin di bene e anzi volesse liberarsene, il loro comportamento era molto più vero di una qualsiasi serie che oggi mette subito il mantello da eroe al primo disadattato.
In questi quasi tredici anni sono cambiate molte cose e questo è chiaro confrontando i vari Skins, Misfits e Daria con i 13 Reasons why e The end of the fu***ing World. La sincerità di cui parlavamo prima non si rifà solo ai dialoghi spontanei, onesti e diretti (guardiamo te, Nathan) ma anche alla realizzazione dei personaggi, che oggi sono più costruiti e filtrati.
La sensazione era che per creare ottime storie bastasse buona atmosfera, dialoghi frizzanti, ambientazione poco elaborata e una macchina da presa manuale. L’importante era la storia in sé e le sue radici nella parte più emotiva di noi, non il contorno. E, anche se avevamo fatto meno passi avanti in termini di libertà sociali, paradossalmente ci si sentiva più liberi di esprimersi su una grande varietà di argomenti. Basti ricordare la storyline di Curt che scopre di poter diventare donna, con tutti i limiti e i vantaggi che il genere comporta. Impensabile al giorno d’oggi.
Questo non vuol dire che oggi sia male, anzi: quando gli ottimi progressi in tutti i campi, dalla fotografia alla musica, incontrano una buona sceneggiatura, i risultati possono essere eccellenti. Basti guardare un Breaking Bad a caso. Tuttavia è molto spesso il contrario e ci troviamo prodotti bellissimi esteticamente, ma poveri di contenuti. Il risultato è che guardiamo con nostalgia, nostro malgrado, alle serie tv del passato.
Perché la bellezza, per quanto gioia per gli occhi ed esercizio tecnico fenomenale, non è tutto. Gli esseri umani sono fatti di emozioni e i prodotti del passato, più diretti e spontanei, ci fanno ancora ridere, arrabbiare, piangere ed emozionare come la prima volta. Il cosiddetto “politicamente scorretto” faceva comunque riflettere, perché colpiva alla pancia dello spettatore, ma in modo neutrale. Probabilmente, se Mistfits andasse in onda oggi, non avrebbe lo stesso successo. Come spettatori assistiamo le migliorie digitali e tecniche ci hanno reso il palato più raffinato, ma allo stesso tempo c’è una libertà di espressione forse più conformata e meno spontanea.
Non siamo più quelli di Misfits, perché ricerchiamo prodotti più belli, più cervellotici, che continuino probabilmente a sfidare una società che ormai ha visto quasi tutto. Allo stesso tempo, però, abbiamo perso un po’ di quella leggerezza, che non è superficialità, di quella scorrettezza che era anche personalità.
Forse la chiave giusta sarebbe trovare un nuovo equilibrio, che ci riporti alle emozioni più impulsive senza rinunciare alla giustizia sociale né alla curiosità sperimentale.