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Watchmen 1×06 – La realtà è in bianco e nero

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Watchmen 1×06 recensione
e commento con spoiler

This Extraordinary Being non è un episodio. È un’esperienza. Ma è anche molto di più, non solo nell’economia di una serie che sta costantemente alzando l’asticella della qualità, ma lo è in senso assoluto. Damon Lindelof ha gettato la maschera ed è uscito allo scoperto. Finora aveva trattato il materiale originale di Moore e Gibbons con la cura e il rispetto che si confà a un gioiello antico. Passando dal prima al dopo gli eventi raccontati negli anni ottanta senza osare toccare il sacro testo. Ma in Watchmen 1×06 andiamo oltre. Il sacrilegio si compie. La bolla sicura e fragile si rompe.

Diretta da Stephen Williams e scritta da Damon Lindelof e Cord Jefferson, This Extraordinary Being si insinua nella storia originale di uno dei personaggi secondari dell’opera di Moore, ma tra essi il più rappresentativo: Hooded Justice.

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Giustizia Mascherata. Il primo eroe in maschera, l’ispiratore dei Minutemen, il primo vero vigilante. Il più grande mistero lasciato in eredità da Alan Moore: chi è Hooded Justice?

Questa domanda ha ossessionato Lindelof (qui la sua intervista a Collider) come tanti ragazzi che si sono trovati a leggere il fumetto di Moore. La domanda nasce dal fatto che tra loro i vigilanti si conoscono, si chiamano per nome. Tutti sanno che il Comico è Edward Blake e in privato lo chiamano Eddie. Capitan Metropolis è Nelson “Nelly” Gardner o che Byron Lewis sia Mothman. Solo Giustizia Mascherata è chiamato semplicemente “H.J.” – Hooded Justice. Perchè?

L’occasione era troppo ghiotta per Damon. Mettere mano alla storia originale. Sfruttare le zone d’ombra lasciate da Moore e diventare a sua volta demiurgo di Watchmen. Non solo di uno straordinario sequel, come già sta avvenendo, ma dell’opera prima. Cambiare per sempre la lettura di Watchmen, senza cambiare nulla di ciò che fu scritto da Moore. Geniale.

Sarebbe basta solo questa intenzione per rendere interessante il lavoro di Hbo. Ma è il come la realizza che fa restare senza fiato. Non inventa nulla. Aveva preparato e predisposto tutto. Molti tra il pubblico avevano letto i chiari indizi messi loro dinnanzi da Damon & Co.

Eppure quando iniziano a scorrere le immagini e passano i minuti, quando le intuizioni trovano conferma, lo stupore, la bellezza, la raffinatezza di ciò che vediamo lascia senza fiato. Siamo al cinema o in divano?

L’episodio di Watchmen 1×06 si apre con le immagini lucide e pulite della serie American Hero History: Minutemen. Giustizia Mascherata in una sala interrogatori davanti a due agenti del FBI. I due mettono alle strette il vigilante informandolo di aver scoperto la sua relazione con Nelson Gardner, Capitan Metropolis. Facendo leva su questo e sul fatto che Nelly ha una relazione anche con J. Edgar Hoover, il primo direttore del Bureau, lo costringono a svelare la propria identità.

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Watchmen 1×06

In una scena carica di tensione l’eroe cede. Allenta il suo cappio e mostra il suo volto. La bellezza di “supermaniana” memoria del volto è la rappresentazione ideale dell’eroe americano. Il super uomo scolpito nell’acciaio, dalla mascella squadrata e fiera. Quando i due tentano di fotografarlo però vengono aggrediti e uccisi dal vigilante. L’inquadratura si allarga mostrando lo schermo di un televisore all’interno del comando di polizia di Tulsa.

Inizia così la più importante delle origin story che Watchmen ci ha mostrato finora. Il tema delle origini è fine e mezzo di ciò che Lindelof vuole raccontarci. Angela aveva ingerito, alla fine dello scorso episodio, le pillole di Nostalgìa che aveva ricevuto da suo nonno, Will Reeves. Si trova ancora confinata in una cella del comando dove Laurie cerca di persuaderla a firmare il consenso alla lavanda gastrica. L’assunzione infatti di una dose così alta di farmaco, soprattutto da un individuo che non sia il “proprietario” dei ricordi, può essere letale. Troppo tardi. L’effetto sta colpendo Angela in modo dirompente. Il viaggio è iniziato. Rullo di tamburi.

Il viaggio non è solo metaforico, ma reale. Accompagniamo Angela nel rivivere l’esperienze, i ricordi, le emozioni di suo nonno Will. “Sta iniziando?” Chiede Laurie, mentre Angela smette di prestarle attenzione e inizia a concentrarsi su un ufficiale di polizia in bianco e nero che suona un tamburo.

Pochi secondi di girato unito ai fotogrammi con cui si è aperto Watchmen 1×06 e alla mente sovvengono le parole di Wim Wenders: “Il mondo è a colori, ma la realtà è in bianco e nero“. La voce distorta di Laurie, i suoni del comando di polizia si fondono nel rullo di tamburo che ci apre la scena sulla cerimonia di conferimento del distintivo dei cadetti della polizia di New York nel 1938.

