No, non è vero. Non sono passati già tre anni. Tre anni?! Quando è successo? Come è successo? Sembrava soltanto ieri, quando Vikings mi teneva compagnia nei viaggi in autobus di rientro dall’università. Mi ricordo benissimo di averla scoperta facendo zapping (lo so, è tanto che non sentivate questo termine). Un puro caso, eppure quel caso ha voluto che mi affezionassi tantissimo a questa Serie (disponibile su Netflix) e ai suoi personaggi. Certo, il carismatico protagonista, Ragnar Lothbrok – e molto più probabilmente l’interpretazione di Travis Fimmel – ha permesso il successo della Serie Tv.
Ma ammettiamolo, indipendentemente da Ragnar, Vikings resta una grande Serie. Se piace il genere e la storia dei norreni, è innegabile dire come questa abbia segnato un punto di svolta. Sia per il suo impatto nel panorama televisivo, che per la capacità di raccontare una storia tanto epica quanto umana, tra mitologia e realtà. I norreni ci sono stati presentati in tutte le loro sfaccettature, nella loro dimensione più realistica e quotidiana. Senza, però, privarci di quell’epicità di una storia che, da quanto lontana, ha tutto il sapore di un’antica leggenda.
Il fatto è che, nonostante la sua importanza televisiva, Vikings, dopo la sua conclusione, è sparita da tutti i radar. Con lo spin-off Vikings: Valhalla è stato tentata una resurrezione di un possibile franchise a tema vichinghi (tentativo fallimentare, però, in quanto la serie ha arrancato per tre stagioni e dopodiché è stata cancellata). La Serie madre, evidentemente, aveva quel qualcosa in più, almeno fino allo straziante decimo episodio della quarta stagione, “Tutti i suoi angeli”, in cui Ragnar Lothbrok incontra la morte. A tre anni di distanza, quindi, è doveroso fare il punto sull’impatto che questa serie ha avuto e sul perché meriti di essere posizionata degnamente nel racconto della storia recente delle serie tv.
Vikings non è solo un fenomeno di culto
Siamo nel lontano 2013 quando Vikings debutta negli Stati Uniti su History Channel, mentre noi italiani abbiamo aspettato quasi un anno per poterla guardare su Rai 4. Scritta e creata da Michael Hirst (nome dietro a I Tudors, ma anche a filmoni come Elisabeth ed Elisabeth: The Golden Age), in pochi si sarebbero aspettati un successo e una popolarità così grandi. Ma se così non fosse stato, non staremmo ancora qui a parlarne. Considerata la cugina scandinava di Game of Thrones, la serie capeggiata da Ragnar Lothbrok non merita tale paragone. Non solo perché la serie HBO potrebbe essere considerata una tacca sopra, ma perché sono due prodotti diversi.
Certo, Il trono di spade, uscita qualche anno prima, ha aperto le porte, abituandoci a vedere un certo livello di violenza e grottesco sullo schermo. Vikings cavalca, sì, quest’onda, ma lo fa a modo suo. Lo stile visivo è unico, i colori freddi e le scenografie ci trasportano direttamente lì, a Kattegat, tra i ghiacciai scandinavi. Le sequenze di battaglia sono crude, ma spettacolari. Le tattiche di guerra norrene vengono ricreate sullo schermo (in modo più o meno storicamente accurato), facendo valere l’eccezionale nomea guerriera, oltre che navale, di questo popolo. Le battaglie, infatti, in Vikings non dico siano all’ordine del giorno, ma quasi. Le sequenze d’azione, a differenza della cugina di casata HBO, sono infatti privilegiate, lasciando meno spazio all’intrigo politico. Perché usare troppi sotterfugi, quando ti posso invadere casa? Siamo vichinghi, perdiana!
Dopo Ragnar, è stata solo una caduta?
Questa serie si è imposta presto come una delle più originali del decennio, sapendo affrontare temi come il potere, la fede, la famiglia, l’avventura e la scoperta di nuovi mondi. Questi i leitmotiv che l’hanno resa un’opera capace di risuonare con il pubblico. La dualità del popolo vichingo sta proprio dalla dicotomia violenza-scoperta. Sembra che una non possa esistere senza l’altra, per un popolo che ha fatto dell’esplorazione la propria ragione di vita. E proprio nel carismatico Ragnar Lothbrok la fame di esplorazione trova un’incarnazione. Con un costante sguardo (sebbene nostalgico) al futuro, Ragnar guarda sempre lontano, sempre in là, oltre l’orizzonte del mare. In un connubio di brutalità e introspezione, il leader dei vichinghi è diventato anche la nostra guida, alla scoperta del mondo medievale, ma anche del significato di essere uno spirito libero, audace, sfacciato.
Con la morte di Ragnar, la serie subisce un inevitabile calo di attenzione. Travis Fimmel e il suo Ragnar erano l’anima della narrazione, e molti fan, come orfani del personaggio, si sono sentiti traditi. Il focus, ora, è tutto sui figli di Ragnar – in particolare Bjorn la Corazza (Alexander Ludwig) e Ivar il Senzaossa (Alex Høgh Andersen). Scelta, questa, che ha portato con sé qualche incerto tentennamento, specialmente a livello di scrittura. Spostare e dividere la centralità della narrazione da una figura a quattro (Sigurd, poveretto, lasciamolo stare) ha sicuramente inciso sulla stabilità narrativa della serie. Personalmente, mi è sembrato che il passaggio da una figura leggendaria come Ragnar a quelle realmente esistite di Bjorn & Co. abbia avuto l’effetto opposto nella narrazione. Da una storia paradossalmente realistica, si è passati a una storia che ha, invece, molti (se non troppi) attributi metafisici, a tratti onirici.
L’eredita complessa di Vikings
Oltre a critica e ascolti, la serie ha avuto un impatto di tipo pop, rinnovando l’interesse delle masse di spettatori per la cultura norrena e come questa venga rappresentata nei prodotti mediali. Dal mondo videoludico a film e romanzi, Vikings, con la sua estetica e le tematiche affrontate, ha lasciato un’impronta duratura. Un’influenza non da poco, basta soffermarsi a pensare a quanti videogiochi a tema vichinghi siano usciti dal 2013 ad oggi. Assassin’s Creed: Valhalla esce nel 2020; God of War -Ragnarök nel 2022; ancora prima, nel 2017, Hellblade: Senua’s Sacrifice. E questi sono solo i più noti. Specialmente per i primi due, partiti da scenari narrativi lontanissimi, arrivare a dedicare un intero capitolo della saga a questo tema significa semplicemente che c’era domanda. E chi sa chi l’ha creata? E perché proprio una serie tv in particolare? A me non sembra una coincidenza.
Dopo tre anni, è giunto il momento di tirare le somme
Oggi, a tre anni dalla sua fine, è il momento di rivalutare Vikings. Certo, non è perfetta: alcune trame si dilungano fin troppo, mentre la seconda metà della serie manca della coesione narrativa delle prime stagioni. Tuttavia, ciò non dovrebbe oscurare i suoi meriti. Vikings è stata una delle prime serie a trattare un’epoca storica con tale profondità e a combinare spettacolarità e introspezione. Ha dimostrato che anche un racconto apparentemente di nicchia può conquistare il grande pubblico, aprendo la strada a prodotti simili. L’unica cosa che resta da dire è: Skål! A Ragnar, Lagertha, Bjorn e a tutti i personaggi che hanno reso questa saga un’avventura degna di essere raccontata e rivissuta.