Dopo tante storie di personaggi di successo, su Rai 1, nella prima serata del giovedì, il 20 ottobre arrivava una storia di insuccesso. Quella di Vincenzo Malinconico, un uomo gentile, pacato e insicuro che indossa la nobile veste del professionista forense per ragioni imprecisate. Tratta dai romanzi di Diego De Silva, la nuova fiction di Rai 1 con Massimiliano Gallo è una storia modesta, su un personaggio modesto, che finalmente brilla di luce propria. Una fiction composta e mite, che non tenta di copiare né i cugini europei né quelli statunitensi, ma che finalmente riesce a soddisfare per davvero le esigenze del pubblico generalista. “Televisione generalista” non è una parolaccia né un insulto. Nell’era dello streaming, in un’epoca in cui abbiamo facile accesso ai contenuti più disparati, la televisione pubblica – e in particolar modo, la rete ammiraglia – ha il dovere di confezionare dei prodotti che riescano a parlare a un pubblico estremamente variegato, pur offrendo un intrattenimento di qualità. E la vicenda di Vincenzo Malinconico ha una caratura universale che fa leva su un senso genuino di unità nazionale, cioè un qualcosa in cui possiamo riconoscerci. Forse, si tratta di uno dei prodotti fatti in Rai tra i più originali degli ultimi cinque anni. Una serie tv autentica che non si lascia trascinare dalla corrente, come ha fatto Sopravvissuti, ma segue una rotta bizzarra tutta sua. Una vicenda “molto italiana” (in senso buono!), ancorata alla propria epoca (il presente) e radicata al proprio territorio (Salerno) che si è liberata dai cliché e dal folclore di facciata. Salerno è protagonista, ma non abbiamo mai l’impressione di essere in una pubblicità promozionale. Del resto, i prodotti italiani più riusciti – nonché più apprezzati all’estero – sono proprio quelli che hanno fatto della territorialità una bandiera. Pensiamo a Gomorra, che viene vista sottotitolata perfino nel resto del mondo. E ancora Montalbano, L’amica Geniale, Strappare lungo i bordi, Boris e tantissimi altri prodotti italiani che sono apprezzati sia dentro che fuori il Paese proprio in virtù della loro identità. Un’identità forte, unica e per questo capace di trascendere i confini geografici.
Vincenzo Malinconico, il nazionalpopolare che funziona
Vincenzo Malinconico è quel nazionalpopolare che ci piace, mai ruffiano né facilone. Una storia impregnata di disagio che non si sforza di farci ridere. Eppure ci strappa tante risate, malinconiche. Il nostro avvocato è una maschera popolare contemporanea riuscitissima. Come ha scritto una nostra lettrice: “Come la Tataranni, amo questi due personaggi perché sono veri, imperfetti, non su un piedistallo e, come piace a me, sono sostanza e non forma!”. Dopo medici geniali, avvocati che sembrano usciti da un tribunale di Washington e improbabili capitani tormentati, arriva un uomo mite, un po’ ingenuo, a tratti “scemo”, in cui però ci riconosciamo. L’attore Massimiliano Gallo è perfetto nel ruolo del protagonista, che ha reso unico e apprezzabile per figli, nipoti, genitori e nonni. Se da un lato lo streaming ha permesso di produrre serie tv sempre più settoriali e destinate a target ben precisi, dall’altro, scarseggiano quei prodotti capaci di raccogliere e intrattenere un Paese intero, creando suggestioni e nutrendo l’immaginario collettivo; come la Rai ha saputo fare con Montalbano e Coliandro, ad esempio. Ancora oggi, è impossibile trovare qualcuno che non abbia mai usato la locuzione: “Montalbano sono”. E, a nostro avviso, Vincenzo Malinconico ha tutte le carte in regola per diventare il prossimo prodotto di punta della rete ammiraglia. Perché le sue divagazioni, su qualsiasi tema sociale, che sciorina come un rosario hanno tutto il potenziale per nutrire il nostro immaginario collettivo. Così come la sua postura, come “stringersi al petto la sua valigetta, come una coperta di Linus”, come ha dichiarato Gallo, il quale ha fatto un lavoro certosino per costruire il suo personaggio.
Quale potrebbe essere l’Inferno per un civilista annoiato? Ritrovarsi coinvolto in un caso penale anziché circondato dal torpore rassicurante dei contenziosi minori. Una premessa semplice, in cui però leggiamo un ritratto onesto e amaro del mondo del lavoro italiano. Sebbene si siano tenuti a distanza da intenzioni satiriche troppo esplicite, l’autore, Diego De Silva, insieme agli sceneggiatori Massimo Reale, Gualtiero Rosella e Valerio Vestoso sono riusciti a raccontare con leggerezza, ma intensità, uno spaccato che conosciamo benissimo, e soffriamo, tutti quanti. Vincenzo è nel mezzo del cammin di nostra vita (che oggi è rappresentato dai 50, anziché dai 30 anni), ma nella selva oscura ci vive da sempre. La sua, però, non è una storia di riscatto. È il racconto disilluso che non ci motiva né ci deprime: semplicemente ci unisce sotto la bandiera dell’imperfezione. Una beffa a chi ci vorrebbe sempre iper-produttivi. Sempre “al Top”.