Watchmen 1x06
Watchmen 1×06

Per rendere evidente la presenza di Angela nei ricordi di Will, il regista Stephen Williams si affida a un semplice movimento dell’inquadratura. Un movimento fluido e continuo in cui la telecamera si sposta dall’immagine di Angela seduta sul palco, con il resto della classe dei cadetti, al capitano che tiene un discorso. Poi torna dove era seduta Angela, solo che al suo posto vediamo Will (interpretato da Jovan Adepo). La stessa tecnica si ripete quando Will riceve il suo distintivo. Non dal comandante, come gli altri, ma da Samuel J. Battle, il primo ufficiale di polizia afroamericano assunto nel distretto di New York City.

Con una scena veloce e immediata, Williams stabilisce un una cifra narrativa inquietante per il viaggio in Nostalgìa. Oltre a fornire una spiegazione visiva facilmente decodificabile per comprendere quello che sta succedendo. E siamo solo all’inizio.

Il movimento si ripete lungo tutto l’episodio. Williams scambia Will e Angela costantemente nelle scene chiave. Angela è fin dall’inizio il punto di vista del pubblico, incarna il nostro sguardo. Ma è altrettanto chiaro il suo ruolo di investigatrice: pone le stesse domande che abbiamo noi. E cerca lei, per tutti noi, di ottenere le risposte.

Ma Watchmen 1×06 porta questa relazione Angela/pubblico a un livello nuovo.

Quando Will viene picchiato, rapito e minacciato dai suoi colleghi per aver arrestato un uomo, bianco, vicino al KKK, la scena diviene ansiogena e la fusione Will/ Angela/pubblico totale. Ciò che inizia come uno scoppio violento osservato dal punto di vista di Will, che viene preso a calci in faccia, si muta in un terrificante ineluttabile destino. Apre gli occhi solo per vedere due uomini che lo trascinano verso un albero con una corda da impiccato che penzola da un ramo. La visione in soggettiva di Will si interrompe solo per un momento per farci vedere il cappio stretto attorno al collo. Siamo nuovamente nei suoi occhi e vediamo il cappuccio coprirci il volto. Siamo sollevati da terra. Il respiro affannoso, sempre più faticoso. Soffochiamo con Will mentre i suoi tormentatori guardano.

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Watchmen 1×06

Cadiamo a terra. Veniamo liberati e riceviamo il duro avvertimento “tieni il tuo naso nero fuori dagli affari della gente bianca“. Williams taglia l’inquadratura in soggettiva per mostrarci Will, e quando lo fa, è Angela che giace nella sporcizia. Il sangue che le riga il viso, il respiro ansimante dal dolore.

Questa scena dà forma alla sconosciuta e nuova storia dell’origine di Hooded Justice. Ma è anche e soprattutto una straordinaria sequenza di transfert emotivo e viscerale. Non c’è ovviamente modo di sapere cosa voglia davvero dire passare attraverso un esperienza del genere, ma il potere di questa scena e in generale di questo episodio deriva da quanto bene Williams, Jefferson e Lindelof abbiano catturato e trasmesso la prospettiva di Will.

Le scelte del regista enfatizzano e animano quanto gli sceneggiatori avevano già deciso. William è il soggetto, Angela è l’osservatore. La combinazione dei due diviene così in grado di dipanare la trama e collegare il passato e il presente. La rabbia di Will non è solo sua, è anche quella di Angela.

C’è molta rabbia dentro Will Reeves. Prima che il vecchio si sedesse ingannevolmente sulla sua sedia a rotelle c’era un Will che camminava a fatica. Che assisteva a un dolore e una sofferenza impensabili. Inimmaginabili: la sua città, la sua gente, i suoi genitori erano stati cancellati. Spazzati via da suprematisiti bianchi. Assistere a queste violenze a queste atrocità perpetuate dal puro odio che non cede alla vergogna, da bambino, ha creato il Will di ieri e di oggi. Will è arrabbiato. È arrabbiato da sempre. Da prima che sapesse cosa farsene di quella rabbia. Ed è arrabbiato ancora oggi.

Giustizia Mascherata nasce da questa rabbia, come si intuisce nel secondo episodio. Nasce dal tentativo della moglie di Reeves, che altri non è che la neonata avvolta nella bandiera americana, che Will trova nel prato nel episodio d’apertura. Una donna che cerca di incanalare l’odio e la paura del marito sperando si possa dissipare. Ma in realtà lo fortifica.

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Vediamo l’incontro tra Hooded Justice e Capitan Metropolis. La nascita dei Minutemen. La delusione dell’abbandono dei nuovi compari mascherati quando chiede loro di aiutarlo a sconfiggere la minaccia di “Ciclope“, il piano dei suprematisti per mesmerizzare la popolazione nera e spingerla a uccidersi tra loro. Ma tutto questo è solo un’ulteriore corroborazione della rabbia di Will.

