L’inferno è arrivato: dopo un lento ed estenuante preludio a un imminente scontro, Vikings ci regala una puntata mozzafiato, grazie anche alle sue ormai stupende scene di guerra.
Il punto forte di Vikings è saper creare un’atmosfera epica all’altezza delle battaglie che inscena. Negli anni, l’architettura di questi scenari si è evoluta, regalandoci sempre più ricchezza scenografica e profondità (anche spirituale) in uno dei momenti che i vichinghi più bramavano durante la loro vita: la guerra.
A Kattegat la vita trascorre tranquilla come in uno stato dittatoriale, dove il capo non è soltanto la massima autorità, ma si eleva a Dio. E gli dei fanno ciò che vogliono: mentire ai propri sudditi sulla morte di uno dei membri religiosi più importanti, installare statue auto celebrative, credere di essere invincibili. Tutto ciò crea ancora più distanza tra i fratelli, Ivar e Hvitserk.
Se in questa storyline la linea narrativa procede a rilento e mostra l’instaurarsi della follia divina di Ivar come norma, nel Wessex si sguainano nuovamente le spade.
Mai come prima attendevamo di rivedere un campo di battaglia. Dopo lunghi e sostanzialmente lenti e fallaci episodi, le acque si smuovono, l’epica torna a suonare il corno, il sangue a bagnare la terra. Una terra infuocata che lambisce i due nemici in uno scontro non soltanto terreno, ma anche divino. Perché di nuovo ci sono due pantheon a confronto: gli dei norreni e il dio cristiano.
Un cervo appare e consacra la visione del guerriero Heahmund. Perisce troppo presto un personaggio che in Vikings non è mai stato chiaramente delineato, se non per il suo dramma religioso.
Ancora un volta, la religione lo trae a sé, rinunciando all’amore di una vichinga. Ma l’ultimo straziante urlo non lo rivolge al dio che tanto ama: la maledizione di Heahmund è quella di amare follemente un dio egoista, ma di essere terribilmente umano. Per quanto abbia cercato, invano, di essere la mano di Dio in terra, nel momento della morte, ricerca le braccia della donna amata.
La narrazione attraverso le parole di Alfred sono come un balsamo che allevia le pene subite un po’ in queste ultime cinque puntate. Un episodio con i fiocchi che ci ha riportato ad emozionarci. La morte di Heahmund lascia l’amaro soltanto per un fattore di sviluppo del personaggio.
Lagertha, invece, sparisce senza preavviso: che l’ennesima morte di una persona cara abbia spezzato il suo animo ormai già fragile?
Da sottolineare la centralità di Ubbe in questo episodio: un passo avanti per il suo personaggio che, al momento, sembra essere colui che calca meglio l’eredità di Ragnar. Come il padre prima di lui, egli aiuta un cristiano a trovare il coraggio di combattere e non esitare (vedi un parallelo con la puntata 2×02 di Vikings). Ma non solo: anche lui si trova su un sentiero religioso scosceso, da una parte cristiano, da una parte norreno. È forse il figlio più simile a Ragnar: stratega, con una religiosità incerta, aperto al dialogo con un re cristiano ed essenzialmente non adatto a regnare.
Ciò che rimane a fine della puntata, sono dei legami ancora più assottigliati: Bjorn è evidentemente frustrato dalla situazione in cui è posto. Combattere con dei cristiani e sentire le urla di inno a Odino in contrasto con la sua posizione, non sembra che portargli mortificazione. Ma sul campo di battaglia sembra aver trovato qualcosa di più che una vittoria.
Alfred, tronfio della sua vittoria, deve ora fare i conti con una scoperta disarmante: Aethelred ha cospirato dietro le sue spalle per rovesciarlo dal trono.
Harald, sconfitto, si ritira e con sé porta colui che si ostina a credere di essere il figlio di Ragnar: Magnus. Le sue ultime parole suonano canzonatorie, perché sappiamo benissimo che ciò che lui pensa succederà, non accadrà mai nella storia. Anzi, al contrario, saranno gli dei norreni a perire, lentamente, fino a rimanere soltanto nelle loro terre natie.
In conclusione, la puntata ha un grande valore cinematografico: una fotografia da brividi, sequenze di scene in battaglia da urlo, una narrazione della suddetta epica. Insomma, un bello smacco rispetto ai precedenti episodi, ma che non può sanare l’incompletezza della sceneggiatura.