Watchmen 1×07 recensione
e commento con spoiler
È stata l’assenza più presente in questo Watchmen. Quella luce appena intuibile al di fuori del campo visivo ma che si percepisce chiaramente: Jon Osterman è tornato. “Il superuomo esiste ed è americano” con queste parole nella graphic novel originale veniva annunciato al pubblico, da un giornalista, il dottor Manhattan. Ma andiamo con ordine. Dopo l’episodio superbo della scorsa settimana dove abbiamo scoperto la vera identità di Hooded Justice, i legami tra Judd Crawford e il Settimo Cavalleria e le origini del nonno di Angela Will Reeves, questa settimana Watchmen 1×07 ci precipita in un caleidoscopio di eventi e colpi di scena da togliere il fiato.
“An Almost Religious Awe” che dà il titolo all’episodio di questa settimana è un riferimento diretto alle parole pronunciate dallo stesso dottor Manhattan durante il suo intervento nella guerra del Vietnam quando, in meno di una settimana, pose fine al conflitto. Gettando così le basi da un lato all’annessione dello stato asiatico come cinquantunesimo stato americano e dall’altro all’abrogazione del 22° emendamento della costituzione da parte di Nixon per farsi rieleggere più di due volte.
“The Vietcong are expected to surrender within the week. Many have given themselves up already. Often, they ask to surrender to me personally, their terror of me balanced by an almost religious awe.”
“I Vietcong dovrebbero arrendersi entro la settimana. Molti si sono già arresi. Spesso, chiedono di arrendersi a me personalmente, il loro terrore nei miei confronti è bilanciato da un timore reverenziale quasi religioso.”
Quello però che è importante capire, e questa puntata ci aiuta in tal senso, è che il Dr. Manhattan non ha vinto la guerra solo per la minaccia di annientamento. Ha commesso delle reali atrocità. Allo stesso modo in cui Ozymandias per salvare l’umanità ha dovuto sacrificare tre milioni di persone.
Watchmen 1×07 è nuovamente una origin story. Onirica ma approfondita di ciò che ha reso Angela Abar la donna che è oggi.
Un episodio carico di immagini e significati dal forte impatto politico ancor più che sociale. I dettagli della storia alternativa arrivano inizialmente in silenzio. Vediamo un documentario che descrive la storia da immigrato tedesco del giovane Jon Osterman e il suo ruolo, come dottor Manhattan, nella guerra del Vietnam. Poi i colori divengono sgargianti e le note di Linving in America ci mostrano gli intrighi e le devastanti tensioni politiche che imperversano nell’ultimo stato annesso agli USA. Il tutto raccontato dalla prospettiva e con gli occhi di una bambina. Angela.
In questa scena introduttiva, ambientata poco dopo gli eventi del fumetto, l’attenzione della telecamera insiste su una marionetta di Manhattan che avanza contro i Vietcong. La metafora ci suggerisce una riflessione: chi stava davvero tirando i fili durante la guerra? Vedremo poi, prima della fine, quanto questa domanda sia altrettanto rilevante nel 2019.
A dominare è l’amaro retrogusto della vittoria in Vietnam. Una parte della popolazione non ha salutato gli americani come liberatori. Se da un lato Manhattan ha posto fine a un guerra, dall’altro ha anche posto fine a uno stile di vita. Ma siamo nell’origin story di Angela, quindi vediamo come perdere entrambi i suoi genitori in un attacco kamikaze rappresenta solo una parte del percorso che la porterà a vestire i panni di un vendicatore mascherato.
La fissazione di Angela sull’immagine di Sister Night – una figura fittizia di un blaxploitation movie – una suora pistolera è il primo elemento per completare la genesi della sua iconografia come futura combattente del crimine. Il secondo elemento è un distintivo della polizia di Saigon, tenuto sotto il cuscino accanto al nastro VHS di “Sister Night” dopo la morte dei suoi genitori.
Questo distintivo le è stato dato da una poliziotta vietnamita che ha catturato uno degli attentatori che uccisero i suoi genitori. E che la piccola Angela aiuta a identificare.
La piccola capisce, dopo l’identificazione in macchina del terrorista, che questo non subirà alcun processo e verrà invece sommariamente giustiziato nel vicolo. Angela chiede di poter restare e sentire il colpo di pistola che ucciderà l’uomo. A quel punto la poliziotta le consegna il distintivo e le dice di andarla a cercare quando sarà cresciuta.
Con questa introduzione ha perfettamente senso il comportamento che le vediamo tenere nei primi episodi. Con che facilità raduna gli abitanti di Nixonville a Tulsa in nome della sicurezza. Angela è stata modellata dal terrore e dalla violenza, oltre che da un senso autoritario di giustizia.
Questa non è l’origin story di una ragazza con un futuro nelle forze dell’ordine. Questa è la storia di origine di qualcuno che abuserà del potere del distintivo, forse anche per una giusta causa, ma comunque al di fuori dell’idealismo della “fiducia nella legge” che suo nonno aveva abbracciato come giovane cadetto. Angela Abar non è mai stata così tanto ingenua.