Due ulteriori momenti sono davvero significativi. La chiacchierata che Will ha con un uomo fuori da un’edicola mentre è di ronda. E l’assalto nelle vesti di Giustizia Mascherata al magazzino nascondiglio del KKK.

L’uomo che incontra all’edicola offre un affascinante parallelo per il viaggio di Will nella lotta al crimine e nell’indossare un mantello: Superman. L’uomo infatti sta leggendo “Action Comics n. 1” la prima apparizione dell’archetipo del supereroe. Proprio come il bambino che è stato messo su una nave spaziale dal padre, appena prima che il suo pianeta esplodesse, Will è stato nascosto in una cesta legata sul retro di un’auto, poco prima che la sua città esplodesse. Curioso, ma non certo casuale il riferimento a Superman. Infatti il primo supereroe della cultura pop america non è un americano. Ma di fatto un immigrato planetario.

La seconda scena invece è riferita all’assalto di Hooded Justice al magazzino del KKK. Dopo aver eliminato gli uomini all’interno Giustizia finisce nel negozio antistante il magazzino. Il proprietario, l’uomo che aveva arrestato all’inizio dell’episodio e che aveva portato Will a essere quasi appeso cerca di sparargli con un fucile. Will salta fuori dalla vetrina infrangendo i vetri, mostrandoci la reale sequenza d’eventi che avevamo invece visto nella serie fittizia (e nella graphic novel). L’immagine si ferma e l’inquadratura ruota in mezzo ai vetri in frantumi portandoci d’innanzi all’uomo mascherato. Gli occhi che si intravedono sono nuovamente quelli di Angela. La sequenza carica di una forza evocativa profonda ci mostra il volto di Laurie, prima, e di Cal, poi, che cercano di “risvegliare” Angela dal coma. Ma Angela non ha ancora finito il suo viaggio. Deve continuare.

Watchmen 1x06

L’uso sapiente dei pianosequenza è la firma chiara è indelebile di questo Watchmen 1×06.

Tecnica capace di sottolineare e accompagnare lo sguardo in profondità nelle dinamiche che si svolgono sulla scena. In grado di sancire lo scorrere del tempo scenico mutando una situazione nelle successiva senza soluzione di continuità. Le musiche poi sono un ulteriore piano narrativo superbo e usato con maestria.

Smoke gets in your eyes cantata da Eartha Kitt ci introduce in modo quasi didascalico in questa puntata dove, ancora una volta, niente è ciò che sembra. Ma è con la delicatezza anni ’40 di We three (my echo my shadow and me) dei The Ink Spots che scendiamo nelle atmosfere fumose e a tratti cupe della New York di quegli anni. La colonna sonora quindi diviene ulteriore elemento per sottolineare il forte desiderio di destrutturazione, di rielaborazione e di amore che Lindelof ha per Watchmen.

This Extraordinary Being è un’episodio sulla rabbia. Su quella rabbia originata dal dolore. E questo dolore ha attraversato generazioni. Perché le persone come Will non sono disposte a lasciarlo andare via, a lasciarlo morire. Ma non solo. Il Capitano Crawford a fine episodio, nel flash back che ci conduce a svelare la sua morte, ha difeso fino all’ultimo il suo diritto di conservare l’abito del Klan di suo nonno. “Ho il diritto di tenerlo. È la mia eredità“, dice. “Se sei orgoglioso del tuo retaggio, perché l’hai nascosto?” Questo è quello che replica Will, ma non è una domanda. È una sentenza: non puoi esserne orgoglioso e non dovresti tenerlo. A meno che tu non sia disposto a difendere tutto il quello che da esso ne deriva.

Watchmen 1×06

Questo non vuol dire che il Capitano meritasse questa condanna. La rabbia di Will deriva dalle sue giuste intenzioni, ma non pretende giustizia. Sta agendo solo per vendetta.

Una sorta di riequilibratore. Fortissimo il parallelo tra Will che uccide i membri del KKK e brucia il loro covo, dopo che a Tulsa, il KKK aveva ucciso la sua famiglia e bruciato la sua comunità. Ma questo gesto non cancellerà mai il precedente. Quando Will si confronta con la moglie June, dopo aver visto il figlio vestirsi come Hooded Justice, lei gli dice:

“Pensavo che ti avrebbe aiutato a liberarti di ciò che avevi. Ma non te ne sei liberato. L’hai solo nutrito.”

Combatti il fuoco con il fuoco. Ma la rabbia genera solo più rabbia. E la violenza genera altra violenza. Will sta cercando di appianare la bilancia della giustizia, senza però comprendere che sta solo alimentando ancora il dolore che provoca la divisione razziale. Ormai mancano solo due giorni al Doomsday e la fine dei conti sta arrivando. Riuscirà Angela a spezzare la catena d’odio e placare l’escalation di rabbia? O ne verrà inevitabilmente travolta? Restano solo tre episodi per scoprirlo.
Tic, Toc. Tic, Toc.

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