La quinta stagione di Vikings è con molta probabilità la più debole vista finora. La seconda parte in special modo risulta essere abbastanza lenta e priva di presa. La serie di Michael Hirst sembra aver perso molto del suo smalto iniziale. Come altrettanto scarseggiano personaggi dotati di grande carisma come furono l’ormai leggendario Ragnar, ma anche altri come Floki, Rollo e Lagertha. Benchè densa di nuove promesse, come Ivar e il più cresciuto Bjorn, Vikings sembra aver perso la vecchia abilità di sviluppare personaggi e storyline in grado di lasciare qualcosa di intenso allo spettatore.
Eppure, nonostante le macerie di quest’ultima stagione, un paio di fiori fanno capolino tra le rovine di Vikings: Judith e Ubbe.
Per entrambi il percorso di maturazione appare intrigante fin dai primi episodi della quinta stagione. Se per Judith tale percorso segue fin da subito un’interessante climax ascendente, per Ubbe il percorso sembra essere un po’ più più piatto, ma non privo di sviluppi importanti. A prescindere dai rispettivi ritmi, tuttavia, questi due personaggi potrebbero essere quelli meglio sviluppati dagli sceneggiatori di Vikings nel corso di quest’ultima stagione. Il loro percorso di maturazione, seppur lineare, non risulta scontato, e mantiene lungo il corso degli eventi una coerenza molto pulita.
La caratterizzazione di ambo i personaggi è forte di un elemento narrativo rilevante: l’essere stati “allievi” di due colossi di Vikings: Re Ecbert e Ragnar.
Judith arriva nella seconda stagione di Vikings nelle vesti di dolce principessa spedita da suo padre a sposare il principe di Wessex per stipulare alleanze politiche. Non privo di tribolazioni è stato il percorso di quella che all’inizio sembrava essere solo una pìa donzella vittima della sua stessa ingenuità. Poi la genuina curiosità e la sete di conoscenza le hanno aperto le porte di un sapere che ha potuto acquisire dai migliori maestri. Così Judith ha appreso l’arte della pittura da Athelstan, ma soprattutto ha assimilato la saggezza di Re Ecbert. Per quanto discutibile fosse l’intimità col suocero, questo rapporto le ha fornito gli strumenti della sopravvivenza: la politica, la strategia e la diplomazia
È senza dubbio lei la più zelante allieva di Ecbert nel mondo di Vikings.
Judith diventa sempre più la colonna portante della sua famiglia. La sua forza e il suo spirito sostengono la corona di Wessex, pesante sul capo da soldato di Aethelwulf, a tal punto da donarle una considerazione di cui suo marito non si sarebbe creduto capace dopo i vecchi dissidi. Proprio come Ecbert le ha insegnato, Judith non lascia che umanità e sentimenti ostacolino le decisioni più giuste per il regno, per quanto ardue. Lungimirante, seppur dolorosa, è la scelta di mettere da parte il primogenito per favorire Alfred nell’ascesa al trono. Freddo è il suo sguardo quando fa torturare a morte i cospiratori del re. Come fredda sembra essere la memoria del tempo in cui fu lei la vittima da seviziare contro un palo. Saggio e ponderato è il consiglio sempre rivolto al figlio. Come fermo e austero è il supporto con cui lo incita a comportarsi da Re.
Judith ha imparato così bene l’arte della politica di Ecbert da sembrarne la reincarnazione persino più spietata. Alle volte è più devota a ciò che “va fatto” di quanto il suo maestro non fosse.
Il suo ultimo sforzo per tenere Alfred inchiodato al trono rappresenta il punto più alto eppure più umanamente misero della sua maturità. Uccidere un figlio per salvare l’altro non è cosa da tutti. E con Aethelred muore anche una parte di Judith. Ora il suo compito è stato portato davvero a termine: Alfred The Great è il re che la storia doveva avere. Il cerchio si chiude con l’unico nemico che nessuno può combattere: la morte. Nel corso di Vikings abbiamo visto Judith apprendere con l’umiltà del buon allievo, regnare con l’arguzia dello stratega e morire con la saggezza della maturità. Ma “l’esperienza non può compensare la morte”.
Vikings fa così calare il sipario su un altro dei suoi storici personaggi.
Altrettanto politico, seppur intriso di sangue e battaglie, è l’apprendimento di Ubbe, il quale non sembrava certo essere il più promettente dei figli di Ragnar. Eppure, nell’ultima stagione, nonostante un inizio incerto, il suo personaggio attraversa una crescita che giunge a un’incredibile maturazione. Da sempre incline a scelte più moderate, o a quelle più conformi alle volontà del rispettato fratello maggiore. In questa stagione di Vikings invece Ubbe sembra distaccarsi gradualmente da ambe le attitudini. Dei figli di Ragnar sembra essere quello che più di tutti accetta l’idea che il padre avesse “dubitato” degli dèi e della sua fede. Diventa così forse l’unico vichingo a ottenere davvero la fiducia di un regale cristiano.
Vikings ci ha regalato così un inaspettato rapporto di reciproco rispetto e stima tra due persone di diversa fede e cultura, in grado tuttavia di scendere a ragionevoli compromessi per il bene comune. Come i loro padri avrebbero voluto.
Ubbe è il primo vichingo dopo Ragnar che ha osato sfidare l’ira degli dèi affinchè il suo popolo ottenesse in terra dei benefici reali, anziché attendere la gloria del Valhalla. Lui e Torvi si convertono al Cristianesimo per stipulare un patto di fiducia, e portano la croce per un bene superiore. Ma non è la storia di Gesù e dell’umanità raccontata dai sacerdoti. È la storia di un figlio che ha scelto di realizzare il sogno di suo padre. Ubbe potrebbe essere l’unico dei fratelli ad aver davvero compreso quali fossero i più reconditi desideri di Ragnar. Volontà più forti anche della voglia di combattere, più intensi della sua stessa furia. E pur realizzarli ha rischiato tutto: il rispetto come vichingo e la sua stessa vita. La moderazione lascia così spazio all’ardire di prendere il rifiuto di Re Frodo come un affronto da espiare in un duello corpo a corpo.
Vikings ci riporta così alle antiche tensioni, all’inumana assenza di paure. E, al tempo stesso, alla più tenera umanità: quella degli occhi limpidi e profondi di un Ubbe che prega i vecchi dèi perché vengano ad aiutarlo.
Con un ultimo sofferto sforzo che lo conduce alla vittoria, nel sangue e nel fango, Ubbe consolida il suo onore agli occhi dei presenti, scongiura una guerra e realizza finalmente il sogno che fu di suo padre. Come Vikings ci ricorda per bocca di Alfred “La terra promessa al popolo norreno da Ragnar gli viene finalmente consegnata per mano di suo figlio”. Anche per Ubbe il cerchio potrebbe dirsi chiuso: il suo compito è stato portato a termine. Quel figlio di Ragnar, un tempo pallido e quasi invisibile all’ombra di Bjorn e Ivar, diventa colui che realizza l’insperato. La commozione di Lagertha al toccare la terra tanto desiderata e finalmente ottenuta, ci dà un’idea chiara di quanto significativo sia ciò che Ubbe ha compiuto.