ATTENZIONE: L’ARTICOLO CONTIENE SPOILER SU VIKINGS
C’è un momento preciso all’interno delle stagioni di Vikings che rappresenta più di ogni altro i sentimenti inespressi tra padre e figlio. Un momento intenso, rapido, privo di dialoghi. Anzi, più che un momento, uno sguardo. Quello che Ragnar rivolge a Ivar durante la loro traversata verso l’Inghilterra. Quei limpidi occhi azzurri osservano il figlio mentre quest’ultimo sta guardando il mare. Occhi intelligenti, indagatori, colmi di preoccupazione ma anche di ammirazione verso quel giovane nato con un grave svantaggio, ma forte e determinato come nessuno dei suoi fratelli. Attraverso quegli occhi, Ragnar ha guardato oltre le apparenze, ha accarezzato l’anima di Ivar e ha visto le sue reali potenzialità. È tutto lì, in quella manciata di secondi.
Coloro che hanno visto e amato Vikings sanno però che per arrivare a questo traguardo, i due personaggi sono dovuti passare attraverso risentimenti e incomprensioni reciproci. Ragnar aveva abbandonato e quasi ucciso il piccolo in un bosco, poco dopo la sua nascita, respingendo sin dai primi istanti la sua disabilità. Anche in quella circostanza, furono sempre gli occhi di Ragnar a parlare. Spaventati, sconvolti, puntati dritti su quelle gambe senza consistenza, celate agli abitanti di Kattegat come una vergogna.
Nascosto dalla vista del padre, Ivar cresce, allevato dalla madre e da Floki, ma la sua vita trascorre su un altro livello di realtà. Guarda i suoi fratelli giocare, correre, ma non può partecipare. Striscia sul terreno o sul pavimento di casa, attento a tutto ciò che lo circonda, ma da una prospettiva differente. Dal basso verso l’alto. Schiacciato fisicamente ed emotivamente da una condizione che non ha scelto e che gli viene ricordata quotidianamente, in ogni azione, gesto e movimento che le persone sane danno per scontati.
Gli ultimi istanti tra Ragnar e Ivar sono stati la panacea contro tutto il dolore di entrambi. E non è un caso che un uomo così arguto e di ampie vedute come il sovrano di Kattegat, abbia voluto con sé proprio quel figlio. Arrivati sulle coste inglesi dopo uno spaventoso naufragio, i due hanno finalmente l’occasione di trascorrere del tempo insieme, senza le continue attenzioni della madre, Aslaug, e senza gli altri fratelli intorno. Ivar è al settimo cielo, visibilmente fiero di essere stato scelto per quella spedizione, come ammette lui stesso poco prima della partenza: “Un solo giorno con mio padre vale una vita di sofferenze”. Affronta ogni difficoltà senza scoraggiarsi ed è curioso di vedere ciò che troverà in Inghilterra. Inoltre è la prima volta che si allontana da casa, perciò il suo entusiasmo è autentico. Rappresenta un passo in più verso l’emancipazione.
Ragnar dal canto suo prende consapevolezza del fatto che la deformità del figlio non è un limite, come ha sempre pensato, bensì una qualità potente e unica. Si rende conto che Ivar è speciale non per colpa delle sue gambe, ma grazie a esse. E ammette, come solo le persone altamente intelligenti sanno fare, di aver sbagliato durante il suo passato. I due parlano a lungo, si guardano, si ascoltano attentamente. In questi dialoghi c’è reciprocità, scambio, comprensione, serietà, ma anche dolcezza e ironia. In fondo sono pur sempre padre e figlio.
Quanta tenerezza abbiamo provato nelle sequenze in cui Ragnar porta Ivar sulle spalle. Finalmente il ragazzo può osservare il mondo da una posizione elevata e anche privilegiata. Sono le spalle sicure di un personaggio importante agli occhi di tutti, ma per lui sono semplicemente quelle del suo papà. Il ragazzo inoltre inizia a capire che per Ragnar quel viaggio è la destinazione finale. Sta andando verso il suo destino mortale e non tornerà indietro. A un certo punto sembra persino che i ruoli si invertano. È Ivar a osservare il padre con apprensione ma anche con rispetto. Segue le sue indicazioni ma contemporaneamente si sente triste.
Quando giungono nel Wessex presso la corte di re Ecbert, i soldati prendono Ragnar a calci e a pugni davanti a un Ivar impotente. Nei suoi occhi leggiamo tutta la rabbia e l’odio che tanto hanno caratterizzato questo personaggio, ma in questo caso le sue emozioni sono più che comprensibili. Ha appena ritrovato il padre e ora lo sta perdendo di nuovo.
