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Six Feet Under è l’unità di misura della morte, la profondità da scavare per creare una fossa nell’umida e desolata terra, ponendovi una bara da affidare all’eternità, sei piedi sotto. Alan Ball veste i panni del genio e li indossa alla perfezione, deliziando la platea con una delle serie più geniali e soprattutto “impensabili” dell’intero panorama seriale.
Tra fantapolitica, tra storie di uomini distrutti e rinati, tra fantasy, antieroi, drammi, commedie e horror, nessun essere al mondo, avrebbe mai potuto neanche lontanamente pensare che le vicende di una famiglia di necrofori e becchini, potessero diventare oggetto di una serie tv. Ecco perchè il termine “geniale” è assolutamente idoneo, calzante e come non mai meritato, dallo scrittore e produttore esecutivo di questo straordinario capolavoro, Alan Ball.
La Fisher e Sons è un’azienda che lega le sue fortune finanziarie al tasso di mortalità, agli incidenti stradali, alle morti banali, accidentali, sul posto di lavoro. Il business della morte. Un’ azienda che trae vita e linfa vitale, dalla morte altrui, la morte come vita.
Non sono tantissime le serie profonde, originali e sublimi come Six feet under, una serie che renderà chiunque fragile e facile bersaglio di emotività. La riflessione più grande della serie è legata al senso della morte, il senso tragico, il senso puro, il senso ironico, quello tragicomico e il senso inesistente. La vera convinzione dell’uomo è che la morte non abbia alcun senso, e probabilmente molti filosofi nichilisti, estremizzandone il concetto, insisterebbero sul fatto che neanche la vita ne possieda uno.
I grandi pensatori come Epicuro che hanno sostenuto l’inutilità della riflessione sulla morte, perchè “quando ci siamo noi, non c’è la morte e quando c’è la morte, noi non ci siamo“. Qualcun altro come Heidegger sostiene lo sviluppo vitale che è nella stessa morte, l’uomo che avverte il malessere suscitato dall’idea della morte vive un’esistenza autentica, una vita consapevolmente costruita sul fatto che nulla è per sempre.. Sconfinato è il pensiero critico dei filosofi sul tema della morte e la verità è che ognuno di noi dinnanzi ad essa è un occasionale filosofo ed un piccolo poeta, ognuno dà alla morte un senso differente, un significato opposto e un’idea divergente.
Six Feet Under, ha il merito di fare uscire fuori dall’anima di ogni spettatore, un valore e significato unico, personale ed inaspettato, sul tema che più di tutti paralizza ed incupisce l’esistenza umana.
Questa serie merita di essere vista per innumerevoli motivi, il senso mai ben definito ed univoco della morte, il modo in cui viene vissuta l’omosessualità da David Fisher, le riflessioni profonde dei personaggi, lo humour nero che ci permette di ridere sull’assurdo e sull’impensabile, le situazioni tragicomiche.

Il finale è di una semplicità commovente e disarmante con le note placide e malinconiche di Breathe me di Sia, che accompagnano il viaggio in auto di Claire Fisher. La linea del percorso di Claire diventa una riproposizione simbolica della linea del tempo, prima di completare il suo personale percorso, si incrociano le vite terminate delle persone a lei care. Il viaggio diventa una perfetta metafora della vita, un viaggio che ci fa incontrare persone fantastiche e ci regala momenti di gioia e di inguaribile sofferenza, un viaggio che ha per ognuno di noi la stessa ultima destinazione. Un tragitto in compagnia dello stesso passeggero con la falce, colei che ci è sempre accanto dall’inizio di ogni cosa. Six feet Under è uno sceneggiato seriale unico, sincero e profondo, molto di più dei semplici “sei piedi“
Il più grande mistero, la più grande certezza
Davide Settembrini