L’UNDERDOG DEI PERSONAGGI DELLE SERIE TV AMERICANE: STEVE URKEL!
E arriviamo lui, forse uno dei miei personaggi preferiti, di sicuro l’underdog per eccellenza di ogni tempo. Siamo in “Otto sotto un tetto” (se volete sapere che fine hanno fatto tutti i personaggi, eccovi accontentati ), le vicende della famiglia Winslow procedono senza grossi problemi, ci sono le trame, i personaggi funzionano, insomma, tutto ok.
Però manca un personaggio comico: serve semplicemente un ridicolo buffone che entri qualche volta, faccia fare quattro risate e vada via, magari innamorato e deluso, tanto deve essere pure sfigato.
Così nasce Steve Urkel, inizialmente, come detto, non previsto (entrerà solo dalla 12° puntata della prima stagione). Quello che gli sceneggiatori non sapevano è che sarebbero stati inondati di lettere di richieste dai fan per rivederlo.
Di punto in bianco si cambia la sceneggiatura, il comprimario deve diventare protagonista assoluto, i fan impazziscono per lui.
E così assistiamo, stagione dopo stagione, alla consacrazione del nerd (una ventina d’anni prima che Sheldon Cooper lo rendesse socialmente desiderabile), vestito in modo improponibile, dimenticato dai genitori che non compaiono mai ma lo mandano dai vicini (i Winslow appunto) ogni volta che possono, incapace di esprimere un sentimento sincero senza fare gaffes di cui lui stesso non si capacita (esprimendo il concetto con un sono stato io a fare questo? suo marchio di fabbrica). Ebbene, un personaggio così diventa l’idolo di quegli anni, ma perchè?
Per un motivo, a mio modo di vedere, abbastanza semplice quanto inaspettato: in un mondo in cui, ancora oggi, ad attirare è lo scarto, ovvero la distanza che c’è tra noi e un tipo di personaggio, che sa mescolare la nostra realtà e la nostra fantasia, Steve Urkel si presentava come l’alter ego di ognuno di noi, modello di quella parte timida, sincera, ingenua e innocente che già negli aggressivi e consumistici anni ’90 non era esattamente da fighi far vedere.
Ecco, Steve Urkel rivendicava per tutti noi il diritto di sbagliare, di essere imperfetto; tra tanti personaggi stereotipati, volente o nolente, era l’unico personaggio umano e per questo la gente lo amava e non lo voleva perdere, mai!
Quindi il suo sogno d’amore con Laura doveva diventare realtà: ma appunto perchè Laura non lo avrebbe mai amato, Steve stesso, simbolo anche dell’inventiva di ognuno di noi in caso di necessità, crea il suo doppione, Stephan, il suo contraltare, provando a lanciarci un messaggio che forse solo in quel contesto è passato inosservato. Steve era innamorato di Laura e avrebbe fatto tutto per lei (e nelle puntate lo dimostra, arrivando a volte a farci picchiare il televisore per quanto lo trattano male) tranne una cosa: cambiare se stesso.
Steve preferisce “ri-crearsi” piuttosto che cambiare: è un invito ad amarsi anche nelle proprie evidenti imperfezioni (il suo modo di vestire non cambierà mai o quasi mai) e nello stesso tempo ricordarci che non c’è nessun difetto che possa essere di ostacolo per un sogno o una trasformazione. Steve non cambia, ma diventa qualunque cosa, da cuoco (disastroso) a detective in una puntata fatta per essere la parodia di Dick Tracy e dei 10 piccoli indiani di Agatha Christie, a mille altre cose ancora.
E tutto questo probabilmente non appariva fuori ma in molti lo sentivano dentro di sè ed è per questo che non hanno mai smesso di essergli affezionati.
E arriviamo così alla fine, che è forse la parte che più mi piace degli underdog: quando un underdog che ha vinto la sua scommessa col pubblico chiude il suo ciclo, ritorna quasi magicamente nel silenzio da cui è partito. È un personaggio (o prodotto seriale) completo, che nella sua completezza non chiede nient’altro che di essere riletto o rivisto. È come un buon libro: non aggiungi pagine in più a ciò che già hai. Paolo Bitta, Steve, Il Dr. Brown e tutta Everwood, resteranno nei cuori di parecchi, ma saranno custioditi, senza essere più discussi, come ricordi personali e preziosi, perchè un amore finito “bene” (e per certi personaggi non si può parlare altrimenti) lascia con sè quel silenzio prezioso dell’assenza che è per ognuno un rapporto unico e speciale con se stessi, che ci smuove dentro anche se non lo ammetteremmo mai.
E così lasciamo tornare i nostri underdog nell’oblio, ma in fondo, nel paradiso dei personaggi che hanno concluso da vivi la loro storia, li immaginiamo con un sorriso beffardo mentre guardano le nuove vicende, i nuovi protagonisti e tutti i dibattiti dei fan: loro, in fondo, di tutto questo casino non hanno mai avuto bisogno. Dal silenzio sono nati, nel silenzio son tornati e ognuno da loro ha preso forse la lezione più importante: non serve per forza essere famosi per essere fighi, a volte basta semplicemente restare se stessi