Dopo il 1990 nulla fu più lo stesso. Prima di allora, per lo più, brancolavamo nel buio della serialità. Eravamo già stati attratti da una Serie Tv, ma nulla – prima di quel momento – ci aveva rapiti, scombinati, scomposti. Eravamo sempre pronti a una battuta, a una risata di sottofondo o a una lacrima: i più vari prodotti riuscivano ad avere tutto questo, a far vivere di pari passo il dramma e la leggerezza. Ognuna di queste cose era in grado di svagarci, di intrattenerci con validissime idee, ma nulla ancora aveva stravolto la nostra televisione, e nulla aveva ancora stravolto noi. Il 1990, per questo motivo, rimarrà una data bene impressa nel mondo delle Serie Tv: il punto più alto che si potesse mai pensare di raggiungere è stato raggiunto, e nulla sarà più come prima. Twin Peaks era ufficialmente nostra.
Tutti quelli che durante l’esordio della serie parlavano di successo precario, facilmente dimenticabile, si sono dovuti ricredere probabilmente solo dopo la fine della prima stagione. Quello che era successo solo con i primi otto episodi fu sconvolgente: Laura Palmer, in qualche modo, era entrata all’interno della vita di ogni telespettatore perché – proprio lei – rivestì il ruolo di tramite tra il telespettatore e l’arte. Quello che andava in onda non era solo una Serie Tv, era arte nel senso più profondo del termine. Era il racconto di una storia che – forse per la prima volta in modo netto – non si poneva alcun limite, diventando un prodotto futuristico, creato e diretto con un solo obiettivo: essere immortale.
Nulla sarà più come Twin Peaks, ma – al tempo stesso – tutte le Serie Tv dopo di lei sono Twin Peaks. Questa contraddizione riesce perfettamente nella magia della coerenza perché, come detto qualche riga fa, il 1990 ha annunciato un nuovo modo di creare storie, un nuovo modo di svilupparle. Da quel momento le sorti della maggior parte dei prodotti vengono totalmente cambiate, ideate solo con l’intenzione di riprodurre quel tanto che lei nutriva dentro di sé. Inutile dire che riuscire in un’opera così mastodontica fu praticamente impossibile, ma lo stesso non può dirsi dei suoi sprazzi Twin Peaksiani: trovare degli elementi che ci riportassero all’interno di quella cittadina non fu complicato. Detta in parole povere: inizialmente guardavamo le serie con un certo distacco. Perdersi una puntata non rappresentava un problema, il cerchio della storia era comunque comprensibile, nulla poteva alterarne il suo significato. Ma questo non avvenne con Twin Peaks, e non avvenne neanche dopo di lei.
Perdere un suo episodio significava perdere la rotta, confondersi, non comprendere. Tutto era collegato: ogni punto ne toccava un altro, ogni azione si ripercuoteva nella vita di un altro personaggio, e non bastava più guardare o sentire la puntata, bisognava osservarla e ascoltarla. Il pubblico aveva un arduo compito da svolgere: doveva comprendere. Nessuna passività, nessun episodio da guardare di sfuggita. David Lynch aveva, tacitamente, tirato su un compromesso: io vi do la possibilità di vivere una grande storia, ma voi dovete cambiare il modo in cui la vivete.
Non era un’operazione semplice. Non è mai facile stravolgere le sorti di un equilibrio, eppure – in modo quasi spontaneo, dovuto, obbligatorio – cambiò davvero. Il telespettatore ha scelto, per la prima volta, di affidarsi alle sorti di una storia che, per quanto ne sapeva, poteva anche non portare da nessuna parte. Non si era di fronte a una comedy, non si era di fronte a un dramedy. Twin Peaks era tutto e niente, e loro avevano una scelta chiara e netta da prendere: o con lei, o senza di lei. In questo modo – ancora per la prima volta – si sviluppò un silenzioso accordo di fiducia tra il pubblico e il regista: dovevano scegliere di fidarsi di tutti quegli eventi oscuri che sembravano non voler portare a nulla, ma solo caos. E forse, non è sbagliato dire che quel caos era talmente ben ordinato da riuscire a conquistare anche senza una prospettiva chiara sul futuro della storia e del suo epilogo.
La rivoluzione avvenne, e da quel momento l’attenzione nei confronti delle Serie Tv salì di dismisura. Twin Peaks aveva scombinato i piani e le pretese da parte dei telespettatori. Non volevano più essere passivi, non volevano più tutto quello che era stato già visto. Volevano il fascino, volevano delle personalità ben definite e costruite, in continua lotta ed evoluzione. Avevano la necessità di iniziare un vero e proprio viaggio all’interno della storia, e allo stesso modo sentivano il bisogno di guardare le Serie Tv per ragioni più profonde dell’intrattenimento.
David Lynch, così, compie la sua opera riuscendo – in modo mastodontico – a rivoluzionare non solo la sua storia e i suoi personaggi, ma l’intero panorama seriale. La sua atmosfera oscura, sempre pronta a superare il limite della realtà, non fu più un tabù all’interno delle Serie Tv.
Al centro di tutto c’era una cittadina con i suoi abitanti, e questo non fu per nulla un dettaglio irrilevante. Era lei la protagonista assoluta per via del suo modo di cambiare, di trasformarsi, di essere piena di sfumature esattamente come gli esseri umani. Per la prima volta il peccato acquisiva fascino, e con lui l’oscurità. Per la prima volta era nato un modello da seguire, uno schema da cui trarre degli elementi che avrebbero potuto continuare la sua tradizione, anche se con una premessa quasi irremovibile: nessuna cittadina sarebbe mai stata come quella di Twin Peaks, e nessuna Serie Tv sarebbe stata come Twin Peaks. Oggi, alla fine del 2021, quella premessa è più viva che mai, e forse – anche se rivorremo rivivere quelle emozioni di nuovo per la prima volta – una parte di noi accetta che non riaccadrà, e che Twin Peaks rimarrà sempre salda all’interno di quel posto imbattibile in cui si è posizionata più di trent’anni fa.