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Un’opinione onesta sul finale di Vis a Vis

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Il finale di Vis a Vis. Un’epopea della rivolta di donne detenute per strappare alle sbarre la propria libertà. Sono tante le serie sulle carceri. I prison drama in questi anni hanno spopolato, ma poche sono quelle al femminile, di fatto due: team Orange, Orange Is The New Black – e team AmarilloVis a Vis. Il prezzo del riscattodi cui abbiamo raccontato qui le differenze. Io, per una naturale predisposizione al dramma, ho sempre prediletto le detenute in giallo: la tuta in offerta, “quella che costava menocome confessa l’ex direttrice Miranda Aguirre Senén mentre si trova sotto il sadico sguardo di Goya, una delle protagoniste più inquietanti e pericolose della serie.

Goya Vis a Vis

Ma non è solo la tensione drammatica a rendere Vis a Vis una serie forte e il finale, seppur su piani simbolici e finzionali, un’avvincente rappresentazione del riscatto sociale rispetto alle condizioni carcerarie, in particolare quelle femminili. È anche lo stile, il linguaggio, le espressioni e quelle singolari soluzioni lessicali che gli spagnoli, quando sono bravi, sanno conferire ai dialoghi, imprimendovi una carica verace, tra il rude e il popolare, semanticamente densa.

Senza voler ripercorrere tutta la serie, nata dalla mente di Alex Pina, creatore de La casa di carta e abitata da interpreti a noi già note e care, Alba Flores, Nairobi ne LCDC e qui Saray Vargas, e Najwa Nimri, Alicia Sierra ne LCDC e qui Zulema Zahir, proviamo a tessere un’opinione onesta sul finale, metaforicamente espresso nel pregnante titolo dell’ultima puntata: La marea gialla.

Cos’è e cosa rappresenta la marea gialla?

La marea gialla è un insieme di mani alzate e unite che veste e ingloba il piano simbolico delle scene finali innescando un incontro, una chiusura del cerchio, con la dichiarazione di intenti espressa, sin dall’inizio della storia, dal testo della sigla Agnus Dei cantata da Cecilia Krull e composta da Manuel Santisteben. Gli stessi hanno firmato il successo My life is going on per La Casa di Carta. Due brani dal sound contemporaneo, non a caso vincenti e radiofonici, di quelli che non vuoi, quasi non riesci a skippare ma ascolti e riascolti a ogni nuovo episodio.

No tenemos miedo. Siempre fuimos fuertes.

Le parole e il groove di Agnus Dei sono la prolessi e al contempo il messaggio che spiega il finale della serie rendendolo in tal modo poetico, estetico, puramente filmico. Vis a Vis non intende offrire una critica sociale al pari di un’inchiesta, sebbene spesso compaiano scene in cui le protagoniste vengono intervistate sulla loro vita in carcere in una emulazione dello stile documentaristico.

La conclusione di Vis a Vis vuole essere, in modo semplice, per certi versi sentimentale e naïf, un inno alla ribellione, alla libertà riconquistata contrastando gli abusi di potere, tratti che ritroviamo simili ne La Casa di Carta che infatti fa da traino, anche rispetto ai tempi di uscita su Netflix, alla cugina spagnola.

Macarena e Zulema Vis a Vis

Per commentare il finale di Vis a Vis in modo onesto senza contrastarlo o giudicarlo dal punto di vista della scrittura e da quello concettuale e politico, bisogna sospendere totalmente l’incredulità. Abbandonarsi alla finzione, all’adrenalina della vendetta, al canto della rivolta e al paradosso di assistere a una trasformazione dal basso del sistema. Come Macarena dice lucidamente a Zulema, quando quest’ultima è accecata dal bisogno di uccidere Sandoval per vendicare la morte della figlia: “il problema non è Sandoval, è il sistema”. Quindi bisogna sovvertire il sistema.

Sovvertire il sistema nel finale di Vis a Vis non è un atto politico, ma un impeto d’amore.

