Vikings
Di tutte le serie tv non prettamente incentrate sulla religione che però hanno fatto di quest’ultima un tema cardine, forse Vikings è quella più rappresentativa. Perché per i norreni la fede negli dei rappresentava elemento imprescindibile della loro vita tanto quanto lo era la fede in Dio per le popolazioni al sud della Scandinavia.
E il grande pregio di Vikings risiede nella volontà di aver voluto portare queste due fedi sullo stesso piano, mettendo il loro incontro/scontro al centro della narrazione.
Lo ha fatto a più riprese attraverso il personaggio di Athelstan, profondo e controverso, esempio perfetto della forza che possono esercitare le influenze esterne sul sistema di valori e credenze che fanno di un essere umano l’uomo che è. E lo ha fatto attraverso i confronti che hanno rivestito la solida amicizia tra il monaco inglese e Ragnar. A sua volta mastodontico esempio di curiosità e fame di ricerca e sapere.
Il loro rapporto è stato il cuore pulsante di Vikings per ben tre stagioni.
E lo è stato per la capacità degli sceneggiatori di mettere i loro demoni a confronto, al centro di una narrazione che voleva mostrarci la fede non come qualcosa di statico ma di dinamico. Un sentimento in continua evoluzione, a seconda del mondo e degli stimoli che circondano l’essere umano. Ma soprattutto a seconda della predisposizione umana ad accettare il cambiamento, e dell’impatto che nuove scoperte hanno sull’anima.
Così Vikings ci ha regalato la leggenda di un monaco cattolico, in grado di sentire la rabbia di Thor nel fragore del suo martello. E di un re vichingo più cristiano di tanti altri presunti tali. Battezzato nel nome del Signore e per sempre simbolo della ricerca del vero significato di Fede.