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Vikings 5×09-10 – Ci vedremo nel Valhalla

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Gli ultimi 2 episodi sono emblematici e racchiudono gli ultimi fuochi prima di concludere questa prima parte della quinta stagione di Vikings.

La caratteristica che ricalca tutto il percorso fatto finora trova il culmine in un mid-season finale trepidante, ma a tutti gli effetti vuoto.

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Il nono episodio, A Simple Story, si apre con l’arrivo dell’armata dei Franchi in soccorso a Ivar e Harald. Gli esploratori di Lagertha le riferiscono la sconvolgente novità, marcando soprattutto l’elevato numero di navi, “troppe per essere contate”. La scena successiva ci mostra chiaramente la verità: 20 scialuppe che ben si contano anche a distanza.

Ennesima mossa “gonfiata” che questa stagione di Vikings sta regalando come se stesse attraversando i saldi sulle scelte trash. Una continua creazione di hype che si riduce a nulla, tutto fumo e niente arrosto. Non solo nelle scelte narrative, ma anche nella caratterizzazione dei personaggi.

In questo episodio abbiamo il risveglio e l’epifania di Heahmund che vuole stare dalla parte di colei che gli ha salvato la vita. Consci del fatto che, chiunque può essere ben ammaliato dalla bellezza e dal vigore che il personaggio di Lagertha emana, questa scelta suona in ogni caso forzata. Manca di basi logiche, di convinzione e soprattutto manca di carattere. Heahmund è un personaggio importante perché lo vuole la storia: sono gli sceneggiatori e i registi che lo vogliono di un’importanza tale da essere salvato sul campo di battaglia. Nell’effettiva narrazione, il suo personaggio non è che un tizio qualunque che sa combattere, proprio come gli stuntmen che fanno il resto dell’armata vichinga. Non hanno rilevanza caratteriale, sono da sfondo, così come si rivela essere l’intera presenza scenica del vescovo.

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Re Aethelwulf finalmente si cimenta in un discorso più accattivante del solito, peccato che non vedrà attuazione. Almeno non da parte sua. Con la morte più semplice (e idiota, seppur possibilissima per l’epoca), la puntura di un’ape è carica di simbolismo religioso e pone fine a uno dei personaggi che aveva ormai esaurito il proprio arco narrativo. Un modo di concludere un filone sempre migliore rispetto ad altri, come ad esempio quello di Floki: un personaggio che si tiene in piedi per volontà divina a tutti gli effetti. La storyline islandese continua a fare buchi nell’acqua.

Non appassiona, non aggiunge nulla alla stagione, non piace. Anche se la scena dei tre inchini è assai affascinante e riesce a riflettere il valore delle tre storyline nella Serie Tv. Le fiamme che lambiscono Thor e il suo mausoleo, che cade a pezzi come l’arco narrativo a Floki dedicato. La prostrazione scarna, forzata, priva di pathos di Heahmund a Lagertha. La semplicità negli abiti di Alfred, ma la forte presenza degli accessori reali a lui appena dati e a cui dovrà abituarsi, sono premonitori del suo futuro. Una similitudine che si scontra con la realtà dei fatti: il mondo vichingo fallisce lì dove l’impero inglese sembra ricostruirsi.

La lenta decadenza della Serie Tv che porta il nome di coloro che vivono in un mondo ormai ricamato su tasselli di odio, sangue, vendetta e assurdità.

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La 5×10 di Vikings, Moments of Visions, non è stata da meno. In linea con l’intera stagione, ha regalato qualche piccolo sprazzo di intrattenimento attraverso una regia diversa, sperimentale e fortemente intrisa dello spiritualismo norreno. È riuscito forse a imprimere su video ciò che il folklore ci ha tramandato nei secoli: i gesti rituali di preparazione alla battaglia, le azioni e le parole teatrali che sottolineano la spavalderia a scendere in guerra ed essere consapevoli che la morte può sorprenderli da un momento all’altro. Nessuno si crede immortale, nessuno eccetto Ivar.