Vincenzo non è un criminale né qualcuno che vorrebbe vivere fuori dai confini della legge. A suo malgrado, però, con quella realtà malavitosa ci deve convivere e, possibilmente, andarci d’accordo. Il suo “angelo custode” in giallo è forse la rappresentazione più complessa e realistica del rapporto tra civili e criminalità organizzata. Un rapporto subalterno obbligato, dal quale purtroppo non sempre si ha scampo. La coppia Gallo – Di Leva è divertente così come lo sono Malinconico – Tricarico. Eppure – quando realizziamo la dinamica – il loro rapporto ci fa raggelare, ma è la malinconia a salvarci. “La compagnia” di quella macchia gialla ambulante, improponibile, è il compromesso che mandiamo giù come si fa con un caffè con due cucchiaini di sale. Una dinamica che, per usare le parole di Gallo, vuole “smontare il ‘gomorrismo'”.
Anche il rapporto con Benny La Calamita (Luca Gallone) è impregnato di certe dinamiche sociali fin troppo note. Benny è insoddisfatto, ma non fa nulla per migliorare la sua condizione di “figlio di papà”, fortunato ma ingrato. Tra confessioni sincere, sciagure e dispetti al giudice di pace, per usare le parole di Gallone, si è creata una gustosa “atmosfera di certi buddy movie in salsa nostrana”. L’ironia di Vincenzo Malinconico è bonaria, semplice, ma mai banale e arriva perché sa mettere in scena le sciagure quotidiane in cui ci imbattiamo quotidianamente. Così, la forma cinematografica che omaggia deliberatamente la commedia all’italiana e i colori polverosi della fotografia – avvolti da quella patina di malinconia che abita le sedi della burocrazia, come tribunali e ministeri – ci riportano in una dimensione familiare; pur non mettendo al centro la famiglia tradizionale tanto cara a Rai 1.
“Vincenzo è un perdente, non un fallito”
A Fanpage.it, Massimiliano Gallo ha offerto la chiave di lettura per comprendere, e apprezzare, il suo personaggio. Vincenzo Malinconico parla spesso “a vanvera”, ha sempre la risposta sbagliata e non vince mai. “È un perdente di successo, ma non è un fallito”. Un antieroe contemporaneo stanco, ma gentile e carismatico. Vincenzo è “un non vincente per scelta. È un uomo cresciuto sotto un certo retaggio, ma è un buono e un perdente di successo. Un loser di successo”. Non capisce i messaggi vocali, si tiene alla larga da situazioni in cui sa di non appartenere e fa della malinconia il suo approccio alla vita. Un approccio universale, un atteggiamento innestato nel nostro DNA. Tuttavia è proprio nel contrasto e nella diversità con la maggioranza dei personaggi seriali italiani che troviamo la sua nota di originalità: “Il mio Malinconico smonta Gomorra e la retorica sugli uomini” , dice Gallo. Ebbene noi, un personaggio così unico, autentico e recitato con altrettanta verità e autenticità, su Rai 1, non lo vedevamo da tempo.
Vincenzo Malinconico è una fiction moderna che sa parlare un linguaggio moderno, capace di affrontare la realtà senza retorica, ma con un protagonista all’antica, che fatica a capire il presente che avanza. Insomma, un Achille intorpidito che a rincorrere la Tartaruga non ci pensa proprio. Le sue digressioni sull’omosessualità, l’emancipazione femminile, le relazioni interpersonali, il matrimonio o la criminalità suonano sincere e autentiche perché fuoriescono dalla bocca di un personaggio sincero e autentico. Ed è questa l’operazione che ci aspettiamo dai prodotti di Rai 1: essere unici e originali, ma allo stesso tempo arrivare al cuore di tutti. Un equilibrio decisamente complicato da mettere in scena. La serialità in chiaro ha bisogno di prodotti così, leggeri, ma mai banali; ironici ma che sappiano anche lasciarci con un pensiero, una riflessione.
Quattro prime serate in nome della spensieratezza impegnata. Una fiction originale, ma semplice, che distrae e allieta. Una narrazione seriale ibrida, una disavventura italiana a metà tra il cinema e il teatro, la fiction e il cabaret. Un materiale di partenza tutto italiano, d’autore e ispirato. Un intreccio insolito, ma comprensibile da tutti. Un cast eccezionale, un personaggio che filosofeggia e una storia capace di raccontare le sciagure quotidiane pur strappando tante risate, malinconiche. Insomma, “l’operazione malinconia”, per noi, è stata un successo. La formula “generalista” perfetta e ideale, che ci auguriamo di vedere su Rai 1 replicata in altre forme e colori.