La prima puntata di Vikings si apre con un evento importante: il funerale di Sigurd. I norreni si stringono intorno alla barca contenente il corpo del ragazzo, un ultimo saluto prima di riprendere lo scorrere della vita quotidiana. Tutti gli occhi sono puntati su Ivar, il fratricida. Quest’ultimo non trattiene le lacrime: l’atto commesso stravolge tutte le carte in tavola, spacca il legame fraterno tra i ragazzi ma, soprattutto, ha profondamente cambiato lo storpio.
Sigurd ha minacciato l’integrità del fratello vichingo, lo ha esposto e deriso. Ha sminuito davanti al popolo la sua virilità e tale affronto non ha fatto altro che far esplodere l’ira di Ivar. Un’ira cieca che in un istante ha spazzato via qualsiasi legame ci fosse tra i due a favore della bieca affermazione di potere da parte dello storpio.
Ubbe, preoccupato per questo lato del carattere di Ivar, chiede a Bjorn di prendere in mano le redini delle truppe norrene attualmente su suolo inglese. Ma Fianco di Ferro ha ben altro in mente: il suo cammino prevede un viaggio verso sud con al suo fianco Halfdan, il fratello di Harald Bellachioma.
My fate is too urgent.
Un altro personaggio in partenza è Floki. Il destino di questo norreno è completamente nelle mani degli dei, tanto che la barca giocattolo conterrà soltanto pochi viveri e un solo uomo. Tenero e struggente è l’addio che Ivar non vuole dare al suo mentore: Ragnar era suo padre, ma rappresentava più una figura cui ispirarsi per diventare il suo degno successore. Chi gli ha insegnato l’amore e la riverenza per gli dei, la vita quotidiana, chi gli ha fatto da maestro è stato il folle Floki. La morte di Aslaug, seguita da quella del padre e infine dall’abbandono del suo mentore, gettano il ragazzo in un tormento interiore che lo fa sentire solo a questo mondo.
My heart is broken.
Nel frattempo, il vescovo guerriero Heahmund fa la sua apparizione e in pochi minuti fa subito intendere il suo focoso astio e ribrezzo nei confronti dei pagani, demoni usurpatori che hanno gettato i territori del Wessex nel caos. Celebra il rito funebre per il defunto re Ecbert, riapre la chiesa e comanda la ricostruzione del luogo razziato. Ma l’incontro con una giovane donna mette subito in luce un possibile particolare del personaggio. L’invocazione divina tramite l’autoflagellazione per l’assoluzione dei propri peccati denota un’indole da peccatore tormentato, che non resiste ai piaceri della carne ma che ne soffre le conseguenze.
La presa di York avviene velocemente: Ivar utilizza lo stratagemma del padre, ossia attaccare i cristiani nel giorno santo. Non si fa scrupoli ad adescare due bambini nel bosco e a estorcergli le informazioni necessarie. Poi, con ghigno freddo e al tempo stesso sadico, li utilizza come sacrificio umano agli dei della guerra. La pazzia di Ivar non si ferma con questa mera scena: dopo aver conquistato la città inglese, costringe il prelato della chiesa attaccata a bere la sua croce d’oro fusa. Agghiacciante, orrorifico, totalmente fuori di testa: l’eccentricità di Ivar cresce battaglia dopo battaglia. Le offese e la scarsa fiducia che la gente ha risposto nella sua figura, cerca di esorcizzarle attraverso questi atti orribilmente irrazionali e di una violenza gratuita immane.
Lo afferma egli stesso, nella seconda parte della puntata, ai suoi fratelli: per guadagnarsi il loro rispetto ha sempre dovuto lavorare il doppio di un semplice guerriero.
Nel frattempo Harald è partito per tornare a Kattegat, ove l’accoglienza non è delle migliori. Lagertha ha scoperto che tentava di usurparle il trono e lo fa arrestare. Ciò che succede successivamente, nella cella, è una scelta narrativa che ancora non ho ben chiaro come catalogare. Posso azzardare un’ipotesi: per affermare il suo potere in modo mascolino, la regina si prende ciò che vuole, proprio come avrebbe fatto (molto probabilmente) Harald se l’avesse usurpata.
Un colpo di scena è da trovare invece nel rapimento di Astrid da parte di Harald: la sua motivazione è delle più semplici (ha bisogno di creare una discendenza), ma la scelta caduta sulla giovane donna è alquanto assurda. Rapire la pupilla di Lagertha è da un lato geniale e dall’altro lato molto rischioso. La bionda valchiria potrebbe credere a un cambio di fazione da parte della ragazza, oppure, vista la molta fiducia riposta in lei, potrebbe pensare a un (poi effettivo) rapimento. Eppure, la parte più sconcertante è l’esitazione di Astrid nel vedersi promettere, da Harald, gloria, potere e un futuro radioso al suo fianco.
Il punto forse meno convincente di questa puntata di Vikings risiede nelle scene della famigliola di Athelwulf. Alfred e la visione mistica danno quel tocco leggermente onirico che siamo abituati a vedere in Vikings, ma che non convince affatto quando usato da un cattolico. Il successivo raggruppamento delle truppe inglesi sotto il comando di Athelwulf appare un tantino forzato e macchinoso nei confronti della trama. Una certa fretta nel vedere ricongiungere il legittimo successore al trono con l’eroico vescovo Heahmund ha fatto sì che si creasse una contrazione a fini della trama che ha reso la scena poco realistica.
Ma mettiamo da parte le imperfezioni e apriamo un lungo elogio ad uno dei personaggio più eclettici di Vikings, che in queste due puntate ha dato prova della propria crescita e della propria ricchezza. Sto parlando del folle e giocondo Floki. Specie nella seconda puntata, Gustaf Skarsgård dà prova della sua capacità attoriale incontrastata: una totale immersione nel personaggio che lo ha reso famoso, che ci regala un Floki d’altri tempi. Ricorda molto quello delle prime stagioni, con un’unica eccezione: lo sguardo e le movenze trasudano saggezza e pacatezza che solo dopo anni di avventure egli ha acquisito. Le sue scene sono caratterizzate dall’assenza quasi totale di dialogo, scene che si incastrano perfettamente con i paesaggi mozzafiato dell’Islanda e l’espressività raggiante di un personaggio che ha compiuto un percorso mastodontico per arrivare in quello che lui crede essere Asgard.