Dove finisce il passato e inizia il presente? Dove inizia Angela e finisce Sister Night? I ricordi di Angela si fondono e confondono con quelli di Will. Il sacco messo in testa all’attentatore di Saigon per giustiziarlo diviene quello messo sul volto di Will dagli uomini del KKK. Questo matrimonio di immagini aspre collega la storia della violenza istituzionale americana in patria e all’estero. Una violenza fondata sulla disumanità. Il distintivo della polizia a cui Angela si aggrappa è il contraltare di quello su cui cola il sangue di Judd Crawford, visto da Will. L’eroe poliziotto per una persona è il razzista segreto di un’altra. Lindelof non ha certo timore di affrontare tematiche tanto divisive. Come non lo ebbero Moore e Gibbons.
Questo flusso di ricordi è dovuto alle terapie che lady Trieu sta adottando per salvare la detective dopo l’overdose di Nostagìa.
Nei momenti di risveglio, quando riacquisisce lucidità, affronta una serie di discussioni con la stessa lady Trieu e con la figlia Bian. Che si scopre essere un clone della madre di lady Trieu, nel quale la donna installa la notte i ricordi della madre mediante assunzione di Nostalgìa. La ragione di questa azione, aberrante, è così tremendamente umana da risultare quasi giustificabile. Lady Trieu sta per attivare il Millenium Clock e salvare (qualunque cosa questo voglia dire) l’umanità dalle azioni perverse che stanno per perpetuare il Settimo Cavalleria. In questo momento di trionfo non vuole essere sola. Vuole avere la madre al fianco.
“I bianchi mascherati sono eroi; i neri mascherati fanno paura.”
Laurie Blake, dopo aver appreso che Looking Glass non si trova più a casa sua ma è scomparso dopo aver sterminato il gruppo d’assalto del Settimo Cavalleria e aver preso una maschera di Rorschach, ascolta le registrazioni dei deliri di Angela sotto gli effetti di Nostalgìa. In uno dei primi momenti di calo della serie (dettati sicuramente dallo scarso tempo restante e dalla necessità di far avanzare la trama) Laurie affronta Jane Crawford, la vedova del comandante Judd. Apparentemente per metterla in guardia dai finti amici del marito, poiché sospetta che lui facesse parte del Settimo Cavalleria.
La donna però non era a parte dei coinvolgimenti del marito e dopo aver fatto raccontare tutto a Laurie, in modo un po’ troppo didascalico rispetto a quanto visto nei precedenti episodi, la fa cadere in una botola.
Qui Laurie incontra il senatore Keene e, con un altro dialogo un po’ troppo piatto, scopriamo che il piano non è farlo divenire presidente. Ma trasformarlo in un nuovo dottor Manhattan e ristabilire l’ordine e la supremazia bianca.
Alla luce di tutte queste informazioni, Laurie sembra sempre di più il centro morale della serie.
Una donna, forse dai modi bruschi, il cui cinismo però nasconde un desiderio genuino di ripristinare l’ordine e soprattutto la giustizia. Il suo aperto disprezzo per Sister Night, “Mirror Guy” e chiunque altro indossi una maschera è fondato. E si basa sulle dure lezioni apprese fin dai suoi tempi come Silk Spectre II, in cui ha assistito in prima persona a molte delusioni profonde del sistema e delle persone.
Prima del potente finale non possiamo evitare di tornare in orbita di Giove da Adrian Veidt. Un anno dopo la sua cattura da parte del Guardacaccia è a processo. In una scena grottesca e straniante che ricorda per certi versi il film “M” di Fritz Lang: Adrian è alla sbarra con addosso gli abiti di Ozymandias. Pubblico, accusa e giuria sono composti dai consueti cloni Mrs. Crookshanks e Mr. Philips. Veidt decide di autodifendersi. L’accusa, mossa da una Mrs. Crookshanks, gli rammenta tutte le atrocità commesse prima e dopo il suo esilio. Queste reminiscenze producono infine un’unica lacrima sul suo volto. Appena prima che la dissolvenza ci riporti alla sua statua nel giardino di lady Trieu.
L’intera vicenda è teatrale fino al punto di essere grottesca e in questo vi è il nocciolo della sua bellezza. A difesa dei genocidi commessi Veidt risponde con una grande e sonora flatulenza. Il giudice sostituisce la giuria scusandosi con i cloni per questo: perché per giudicare Ozymandias serve una giuria alla sua altezza. E fa entrare un branco di maiali. La sentenza è scritta: colpevole. Ma è davvero interessante notare come anche questa situazione serva a sottolineare la difficoltà che gli oppressi hanno nel consegnare alla giustizia i loro oppositori e alla fine si trovano costretti a uscire essi stessi dalla legge.