È l’Alzheimer che avanza nella mente di Sole ad accendere il bisogno collettivo di proteggerla dal male, incarnato dal perfido direttore Sandoval, una specie di Christian Grey molto più oscuro, perverso e ripugnante. Un uomo che usa la sua posizione al vertice del potere giudiziario per compiere abusi sessuali e tremendi ricatti nei confronti delle detenute. Forse un cliché per un prison drama al femminile, dentro una sceneggiatura talvolta approssimativa e melodrammatica, ma ciò non toglie potenza visiva ed emotiva alla scena, simile al Cesaricidio, del suo accoltellamento da parte della Marea gialla.

Sandoval Vis a Vis

A portare Sandoval al centro del girotondo guerrigliero delle donne, assetate di sangue e vendetta, è proprio Zulema che Sandoval, le volte in cui la tiene in pugno, definisce “Elfo infernale”. Sandoval che credeva di cacciare, adesso è la preda.

La metafora, nel crudo dialogo tra Zulema e Sandoval, del pesce gatto che terrorizza e agita i merluzzi così da renderli più in forma per quando verranno prelevati dalle navi, torna in questa scena del finale di Vis a Vis. I merluzzi sono tanti e lui è un pesce gatto solo. Quindi chi terrorizzerà chi?

Alla fine le donne ne escono vincenti. La morte violenta di Sandoval si unisce alla morte pacifica di Sole, accompagnata dalle sue amiche di cella, accolta tra le loro braccia e salutata con il loro canto. Sole si congeda serena dalla vita, ringraziandole per averla difesa e protetta, innalzata a ragione principale, familiare della lotta all’istituzione. Alla fine è Sole la prima a uscire di prigione…

Vis a Vis ci restituisce infine un grande ritorno, Macarena.

Quanto è stato atteso il suo ritorno e quanto tragica e spaventosa la sua uscita di scena?Inghiottita dalla centrifuga di una lavatrice e tirata fuori per miracolo da Zulema, la sua acerrima nemica, la sua figura speculare. La bionda e la bruna. Macarena e Zulema, come Ettore e Achille. L’una la nemesi dell’altra. Opposte ma unite, controvoglia, da un destino congiunto e da un’intelligenza acuta che le rende simili.

Il titanico risveglio dal coma di Macarena rimarrà un momento, come quella della lavatrice, impossibile da dimenticare: anche qui emerge la furia vendicativa, nelle forme della legittima difesa, della donna contro l’abuso dell’uomo, l’infermiere che la tocca e la fotografa mentre lei è distesa su un letto, incosciente. Macarena si risveglia d’improvviso e lo attacca alle spalle strozzandolo con il tubo della flebo, mostrando la temeraria fermezza e la violenza necessaria per difendersi dalle sopraffazioni del sesso maschile. Non c’è nulla in questa scena che richiami l’umanità, assurda ma delicata, di Benigno, l’infermiere che accudisce Alicia in coma in “Parla con lei” di Pedro Almodovar. C’è solo abuso, la banalità e lo squallore del male.

Il finale di Vis a Vis coincide quindi con il ritorno “a casa”, alla Cruz del Norte, di una Macarena pronta a tutto pur di riconquistare la sua libertà perché se resta in carcere, muore.

Macarena e Zulema, due pistolere, animatrici della rivolta, di nuovo insieme protagoniste. Per tentare un’opinione onesta del finale non possiamo nascondere un certo piacere nel rivederle insieme, un sollievo. Come se tutto può ancora cambiare.

macarena e zulema

E infatti tutto cambierà. Il finale di Vis a Vis è un happy ending.

Le storie si chiudono, la voce narrante di Tere – che nel frattempo ha scontato la pena, si è disintossicata, ha messo su famiglia ed è diventata assistente sociale nello stesso penitenziario che prima la deteneva – ci racconta come stanno tutte le altre della Marea Gialla. Tra alti e bassi, il reinserimento sociale e professionale, che ogni carcerato meriterebbe, una volta saldato il debito con la giustizia, è avvenuto.

Solo due di loro mancano all’appello, la rubia y la morena, Macarena e Zulema che vediamo scintillanti nella sequenza finale, come esperte e affiatate ladre in negozi di lusso. Ma questa è un’altra storia, tutta da vivere con lo spin-off Vis a Vis – L’Oasis.

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