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#VenerdìVintage – Se Joey avesse scelto diversamente

dawson's creek
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Joey Potter osservava il panorama da una finestra del modernissimo appartamento che condivideva con Dawson; era la casa di un regista, e si vedeva: alle pareti del salotto non erano appese riproduzioni di Van Gogh o Monet, ma ritratti in bianco e nero di attori famosi e le locandine dei film di Spielberg.

Quelle immagini le piacevano per la loro eleganza, però le mettevano anche addosso una certa inquietudine: forse ricordavano troppo la collezione di fotografie di Clara Calamai in Deep Red.

Sorrise. Dawson era un po’ strano, però Joey si augurava davvero di non vederlo mai perdere la testa come l’assassina della pellicola di Dario Argento; no, non sarebbe stato da lui: il suo uomo somatizzava i dolori in silenzio, non avrebbe ceduto alla follia per niente al mondo. Era un artista malinconico e sognatore, non uno psicopatico.

 Joey

Osservò la strada trafficata più in basso, e i passanti che camminavano sul marciapiede; alcuni arrancavano svogliatamente, altri invece si mettevano in mostra come se fossero su una passerella.

La Città degli Angeli. Un covo di aspiranti celebrità, speranze infrante, sgualdrine e talent scouts che non conosceva mezze misure: potevi essere bellissima o orribile, buona oppure perfida, intelligente o stupida, ma non potevi stare nel mezzo (buffo che il tempio sacro del cinema fosse così schifosamente piatto, no?).

 joey

Ed era buffo che proprio lei e Dawson fossero finiti laggiù. Sì, era stata una necessità dovuta al lavoro di lui, un piccolo sacrificio votato a una promettente carriera registica… Joey lo comprendeva, eppure la monotonia di una città che aveva fatto dell’apparire il proprio Credo le suonava come un presagio fastidioso, quasi che lo spazio attorno volesse prenderla in giro per la sua decisione.

Per l’ingenuità della giovinezza, la quale l’aveva portata a preferire un amore poetico e fiabesco a uno più rude, ma anche più vero.

 joey

Chiuse gli occhi, e il sole le dipinse all’interno delle palpebre un caldo colore arancione: la stessa sfumatura intensa che aveva scorto per anni nei tramonti di Capeside; si portò le mani al viso e si sfiorò le guance con le dita, continuando a sfogliare nella mente i particolari della cittadina in cui era nata.

Il luccichio della luce sul mare, le velette delle barche che respiravano pigramente l’aria salmastra; e poi i quartieri dove la gente abitava, illudendosi di essere in vacanza tutto l’anno. Il chiacchiericcio attorno al liceo, al mattino presto e dopo la fine delle lezioni.

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Joey l’aveva visto una volta sola, però sapeva bene che tra i caratteristici ristorantini che nel giro di pochi decenni erano spuntati come funghi a Capeside (un dono dell’incremento del turismo in quella città incantevole e dimenticata da Dio) ce n’era uno gestito da Pacey Witter: immaginò il vecchio amico affaccendarsi ai fornelli con allegria, senza essere capace di rimproverare i camerieri quando sbagliavano a trascrivere le comande o rovesciavano i boccali di birra addosso ai clienti… Dopotutto, il suo non era un locale di quel tipo. Non un posto per ricconi, ma un semplice punto di ritrovo per adolescenti che uscivano a mangiare un hamburger: adolescenti come erano stati loro, con tanta fame e al massimo venti dollari in tasca.

Non riaprì gli occhi, lasciando che le labbra si curvassero in un altro sorriso mentre si sforzava di penetrare l’atmosfera del ristorante di Pacey. Aroma di carne alla griglia, pesce croccante appena fritto, spezie.

Joey aveva sempre sperimentato queste emozioni in compagnia dell’ex fidanzato: profumi, figure, dettagli che si potevano assaporare con i sensi e toccare con mano; quando stavano insieme sapeva di essere viva, perché la presenza di Pacey la teneva legata alla realtà, al qui e ora.

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Con Dawson era differente. Da ragazzo egli abitava in un film ed era solito trascinare con sé chiunque gli fosse abbastanza vicino; e Joey aveva trascorso tutto il periodo del liceo lottando contro la mancanza di pragmatismo dell’amico, solo per cadere nella sua affascinante trappola una volta cresciuta: forse gli anni trascorsi a Parigi l’avevano indebolita, facendole anelare un luogo sicuro in cui rinchiudersi per non pensare. O forse il ritorno a Capeside in occasione delle nozze di Gail le aveva provocato una fitta di nostalgia dell’infanzia, talmente forte da spingerla a gettare le braccia al collo di Dawson e lasciarsi rapire dalla visione romantica del mondo che lui nutriva.

E allora aveva scelto Dawson, e rifiutato Pacey.

joey

Era stata una frase del vecchio compagno di giochi a conquistarla: “Il contrario di vivere non è morire: il contrario di morire è nascere… Vivere non ha nessun contrario”; tali parole le avevano riempito gli occhi di lacrime di gioia, perché Jen era morta da poco e tutti loro avevano bisogno di credere che la vita potesse non finire mai. Dawson le aveva dato ciò che voleva, le aveva aperto un universo di avventure e infinite possibilità: sì, Joey aveva accettato di abbandonarsi a quella rassicurante fantasia.

Ora si rendeva conto di quanto le cose fossero andate diversamente. Ora capiva che il desiderio di protezione non aveva nulla a che fare con l’amore.

joey

Non che non amasse Dawson: lo amava con il cuore, lo aveva sempre amato. Però l’esistenza che conduceva con lui non era sognante come l’aveva immaginata, e non era neppure la semplice realtà quotidiana che avrebbe sperimentato se fosse stata con Pacey: era un insipido trascorrere del tempo, a metà tra la fredda superficialità di L.A. e mille serate passate a discutere di filosofia e concetti alieni. Era come stare un po’ qua e un po’ là, non totalmente sulla Terra ma neanche tra le nuvole.

Joey non avrebbe mai abbandonato Dawson, questo lo sapeva; egli era felice, ignorava le angosce di lei e la credeva persa nell’entusiasmo di abitare e lavorare in quella città: aveva ottenuto ciò che si aspettava, era completamente appagato. E l’amore che provava per lui impediva alla giovane donna di andarsene, di spezzare il quadro all’apparenza perfetto del loro presente e del loro futuro.

Lui non avrebbe mai scoperto i sentimenti di Joey, poiché il sottile egoismo degli artisti lo proteggeva dal porsi troppe domande sull’effettivo stato di salute degli altri: lei fingeva, ed egli le credeva.

joey

La serratura scattò, distogliendola dalle riflessioni. La porta dell’appartamento ultra moderno si spalancò, mentre un Dawson al settimo cielo varcava la soglia; era vestito con un completo nero e brandiva una bottiglia di champagne.

Abbozzò lo stesso sorriso di sempre, quello che gli era rimasto da quando aveva stretto per la prima volta una cinepresa tra le mani.

– Vuole incontrarmi! Steven Spielberg ha accettato di incontrarmi!… Il suo agente ha chiamato nel pomeriggio: l’appuntamento è fissato per martedì prossimo –

Joey lo osservò dal punto in cui si trovava, accanto alla grande finestra illuminata. Rise.

Adesso tutti i sogni di Dawson si erano realizzati.