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Lucio Corsi vuole essere un puro: la “scoperta” di Verdone e il trionfo della normalità

Lucio Corsi canta con Topo Gigio a Sanremo
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A proposito di Lucio Corsi, del sogno di Carlo Verdone e di un artista al quale siamo finalmente pronti.

È sempre bello sorprendersi. Oggi lo è come non mai. Immersi nel buio di un tempo che corre all’impazzata, ci ritroviamo a tornare indietro di decenni. Stupirsi è diventato un lusso, e sognare è ormai un atto sovversivo. L’arte si traduce in un’arma di sopravvivenza per abbracciare la vita nella sua essenza più pura. Un’essenza fanciullesca e spontanea, a misura d’uomo. Parallelamente, serve coraggio per sfuggire alle narrative dominanti che spesso sviliscono l’individualità di artisti con molto da raccontare. Essere altro, persino se stessi. La spontaneità come antidoto all’omologazione. Andare oltre un sistema senza scontrarsi con esso. Accarezzarlo e poi prendere un’altra strada, creando un legame immediato con chiunque cerchi rifugio in una dimensione atemporale, sospesa tra la tradizione dei grandi poeti e la contemporaneità.

Succede allora che il Festival di Sanremo del 2025, il Festival che più di ogni altro ha soffocato gli imprevisti negli ultimi anni, ci abbia regalato anche altro. Una vera sorpresa, all’esordio. La nascita di una stella, la tempesta perfetta: Lucio Corsi.

Aggiungeremmo all’elenco anche Dario Brunori, terzo con un cantautorato che rievoca con impegno e senza spocchia le pagine perdute di una musica della quale abbiamo ancora un gran bisogno, e Joan Thiele, altra autrice dal grandissimo talento che ha finalmente trovato una platea all’altezza del suo potenziale. Tuttavia, non si offenderà nessuno se concentriamo l’attenzione su Lucio Corsi, vincitore morale del Sanremo appena concluso (nonché vincitore del Premio della Critica.) La sua “Volevo essere un duro” è un personalissimo inno generazionale che abbraccia le fragilità, ridicolizza la viltà della mascolinità più tossica e ci riporta a un’idea di arte dalla forza onirica. Il sogno di un bambino disilluso che si proietta in avanti e arriva a noi con ironia e leggerezza. La sua è la poetica di un autore consapevole dello spazio in cui si muove e dell’indipendenza che ci si augura possa salvaguardare.

Lucio Corsi con Topo Gigio nella serata duetti di Sanremo 2025 - Credits: Rai Uno
Sanremo 2025 – Credits: Rai Uno

Lucio Corsi non cela i riferimenti principi della sua poetica: unisce Ivan Graziani a David Bowie, ci porta sulla Luna col salto di una lepre e omaggia Modugno attraverso Topo Gigio. Torniamo a Dalla e Peter Gabriel, ai Blues Brothers, Toy Story, Paolo Conte, Lou Reed e Iggy Pop, senza mai dimenticare i tortelli della nonna. Il suo è un microcosmo variegato ed eclettico che si poggia alla tradizione, corre liberamente tra i decenni e non smarrisce mai un’unicità che ne fa un autore eccezionale. Un autore che si spera possa fare da colonna sonora alle nostre vite nei prossimi decenni. Tutto arriva da lontano: le paure dell’infanzia sono un impulso creativo.

L’ispirazione e il metodo si combinano così in uno slancio artistico che cerca la sua dimensione oltre i compromessi.

Lucio Corsi ci spiazza al punto da creare uno spazio nel quale distogliamo l’attenzione dall’oscurità e cerchiamo la luce tra le stelle, col naso all’insù. Ovunque nel mondo ci siano ancora sprazzi di bellezza che non si arrendono alla disillusione. Vivere, in fondo, significa anche questo, ma ogni tanto serve qualcuno che lo ricordi.

Il secondo posto sanremese di Lucio Corsi è qualcosa di più di un semplice dato numerico. Analizzarlo troppo, incasellarlo in definizioni e teorie, significherebbe sottolinearne le peculiarità artistiche, ma anche perderne l’immediatezza e il magnetismo.

Sarebbe un errore, e altrettanto si può dire delle necessità di un sistema che ora sembra dover fare i conti con la sua poetica: purtroppo, di solito accade il contrario. Un sistema che ora cerca le catalogazioni più familiari se non addirittura le etichette più semplicistiche, per questo vacue. La posta in gioco è altissima: da una parte, si troverà una dimensione popolare, dall’altra si rischia di smarrirne l’identità che l’ha portato a un passo da una delle vittorie sanremesi più sorprendenti di sempre.

Il suo posto ideale, tuttavia, è il secondo. Il secondo posto che si destina spesso ai numeri uno. A chi sa sfuggire alle narrative, sorprendendo tutti. Lo stesso secondo posto che fu occupato da Elio e le Storie Tese nel 1996, per esempio. Ma altrettanto potremmo dire di Enzo Carella nel 1979, di Giorgio Faletti nel 1994 o de Lo Stato Sociale nel 2018. Sì secondi, si fa per dire.

