ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sull’ultima stagione di Vikings.
Con la fine del 2020 è arrivata anche quella di Vikings, show di History che ci ha tenuto compagnia per ben sette anni. Unendo realtà storica con un pizzico di libertà creativa, Michael Hirst ha portato alla vita le affascinanti saghe vichinghe, rivisitando così uno dei periodi più interessanti della storia europea. Tuttavia, non sempre la serie è riuscita a incontrare le aspettative di pubblico e critica, soprattutto dopo la morte di Ragnar. Con essa Vikings ha cambiato volto, passando dal raccontarci prevalentemente la storia dell’eroe leggendario a una narrazione più corale. Tutto ciò per cercare di colmare l’assenza di un grande protagonista, ma anche per mostrarci meglio la storia del popolo vichingo.
Dopo una quinta stagione barcollante, con la sesta Vikings ha ritrovato un po’ della gloria del passato, chiudendo il cerchio con la scoperta di una nuova terra e la realizzazione del sogno di Ragnar. Ma se l’ultima scena è stata apprezzata da molti, ci sono elementi degli ultimi episodi che invece ci hanno lasciato perplessi. Innanzitutto, durante la visione dell’epilogo è stato impossibile non percepire l'”effetto Game of Thrones“, ovvero una fretta eccessiva nel chiudere le varie linee narrative. Un problema inevitabile se si considera quanta carne fosse stata messa sul fuoco nella 6A. Alla fine della corsa, Hirst si è ritrovato con troppe storyline e troppo poco tempo per dare un degno finale a ogni personaggio. Sia chiaro, non tutto è da buttare, anzi! Se avete letto la nostra recensione saprete già che ci sono diverse cose che ci sono piaciute.
Ma dal momento che abbiamo già elogiato ciò che meritava plauso, oggi ci concentreremo su tutto quello che invece non ha funzionato nelle ultime puntate.
Iniziamo con Kattegat.
La città ha sempre avuto un ruolo centrale nella storia di Vikings, tanto da diventare quasi un personaggio insieme ai grandi eroi della serie. Considerata la sua importanza nel corso delle stagioni, sarebbe stato impossibile metterla da parte nell’ultima fase della serie. Tuttavia, il modo in cui la sua storyline è stata gestita ha destato perplessità. La città diventa infatti il palcoscenico di intrighi e tradimenti che avrebbero potuto anche essere interessanti, se solo fossero stati sviluppati meglio. Il problema più grande in questa sezione narrativa sta dalla presenza di personaggi che, purtroppo o per fortuna, non sono stati approfonditi abbastanza.
Da una parte abbiamo Ingrid, seconda moglie di Bjorn che si scopre essere una strega. Un espediente introdotto solo negli ultimi episodi, e proprio per questo inefficace. La sua trasformazione da schiava a regina di Kattegat richiama l’evoluzione di tanti personaggi in Vikings, senza però avere la stessa potenza narrativa. Introdotta solo nella 6A, Ingrid diventa un personaggio centrale pur essendo una sconosciuta agli occhi degli spettatori. Lo stesso si può dire di Erik: se la sua controparte storica ha avuto il ruolo che è stato affidato a Ubbe, l’uomo che conosciamo nella serie ha un percorso piuttosto inconsistente. Cambia alleanze in continuazione, non è mai chiaro quale sia il suo vero scopo. E anche quando ci viene rivelato, finisce per essere un personaggio irrilevante che va incontro a una morte ingloriosa.
Allo stesso tempo, l’intrepida e fiera Gunnhild trova la sua fine in maniera frettolosa e forse anche un po’ out of character: la donna infatti rinuncia alla corona per ricongiungersi a Bjorn nel Valhalla. Una scelta sicuramente poetica, ma che ha anche eliminato una shieldmaiden dal grande potenziale che avrebbe potuto portare avanti l’eredità del marito. Se non altro la sua dipartita, così come il nuovo regno di Ingrid, ci mostrano quanto l’era dei grandi eroi vichinghi sia ormai giunta a termine, aprendo così la strada a un futuro incerto.
Anche la fine della storyline russa ci ha lasciato perplessi.
Un vero peccato, soprattutto se si considera il modo in cui era stata esaltata nella 6A. Il conflitto fra Vichinghi e Russi viene risolto nel giro di un paio di episodi, lasciandoci così con l’amaro in bocca. Inoltre, anche la fine di Oleg è stata gestita in maniera disastrosa. Quando ci era stato presentato, sembrava avesse tutte le carte in regola per diventare un antagonista coi fiocchi: senza scrupoli, sadico e circondato da un’aura mistica capace di intimidire chi lo circonda. Lo stesso Ivar era affascinato e turbato dal Profeta, e questo ci dice tutto.