Il burattinaio vietnamita, nel tentativo di opporsi all’occupazione americana, diventa un terrorista; Will, nel tentativo di combattere la supremazia bianca, diventa un vigilante violento e opportunista; il Guardiacaccia mascherato, nel tentativo di combattere Ozymandias, lo umilia introducendo un branco di maiali come una “giuria dei suoi pari”.
Ma siamo agli sgoccioli. Giusto il tempo per sottolineare la bellezza di alcune scene e poi ci tuffiamo nel finale di questa Watchmen 1×07. Innanzitutto, dopo la scelta di far produrre a Spielberg il film “The Pale Horse“, nel quinto episodio, scopriamo che David Cronenberg ha diretto Fogdancing. Trasposizione cinematografica dei Racconti del Vascello Nero. Damon Lindelof sta costruendo una filmografia immaginaria e alternativa che a questo punto sarebbe davvero gustoso veder realizzata.
Splendida l’atmosfera da “A Scanner, Darkly” che viene messa in scena per l’iniezione “tutorial” che Angela riceve come parte del suo trattamento per la cura contro l’overdose di Nostalgìa. La società della Treiu fornisce sia la droga che la cura: richiesta e offerta, l’anima del commercio.
La terza sequenza è legata al desiderio di Angela di ottenere risposte da Will. Seguendo il tubo che le drena i ricordi del nonno arriva nella stanza dove presumibilmente è rinchiuso. Entra e trova un elefante. Letteralmente. Dove sia andato Will è ancora un mistero. Forse si trova già all’interno del Millennium Clock. Sebbene la funzione della macchina non sia ancora chiara, mancano però poche ora alla sua messa in funzione. Ma è l’immagine stessa di un “elefante nella stanza” che è superba. Lo è perché indipendentemente delle spiegazioni pseudo scientifiche per cui la memoria degli elefanti è proverbiale e li potrebbe rendere degli ottimi (ma un po’ ingombranti) dispositivi esterni di archiviazione, possiamo vedere rappresentato in carne e ossa un tipico modo di dire anglosassone. Indica infatti una verità che, per quanto ovvia e appariscente, viene ignorata o minimizzata. Come avere un elefante nel salotto e fare finta di niente. A un certo punto diviene impossibile. E Watchmen ci sta costringendo ad affrontare molti elefanti che abbiamo cercato di non vedere.
Ora ci siamo. Angela scopre uno strumento in mano a lady Trieu per archiviare e registrare tutte le telefonate che le persone fanno al dottor Manhattan. Una pletora interminabile di richieste, questue e preghiere.
Lady Trieu giunta sul posto spiega ad Angela che tutti invocano l’aiuto del dio Blu provando a chiamarlo su Marte. Ma lui non li ascolta. Non li sente nemmeno. Ma non come tutti pensiamo per il suo distacco dall’umanità. Ma semplicemente perché non è li. Non si trova su Marte. La donna continua dicendo ad Angela che il dottor Manhattan è sulla terra, in sembianze di uomo. Si è fatto di nuovo uomo e cammina tra noi. Proprio a Tulsa.
Svela a questo punto che il suo Millenium Clock vuole fermare il piano del Settimo Cavalleria, che da li ha un’ora avrebbe catturato il dottor Manhattan per rendere il senatore Keene come lui, uccidendolo. Angela si allontana e alla domanda di lady Trieu: “Ti ho appena detto che è qui a Tulsa, sotto spoglie umane, e non mi chiedi neanche chi è?“, ma lei si limita a fissarla negli occhi mentre le porte dell’ascensore si chiudono.
Angela sa. Ha sempre saputo. Lindelof ci porta nel cuore del vortice che è Watchmen con il suo personaggio più atteso.
Angela torna a casa. Degli uomini del Settimo Cavalleria sono nascosti li attorno. Il marito Cal dorme sul divano con il libro “Per chi suona la campana” sul petto. Si sveglia sentendo i rumori i cucina. Va da lei che sta armeggiando con i cassetti, poi lei si gira con un martello in mano. La tensione è crescente. Cal con la consueta flemma rotta appena da un malcelato timore cerca di capire cosa stia succedendo. Angela gli ricorda che avevano affrontato questo momento in una precedente conversazione. Ma Cal non ricorda nulla prima del 2009, prima del suo presunto incidente in macchina (qui il documento caricato su Petypedia). Angela dice di amarlo. Angela lo chiama per nome: Jon.
I colpi ripetuti sul volto dell’uomo a terra fino a che con le dita non estrae dalla sua fronte il simbolo dell’atomo di idrogeno. Una luce blu fosforescente si spande tutto attorno illuminando la scena. Le note in sottofondo di Life on Mars? di David Bowie fanno da preludio alla verità: il dio Blu è tornato, anzi, non se n’era mai andato. La resa dei conti è vicina. Ma il superuomo vorrà ancora interferire e giocare a dadi con il destino dell’umanità?
Tic, Toc. Tic, Toc.