Quanto amore nelle parole di Ragnar mentre è rinchiuso in una gabbia, dove giura di non toccare cibo se prima non verrà dato al figlio. E quanto amore negli occhi di Ivar, quando scopre che il re di Kattegat è ancora vivo. In queste scene di Vikings noi spettatori abbiamo sperato, illudendoci, che in qualche modo Ragnar se la sarebbe cavata, come ha sempre dimostrato nel suo passato. Per certi aspetti ci siamo sentiti anche noi come Ivar. Preoccupati, impotenti e profondamente affascinati.
Durante questi episodi di Vikings inizia inoltre a delinearsi ciò che sarà il futuro, perché Ragnar e Ivar non rappresentano solamente un padre e un figlio, ma anche due visioni differenti di cosa voglia dire regnare. Che cos’è il potere? Come si può gestire nel modo migliore un intero popolo e dei territori? Abbiamo avuto la prova in più occasioni che Ragnar è un uomo d’azione. Un visionario e un esploratore, aperto alle diversità e all’incontro. Un direttore d’orchestra, che fa il gioco di squadra pur volendo indirizzare i compagni dal podio. Ivar invece è un solista. Un uomo di mente che vede il regno come una partita a scacchi. È un individualista e un accentratore, abituato alla solitudine e quindi capace di trovare la strategia migliore principalmente per sé stesso e per la propria sopravvivenza.
Sarà spietato, Ivar, nelle successive stagioni di Vikings, proprio come gli viene consigliato da Ragnar nell’ultimo discorso tra i due. Sarà arrabbiato, certamente. Ma è lui il figlio prescelto. Colui che con le lacrime agli occhi ascolta le volontà del padre per poi esserne separato per sempre. Ivar è l’ultimo famigliare a vedere Ragnar in vita. L’ultimo tra i norreni con cui il sovrano ha potuto parlare. Ma in questa fase della storia percepiamo ancora nelle parole del ragazzo quel candore tipico dei giovani, che si perde man mano che si diventa adulti. Ivar vuole essere felice, è stanco di sentirsi posseduto dalla collera. Sopravvaluta la felicità, forse perché non l’ha mai provata veramente nella sua vita.
E la risposta di Ragnar arriva puntuale, spiazzante ma vera. Il compito di un genitore è quello di far sognare i propri figli, ma tenendoli con i piedi per terra. Ragnar fa esattamente questo: incoraggia Ivar mostrandogli le sue qualità ma allo stesso tempo lo tiene ancorato alla realtà. Sa come gira il mondo e suo figlio deve essere pronto. Questo dialogo tra i due è semplicemente illuminante, perché anticipa e racchiude quella che sarà la trama di Vikings da qui alla sua conclusione. Semplicemente un capolavoro di scrittura e di recitazione.
Il ragazzo infatti prenderà in parola tutto ciò che gli è stato detto dal padre in quegli istanti e farà anche di più. La voglia di superare i propri limiti e di andare oltre i confini conosciuti è una peculiarità che Ivar eredita da Ragnar. Se quest’ultimo è stato il primo tra i vichinghi a spingersi così a ovest del mondo, il figlio più piccolo sarà il primo a spingersi a est. In questo modo, il percorso dei due personaggi confluisce in un unico punto, si divide per poi ricongiungersi, anche se in tempi e in luoghi differenti.
Gli episodi di Vikings dedicati al rapporto tra Ragnar e Ivar sono considerati tra i più belli e significativi dell’intera serie. Il merito è dato, come abbiamo detto qui sopra, da alcuni discorsi ma anche da alcune immagini divenute iconiche negli anni, le quali spesso fanno riferimento alla mitologia classica. Un esempio è la morte di Ragnar nella fossa con i serpenti (come dimenticarla?). Ma quando quest’ultimo lega Ivar all’albero dell’imbarcazione vichinga, non vi ha fatto pensare a Ulisse? E quando lo porta sulle spalle, non sono forse Enea e Anchise in fuga da Troia, ma a ruoli invertiti? Niente è stato lasciato al caso nel raccontare le ultime ore di vita di Ragnar insieme al figlio. Tutto è perfetto: i protagonisti, la ritrovata paternità, la sua eredità, i silenzi, gli occhi. Azzurri, come quelli di Ivar, e come il mare che ha reso così grande questo popolo.