Tuttavia, una volta ritornato in Russia quello che poteva essere un grande villain si trasforma in un generico psicopatico, in preda a deliri e visioni mistiche. La sua disfatta a Kiev si rivela così deludente e priva di pathos (salvo gli ultimi frame che lo vedono protagonista). Nessuna battaglia o resistenza, solo un folle il cui ruolo si rivela essere solamente funzionale al percorso di Ivar. Effettivamente, il tempo passato insieme all’antagonista (così come quello con Igor) lo cambierà, spingendolo a riflettere sulla sua stessa violenza e su fin dove sia disposto a spingersi per raggiungere i suoi scopi.
In realtà, all’inizio i due sembravano avere molto in comune, a partire dalla perdita della moglie. Ma se in Oleg non c’è pentimento per l’assassinio dell’amata, Ivar inizia invece ad averne con il passare del tempo. È forse per questo che il protagonista vedrà sempre Katya con l’aspetto di Freydis: la moglie del principe reggente incarna i suoi sensi di colpa, così come il desiderio di farsi perdonare da quella donna che sì l’aveva tradito, ma che aveva anche amato. Nonostante questa sia la spiegazione più plausibile, il mistero di Katya (così come il destino del figlio concepito con Ivar) è rimasto irrisolto, creando così un’altra crepa nella storyline russa.
Se alcune linee narrative di Vikings sono state affrontate con molta fretta, il viaggio di Ubbe invece si è protratto troppo a lungo.
L’attesa dei personaggi e del pubblico è stata poi ripagata con scenari meravigliosi e il ritorno di Floki, ma il percorso di Ubbe (il vero erede di Ragnar) prima di arrivare alla metà è piuttosto ripetitivo. Più che le sezioni in Islanda e Groenlandia, sono quelle in mare che hanno appesantito la storyline del primogenito di Ragnar e Aslaug. Molto probabilmente, con queste scene gli sceneggiatori volevano trasmetterci l’incertezza provata dagli esploratori durante la loro epopea. Ma piuttosto che utilizzare lo stesso espediente in più episodi, questi momenti di attesa potevano essere sfruttati per approfondire altri personaggi e storyline.
Sicuramente, Harald e Hvitserk ne avrebbero avuto bisogno.
Durante il confronto con Ivar, il Re della Norvegia capisce di desiderare solo una cosa: non la corona, ma il brivido della battaglia. È per questo che decide di tornare in Wessex, e liberare ancora una volta il suo spirito vichingo. Qui il suo percorso giunge al termine, ma non prima di aver rivisto l’amato Halfdan, il primo ad accoglierlo per portarlo nel Valhalla. Ma anche se è stato commovente rivedere insieme i due fratelli, ciò non toglie il fatto che la morte di Harald sia stata piuttosto deludente. Nella sconfitta riesce comunque a eliminare il suo assassino, ma ci saremmo aspettati un epilogo più epico per lui, o comunque degno di un vero guerriero vichingo. Sicuramente se lo sarebbe meritato dopo tutte le delusioni (e friendzone) ricevute nel corso della serie.
Ma se nella chiusura della sua storyline c’è comunque una certa coerenza, in quella di Hvitserk viene leggermente meno. Fateci spiegare: la sua conversione al cristianesimo permette a una parte dell’eredità di Ragnar di essere portata avanti. Il nome che poi gli viene dato, Athelstan, è un ulteriore richiamo al passato di Vikings. Ma nonostante ciò, la trasformazione finale di Hvitserk arriva troppo repentinamente e senza alcuna spiegazione. È vero, già in passato aveva mostrato interesse per altre religioni e sicuramente parte della sua decisione sarà stata influenzata da Alfred. Ma ciò non basta per spiegarci come sia passato dal promettere a Ivar di rincontrarsi nel Valhalla ad accogliere completamente una nuova fede.
In linea generale, possiamo dire che il suo percorso è sempre stato altalenante. Fra inquietudini e dipendenze, il Ragnarsson ha sempre fatto fatica a trovare il suo posto nel mondo. È proprio per questo che ci sentiamo di dire che forse abbracciare una nuova identità fosse l’unico epilogo possibile per Hvitserk. Peccato che non siano stati spesi 20 minuti in più per mostrarci come sia arrivato a questo finale.
Al di là delle critiche e delle discussioni che hanno fatto nascere, gli ultimi 10 episodi ci hanno comunque regalato tante emozioni. In particolare, i percorsi di Ivar e Ubbe ci hanno ricordato della grandezza del passato, aprendo allo stesso tempo una porta verso il futuro che probabilmente ci verrà mostrato in Valhalla, lo spin-off di Vikings. Detto questo, non possiamo che ribadire quanto sia stato un piacere seguire questa serie che, pur non essendo stata sempre perfetta, ha sicuramente lasciato un segno nella serialità e nei nostri cuori.