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Ecco perchè Vinyl non doveva assolutamente essere cancellata

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La cancellazione improvvisa di Sense8, e il successivo cambio di programma, impongono una riflessione su altre Serie Tv troncate in maniera inaspettata. Malgrado nell’ultimo periodo Netflix si sia preso la ribalta in tal senso, quello dei mancati rinnovi è un problema con cui tutte le emittenti devono convivere. Persino la HBO, nota da sempre per agire fuori dagli schemi, si è trovata, nel 2016, a dover cancellare la quotatissima Vinyl.

Fin dagli esordi la Serie Tv, prodotta da Mick Jagger e Martin Scorsese, ha attirato su di sé le peggiori critiche. Critiche che hanno un peso specifico ancor più ingombrante se unite agli ascolti mai veramente decollati. Ciò malgrado la seconda stagione non sembrava in pericolo, forte di un rinnovo già annunciato; il cambio alla guida, Scott Burns in luogo del pluridecorato Terrence Winter, sembrava poter placare gli animi, prima del clamoroso dietrofront.

Francamente dispiace. Vinyl ha i suoi difetti ma resta comunque un prodotto validissimo, lungi dall’essere un fallimento o una delusione.

Colonne Sonore

Se guardiamo all’insieme, l’errore più grave in cui sono incorsi gli autori è aver lasciato eccessivo spazio di manovra al protagonista, sperando di dar vita a un nuovo, iconico, antieroe. Richie Finestra – interpretato dall’ineccepibile Bobby Cannavale – non può elevarsi al grado del Tony Soprano/Don Draper/Nucky Thompson di turno. Egli è “solo” un impresario tossico, figlio del suo tempo: le sue peculiarità sanno di già visto e non sono comparabili alle complesse caratteristiche psicologiche dei personaggi succitati.

Il ridondante richicentrismo, inoltre, ha un po’ frenato lo sviluppo di altre figure estremamente interessanti, come Zak, Devon, Andrea, o i Nasty Bits. L’esclusione di Devon dal season finale, ad esempio, resta la decisione più infelice dell’episodio, sia per lo spessore del personaggio – a cui si aggiunge un’interpretazione magistrale di Olivia Wilde – sia per come si era conclusa la puntata precedente.

Tornando a Richie, proprio il finale di stagione – e di Serie – ci mostra la sua versione migliore, con annessi benefici alla trama. Egli è riuscito a strappare a Lester un accordo per i diritti della canzone Woman Like You (nella mia personale playlist da un anno); ha resuscitato Kip, a un passo dall’overdose, in una scena rubata alla filmografia scorsesiana; infine ha chiamato la polizia esponendo i Nasty Bits al buzz mediatico, la miglior pubblicità per l’epoca.

In sostanza, se fino a quel momento abbiamo respirato gli anni Settanta soprattutto grazie a una soundtrack BESTIALE, finalmente anche il protagonista, con le sue azioni, ci immerge in quell’atmosfera frenetica e surreale. Il Richie che, per una volta, affronta e risolve problemi invece di crearli si è rivelato il valore aggiunto della puntata e chissà che questo non avesse potuto fungere da ponte in vista della seconda stagione.

A sostegno di un rinnovo, che non sarebbe dovuto mancare, troviamo anche storyline secondarie ugualmente interessanti.

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In primis quella di Zak, vale a dire il “buono” della storia. È il personaggio con il quale siamo più portati a empatizzare, segnato da sofferenze reali e compromessi quotidiani. È però anche un ingenuo di natura, sicché si trova spesso, suo malgrado, in situazioni grottesche, borderline, che fanno emergere l’impronta inequivocabile che Scorsese dà alla Serie Tv.

Altrettanto importante è il punto di vista di Vinyl riguardo alla questione razziale, particolarmente sentita in un periodo di grossi cambiamenti come i 70’s. A subirne gli effetti è soprattutto Lester, un personaggio che ha avuto un’evoluzione incredibile e che, proprio nell’atto finale, completa la sua metamorfosi. Infatti, da talento mancato del blues, egli diventa un manager senza scrupoli e chissà in che modo sarebbe stata sviluppata la sua vicenda.

Non di meno, grande attenzione è rivolta all’emancipazione della figura femminile, incarnata ora da Andrea, ora da Jamie. Se una Serie Tv come Mad Men aveva delineato i canoni della rivoluzione rosa a cavallo degli anni ’50 e ’60, Vinyl ne mostra il sottoprodotto. Le donne degli anni ’70 si fanno strada a suon di spallate per trovare il proprio posto nel mondo, consce che le opportunità sono ora infinite. Ne consegue un ritratto della donna tutt’altro che limpido, ma senz’altro più forte e consapevole di esserlo.

In generale in Vinyl traspare un bagaglio qualitativo enorme e, per molti tratti, ancora inespresso.

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Sulla musica (come dice Richie, “l’unica cosa veramente importante“) è stato fatto un lavoro divino. Sia per quanto riguarda la soundtrack, tra le migliori di sempre in una Serie Tv; sia come rappresentazione della contaminazione di generi – dal rock alla dance music – che ha caratterizzato gli anni Settanta. Scene come la cover di Life on Mars, ad opera di Trey Songz, dimostrano una raffinatezza d’esecuzione estrema: l’omaggio perfetto a Bowie nel momento più consono possibile.

Al netto di omicidi, overdose, scazzottate, la stagione di Vinyl si chiude in modo lineare, senza cliffhanger. Questa scelta potrebbe spegnere ogni velleità di rinnovo che, peraltro, la HBO non ha mai palesato. Eppure un finale chiuso, a coronamento di una stagione anfetaminica e folle, lascia un po’ l’amaro in bocca. Chi ha apprezzato la Serie Tv, come il sottoscritto, sa che un happy ending non si addice al movimentato periodo storico e sociale.

L’eccessiva pubblicità, nel caso di Vinyl, si è rivelata un’arma a doppio taglio. Dati i nomi altisonanti coinvolti nella produzione, infatti, tutti si aspettavano un prodotto radente la perfezione. Ciò ha portato la critica e gli spettatori a non risparmiare stroncature altamente ingenerose, specialmente in patria. Eppure, soppesando punti di forza e difetti, il bilancio propende nettamente a favore dei primi: irrilevante al cospetto della dura legge del mercato.

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