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Ivar The Boneless: apologia di un antieroe folle e geniale

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Per tutti gli appassionati di Vikings è quasi inevitabile affezionarsi a uno (o più) dei protagonisti: si può essere fan del ruvido Ragnar Lothbrok, amare visceralmente la forte e infelice Lagertha, essere incantati dal folle Floki. Questo avviene perché sono personaggi ben delineati, appassionanti, credibili.

Poi ci sono io (e pochi altri indomiti) che ho un debole per Ivar Senz’Ossa.

La verità è che se qualcuno avesse la voglia e la pazienza di dare un’occhiata al fandom di Vikings si renderebbe conto che questo personaggio ha più detrattori che sostenitori.

Non capisco perché.

No, in realtà capisco benissimo il perché: Ivar è definito da molti, con un velato giro di parole, un “bimbominkia isterico”.

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Vediamone le motivazioni.

Prima di tutto è un violento: ancora bambino, non coinvolto nei giochi dai coetanei, prende un’arma e fracassa il cranio a uno di loro.

Immaginatevi che caos sarebbe successo se tutto questo fosse accaduto nei giardinetti la domenica pomeriggio. 

È anche un cocco di mamma, difatti Aslaug potrebbe essere definita una proto-pancina che stravizia il figlio, non sa staccarsi da lui e lo preferisce a tutti gli altri fratelli. Il modo perfetto per non creare tensioni…

Ivar è di certo anche uno psicopatico. Ma questo, per me, non costituisce un motivo solido per  detestarlo, perché nella sua follia c’è imprevedibilità, ma anche del metodo. Quando colpisce c’è sempre un motivo, anche quando lo fa d’impulso. Diciamolo: quell’accettata in mezzo agli occhi, Sigurd se la meritava davvero: è stata la classica vendetta della vittima sul bullo delle medie. 

È effettivamente un po’ isterico e drammatico: all’inizio perché il confronto con tutti quei bei pezzi di figlioli dei suoi fratelli è impietoso, da grande perché, complice una bella ragazza, si convince di essere un dio e di essere in grado di generare figli semplicemente se lei gli succhia un dito. Insomma, Ivar è sicuramente uno di quelli che ha studiato a casa (e neanche tanto), ma un vago rudimento di educazione sessuale non avrebbe guastato. 

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Malgrado tutto quanto detto sopra, sono dell’idea che Ivar non sia un personaggio insulso, né che sia stata sua la colpa per una quinta stagione a tutti gli effetti sottotono. 

Innanzitutto, non si può negare che sia uno degli strateghi più abili di tutti i condottieri di Vikings: le alleanze che è in grado di creare, sfruttando di volta in volta gli affetti, la malizia o la paura, rendono uno storpio che veniva preso in giro da tutti un capo militare micidiale. Se perde Kattegat è solo per un tradimento, non per incapacità strategica.

Aslaug o non Aslaug, Ivar non ha avuto un’infanzia felice. Suo padre lo voleva abbandonare nella foresta, al freddo e al gelo, e lo riconosce tra i suoi figli solo a causa della sua disabilità. La sua impotenza, messa a confronto con l’iperattività sessuale dei fratelli (e del padre) non deve essere stata facile da digerire. Ne è un esempio la gradevolissima Margaretha, che non disdegna la compagnia praticamente di tutti i fratelli Lothbrok tranne Ivar. La sua invalidità, oltre che essere stata tenuta segreta, è stata fonte per lui di costanti prese in giro.

Insomma, già è difficile essere un adolescente con un padre ingombrante alle spalle, figuriamoci affrontare tutto questo. 

Trovo però il suo essere senz’ossa un punto a suo favore: nel mondo di superuomini muscolosi e quasi invincibili di Vikings, c’è posto anche per lui. Inoltre, quel suo veloce incedere strisciante, facendo leva sui pugnali conficcati nel pavimento di legno della sala reale di Kattegat, è minacciosamente spaventoso. Ivar è stato sottovalutato per tutta la vita: inadatto all’esistenza e al combattimento fisico, dà prova di valore, tenacia, astuzia e quella dose di follia lo rende unico.

È anche divertente, ha senso dell’umorismo e a volte dice cose senza senso del tutto fuori dal contesto drammatico che di solito caratterizza Vikings. Va d’accordissimo con Floki, che forse lo tiene così a cuore perché anche lui è diverso da tutti gli altri (non ci dimentichiamo che è stato proprio Floki a fargli da padre nei primi anni di vita).

Fondamentalmente, a me Ivar fa anche un po’ tenerezza, perché, come rivela a Freydis, se si esclude sua madre, non si è mai sentito amato ed è proprio questa carenza d’amore che lo spinge a sfidare tutto e tutti, per dimostrare di potercela fare. L’amore che più gli è mancato, tuttavia, è proprio quello di Ragnar e, infatti, penso che sia proprio Ragnar il colpevole per la labile psiche del figlio. Un padre inadatto, che non lo ha mai accettato nei giorni della gloria e che lo chiama a sé solo perché è solo Ivar che gli resta accanto.

In Vikings, in un mare di Bjorn (con tutto il rispetto per La Corazza), sceglierei sempre Ivar, a mio rischio e pericolo.

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