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Caro Diario, sono io, Wanda

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Caro diario,

sono io, Wanda.

Quella che si è appena conclusa è stata una giornata di straordinaria importanza per via della Ricorrenza. Quale? Non lo so, in effetti. Io e Visione non siamo riusciti a venirne a capo, ma il cuore apposto sul calendario in corrispondenza della data odierna suggeriva in maniera inequivocabile che ci fosse qualcosa da festeggiare. Immagino che il “cosa” ci sovverrà a tempo debito, e che potrò raccontarlo in una delle prossime pagine.

La nostra nuova vita a Westview procede a gonfie vele. È passato appena qualche giorno dal nostro arrivo (credo, almeno; non ricordo quando sia avvenuto, né dove fossimo prima del trasferimento), ma siamo già perfettamente inseriti nel tessuto di questa ridente cittadina fatta di ordinate villette a schiera e piccole attività a conduzione familiare.

Hai presente la sensazione di essere esattamente nel posto adatto a te? È quella che provo quando vago tra i corridoi o in mezzo ai viali costeggiati da staccionate e siepi, con i sorrisi degli abitanti del luogo che accompagnano ogni mio passo. È passato qualche giorno dal nostro arrivo (suppongo; non avendo dati certi su cui basarci, daremo per buona quest’approssimazione), ma tutti sembrano ancora impegnati a darci il benvenuto con i loro instancabili atti di cortesia.

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Le persone del quartiere sono affabili e disponibili, quasi come se fossero programmate per far sentire me e Visione a nostro agio. La più gentile di tutte è Agnes, la mia vicina di destra (la sua, non la mia). La dolce, cara e premurosa Agnes. Mi ha fatto visita questo pomeriggio e si è ripresentata qualche ora più tardi, quando mi sono ritrovata alle prese con una cena che non avevo la benché minima idea di come preparare.

Agnes si è materializzata con ricetta e ingredienti al seguito, quasi come se fosse stata evocata dalla mia difficoltà. La conosco da meno di un giorno, ma ho già l’impressione che sia una sorta di angelo custode che veglia su di me, pronto a intervenire a ogni occasione di bisogno. Un angelo custode dalla lingua piuttosto lunga, certo, ma il tempo che passo ad attendere il ritorno di Visione andrà pur riempito in qualche modo: una compagnia loquace come la sua non potrà che farmi bene.

La cena a cui ho fatto cenno era per quattro persone. A me e a Visione si sono aggiunti il suo capo, il signor Davis, e la sua deliziosa consorte, la signora Davis. È stato un vero piacere averli come ospiti. L’unico momento sgradevole della serata è stato quello in cui il signor Davis ha rischiato di soffocare con l’arrosto. Un attimo prima stava ponendo domande in merito alla storia mia e di Visione (domande banali, ma che mi hanno addosso un certo malessere, come se a dispetto delle apparenze nascondessero un’insidiosa minaccia da sventare) e un attimo dopo il boccone che aveva ingurgitato gli è andato di traverso, facendolo annaspare in cerca d’aria.

Non è buon costume parlare a bocca piena; credo di aver avuto una madre che me lo ha insegnato, un tempo, anche se non ricordo il suo volto né il suono della sua voce. Tutto ciò che ha preceduto il nostro arrivo a Westview è immerso in un’oscurità fitta e impenetrabile, una di quelle che nemmeno la luce con i suoi bagliori è in grado di dissipare (o forse sono io che non intendo farlo).

Ma torniamo al quasi soffocamento del signor Davis. Malgrado l’episodio sia stato, come dicevo più sopra, decisamente sgradevole, mentre andava in scena la signora Davis ha cominciato a ridere di una risata incerta ed impacciata, come se il marito la stesse mettendo in imbarazzo con un comportamento sconveniente. Una reazione ben strana, se me lo chiedi. Tra un risolino e l’altro lo pregava di smetterla, ma lui continuava imperterrito a tossire e ad ansimare, rosso e gonfio in viso, ostaggio di quel boccone screanzato che non voleva saperne di scender giù.

A quel punto è accaduta una cosa ancor più inspiegabile: la signora Davis mi ha guardato e ha rivolto a me le sue preghiere, come se quel che stava accadendo fosse colpa della sottoscritta. Te lo assicuro, diario caro: non è affatto così. Io non ho fatto niente, niente, e chi mi accusa del contrario è un bugiardo che gode a minare la felicità altrui.

Ma è uno sforzo del tutto inutile, perché niente potrebbe intaccare la pura, totale, prorompente felicità che sento dentro. Mi riempie a tal punto da non lasciare spazio ad altro. Dolore, angoscia, disperazione; sono come scorie drenate dal mio corpo, come veleno estrapolato dal mio sangue, come ruggine finalmente grattata via dalla mia pelle. Sono felice, solo e soltanto felice, e non lascerò che mi venga strappata questa felicità.

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L’incidente si è risolto nel migliore dei modi: ho gentilmente chiesto a Visione di aiutare il signor Davis (o forse gliel’ho ordinato; è che c’era davvero bisogno che qualcuno intervenisse a risolvere la faccenda) e lui ha usato i suoi poteri per farlo tornare a respirare liberamente. A quel punto io ho ricorso ai miei per cancellare dalle menti dei nostri ospiti l’increscioso accaduto: sarebbe stato un ricordo spiacevole da conservare, e inoltre c’era il rischio che la scoperta delle nostre abilità rovinasse tutto, esattamente com’è successo quando— non ricordo in che occasione, onestamente, ma so che è meglio che la nostra vera natura resti un segreto.

Qui è tutto come l’ho sempre sognato, mio carissimo diario. Se non fossi sicura che è la realtà, penserei che si tratti di un’illusione costruita a immagine e somiglianza dei miei desideri. Mi sento immensamente grata ad avere tutto questo: una splendida casa, un marito meraviglioso, dei vicini adorabili; una vita praticamente perfetta.

Vado a letto con la certezza che domani ci sia ad attendermi un altro incredibile giorno da vivere qui a Westview, l’ennesimo giorno in cui nulla di male potrà accadere.

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