La quarta puntata di Vikings conferma la lenta costruzione che la Serie Tv sta avendo in questa stagione. Una costruzione funzionale alla rappresentazione dei personaggi, alla loro introspezione, ma soprattutto volta a definire e scoprire i vari panorami su cui lo show si sta articolando.
Io sono il tuo Re! Io sono il tuo Dio!
A Kattegat si festeggia il ritorno di Ubbe, anche se quest’ultimo da festeggiare ha ben poco. Non esita un secondo a chiedere aiuto a Lagertha contro Ivar, poiché una volta terminata la sua ira funesta su York, lo storpio volgerà il suo sguardo impetuoso sul fratello traditore. Eppure la misericordia troppo lasciva di Lagertha potrebbe costarle cara. La moglie di Ubbe stesso ha pronunciato parole sin troppo traditrici verso colei che le offre un tetto sulla sua testa. Le sue parole sono vittima del serpeggiare ambizioso verso il trono, parole che hanno un peso che ella stessa non sa portare una volta scoperta dalla regina.
E poi c’è Re Harald che, nelle sue terre, oltre a sfoggiare improponibili outfit da vichingo sicuro di sé, riesce a portare dalla sua parte Astrid, che acconsente a sposarlo. Viene logico ora chiedersi se sia tutto un piano della giovane per depistare Harald e condurla nuovamente a Kattegat, dove potrà ricongiungersi a Lagertha e far fuori il suo rapitore. Ma non si scherza con le tradizioni, con i valori del matrimonio: riuscirà veramente a ingannare colui che agli occhi degli dèi è ormai suo compagno di vita?
Mentre Lagertha si preoccupa della linea di successione, suo figlio Bjorn è sbarcato sull’isola di Sicilia insieme ad Halfdan e si trovano davanti un signore bizantino dalle grandi ambizioni e una suora che tutto sembra tranne che una timorata di Dio. Qui Vikings ci mostra come l’innalzamento di budget della Serie abbia permesso ai produttori di aprire uno squarcio sui vichinghi e i loro viaggi che si espandono sempre più verso nuove terre. Dopo la breve parentesi siciliana, vedremo Bjorn fare da scorta al signore bizantino per andare nel dominio musulmano ancora più a sud.
Figlio di un esploratore, abituato sin da bambino a salpare verso nuove terre, Bjorn ha l’esplorazione nel sangue. È il figlio di Ragnar che ha ereditato questa particolarità paterna, forse perché l’unico ad aver ricevuto un’educazione diretta da Ragnar stesso.
Hai gli occhi come quelli di tuo padre, sfortunatamente.
-Floki a Bjorn, stagione 1
Intanto Ivar ha l’ambizione di eccellere lì dove tutti pensano che egli non possa arrivare. Un tarlo fissato nella sua mente dalla madre e rafforzato (forse involontariamente) dal padre nel suo ultimo viaggio: “Io ti prometto figlio mio, che un giorno l’intero mondo, conoscerà e temerà Ivar il Senz’ossa”.
Senza la sua feroce rabbia e la sua mente sagace non sarebbe arrivato dove è adesso: in procinto di massacrare l’esercito di Re Athelwulf. Quest’ultimo non è minimamente all’altezza di guidare il suo esercito e non digerisce lo smacco fattogli da Heahmund nel trattato di pace con Ubbe e Hvitserk, tanto da esplodere in un’affermazione tirannica del suo potere per rimetterlo in riga. Non sa, però, che sta sottovalutando colui che guida i vichinghi e che si sta ispirando ai Romani per sopraffarli sul loro stesso territorio. L’intelligenza di Heahmund lo lascia essere troppo sicuro di sé e sicuro dell’ignoranza che attribuisce al popolo vichingo. La sua religione lo acceca con vaneggiamenti di superiorità, incurante che sotto i suoi piedi vi è un’armata norrena pronta a sterminare tutti.
Nel frattempo, la storyline di Floki sembra essere arrivata a un leggero punto di svolta: la ricerca di qualcosa nel suo viaggio mistico sembra averlo condotto alla consapevolezza di dover creare una colonia da tale terra sconosciuta e benedetta dagli dei. È il segmento che più apprezzo di tutto il fascio di cui è composta questa quinta stagione di Vikings. Sarà la sua profonda ispirazione alla mitologia norrena, agli strabilianti paesaggi protagonisti tanto quanto il personaggio di Floki e all’eccellente recitazione di Gustaf Skarsgard, che commuove e appassiona lo spettatore alla parte più onirica dello show.