Seppur arrivati a tale epilogo attraverso motivazioni banali e insensate, il rapporto tra Harald e Halfdan è quello che è riuscito più di tutti a trasmettere pathos, struggimento, emotività. Il loro canto echeggia nella foresta come una triste litania, li prepara al duello, ma allo stesso tempo li unisce nel sangue, nei gesti, nella battaglia. Sono carne e sangue nati dalla stessa madre, le loro viscere li avvicinano, le loro menti li separano. Halfdan si ritrova solo, nessuno con cui combattere spalla a spalla, nessun motivo valido che lo spinge a scontrarsi con il fratello, niente per cui combattere. Le sue scelte lo hanno portato a un’improvvisa vita desertica, che gli scivola lentamente dalle mani fino ad esaurirsi.

L’orgoglio è troppo per affrontare un discorso di dispiacere, si fa alla vecchia maniera: chi di spada ferisce, di spada perisce. Harald ha una vita, una donna da cui tornare, un trono da conquistare, eppure l’angoscia di dover uccidere il fratello permea l’aria. Un gesto veloce, nessun ripensamento. Ci rivedremo nel Valhalla.

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Il resto dell’episodio è altalenante: la furia cieca della battaglia ha piccoli spazi mentre la storia si costruisce in continui flashback antecedenti alla battaglia stessa. Momenti di vita brutalmente staccati da scene di morte: in questo episodio c’è stata una vera e propria mattanza di personaggi. Halfdan, Guthrum, la principessa Snaefrid la cui morte avviene con stupore. Un personaggio che si prospettava interessante, bello, nuovo e accattivante soprattutto perché poteva essere parte di una svolta nella vita di Bjorn. In questa Serie Tv c’è chi rimane troppo a lungo e chi non riesce neanche a superare il terzo episodio.

Altro personaggio che se ne va, con grande rammarico, è Astrid. La fanciulla è ormai ridotta in schiavitù in una vita che non le appartiene. La scelta di aiutare Lagertha è sempre sembrata incerta, dai contorni non definiti, così come l’appoggio ad Harald. La gravidanza incerta sulla paternità del Re o meno, troppo da gestire e da spiegare. Gli eventi l’hanno trascinata in una situazione tormentata e l’unica via d’uscita che vede è la morte. Ma che sia l’ultima persona che ha amato a porre fine ai suoi giorni. Così mentre esala il suo ultimo respiro, Lagertha si fa carico di un altro fardello.

L’ennesimo dolore che sembra mandare in pezzi il suo personaggio, tanto da farlo invecchiare velocemente. Quest’ultimo particolare può essere carico di simbolismo per il suo personaggio, ma è una scelta kitsch se effettuata nel giro di due ore dalla battaglia.

Insomma, questo episodio finale di Vikings di fine non ne ha neanche il barlume. Dieci episodi che si possono ben riassumere in poche righe, tra momenti di apparente ripresa e momenti di totale disastro. Un episodio fratricida, dove c’è chi riesce ad uccidere la propria parentela e chi rimane fedele ai propri principi di famiglia, come fa Ubbe. Chi muove i fili della guerra, come un burattinaio, ma non ne prende mai effettivamente parte. Una semi conclusione che lascia insoddisfatti e fa sentire la nostalgia dei cari e vecchi 10 episodi a stagione, che seppur pochi, erano pregni di storia, di azioni, di fatti concreti e non solo di apparenze e illusioni che costellano questa stagione di Vikings di belle parole ma di zero profondità.

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Vikings sta affrontando, e continuerà ad affrontare nei futuri episodi, il duro e faticoso lavoro del cambio di guardia: i vecchi personaggi saranno stati importanti, ma bisogna metterli da parte per ingranare una nuova generazione di storie. Nel momento in cui non si pone fine ad essi e gli si concederà ancora molto spazio sullo schermo, i nuovi arrivati non si svilupperanno. Uno show arrivato a tale fama non può campare di rendita su vecchie glorie.

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