Carlo Verdone conduce Sanremo in una scena di Vita da Carlo 3
Credits: Paramount+

Non la pensa così, tuttavia, uno di che la materia musicale la conosce fin troppo bene: Carlo Verdone.

Lui, infatti, Lucio Corsi l’ha “scoperto”, l’ha portato a Sanremo prima di chiunque altro e aveva deciso di farlo vincere. Il cantautore, infatti, aveva già vissuto un’esperienza sanremese nel 2024. Una simulazione, ma non solo. Nella terza stagione di Vita da Carlo, infatti, lo sconosciuto Corsi era parte del cast messo insieme da Verdone, immaginatosi direttore artistico di un Festival di Sanremo che si riproponeva di raccontare qualcosa di diverso dal solito. Qualcosa di valido, al di là delle logiche discografiche contemporanee. Lucio Corsi ne è il manifesto, al punto da averne fatto il suo personalissimo vincitore. Ha dato una voce al suo Sanremo che non vedremo mai, portandolo nella realtà. Ne ha parlato in un’intervista rilasciata nelle scorse ore al Corriere della Sera: “In realtà la scena l’abbiamo tagliata, ma nelle mie intenzioni a trionfare era proprio lui…”.

Ma come è arrivato a Lucio Corsi?

“Per la serie abbiamo chiesto a varie case discografiche di segnalarci alcuni artisti nuovi. Appena ho ascoltato lui, la rivelazione: ma chi è questo qui che possiede un’ironia gentile, che vive di stupore? Lo voglio conoscere”. Verdone sottolinea la sua gentilezza e la sua umiltà, rimarcandone allo stesso tempo la consapevolezza di cosa voglia raccontare e come trasmetterlo al prossimo: “Sì, la sua modestia è immensa, ci siamo scambiati messaggi affettuosi per tutto il Festival. Però, attenzione, modestia non significa arrendevolezza”.  D’altronde, Lucio è capace di dire nove sì e un no, perché è molto sicuro del suo percorso artistico”.

E ora? “Ora ha conquistato anche le mamme e i portinai, sarà costretto a uscire dal suo guscio, ma con calma, perché avrà ancor più fiducia in se stesso”.

Lucio Corsi in un'esibizione a Sanremo 2025
Credits: La Nazione

È evidente che Corsi abbia avuto la forza di proporsi al grande pubblico con un racconto alternativo, senza snaturarsi in alcun modo.

Uno in cui un artista può ancora salire sul palco di Sanremo con un pezzo scritto da lui, senza troppi filtri. Essere se stesso fino in fondo, con la massima autenticità. Vestirsi come gli pare. Essere altro, rispetto alle logiche commerciali imperanti. Un caso sempre più eccezionale, di questi tempi.

Non si può non riconoscere, d’altronde, che lo spazio per gli indipendenti sia sempre più ristretto.

Dario Brunori ha avuto la prima opportunità sul palco più prestigioso della musica italiana a 47 anni, anche se è uno dei cantautori più validi in circolazione da almeno quindici anni. E Lucio Corsi non è a sua volta un artista alle prime esperienze: ha 31 anni e una discografia eccezionale alle spalle, ma pochissimi lo conoscevano fino a pochi mesi fa. È servita la visione di Verdone e il clamore mediatico di Sanremo per farci arrivare pronti a un appuntamento a cui speravamo di arrivare senza manco saperlo.

La sua esperienza di successo, allora, è un invito per tutti noi.

Sarebbe bene uscire dalla nostra bolla, andare in giro per locali come ha fatto Verdone nella sua serie e inseguire il talento: ci renderemmo conto di avere una visione miope del panorama attuale nella sua globalità. Per un Lucio Corsi che ce l’ha fatta ce ne sono tanti altri in circolazione che arricchirebbero le nostre vite con la loro arte. Con ogni probabilità, però, non avranno mai l’opportunità per mettersi in luce.

Facciamolo, perché sorprendersi è ancora bello. Perché la bellezza sta anche nella sintesi, nell’essenziale, nell’immaginazione. È bello essere normali. Imperfetti. Ancorati alla semplicità, fino a renderla speciale. È persino bello essere nessuno, se riusciamo a liberarci dalle aspettative soffocanti di una società che avrebbe un gran bisogno di spezzare certe catene. Guardare alle stelle sì, con i piedi per terra. Essere l’eccezione alla regola, anche se le regole sarebbero altre: “vivere la vita”, in fondo, dovrebbe essere “un gioco da ragazzi”. Penso che un sogno così non ritorni mai più, cantava Modugno prima di ritrovarne l’intensità negli occhi di un grande amore. Proviamoci, quindi: certe volte, basta riscoprirsi bambini con la consapevolezza di un adulto per sentirsi davvero completi.

Antonio Casu