Watchmen 1×09 recensione
e commento con spoiler
Il cerchio è chiuso. Il punto d’arrivo lambisce inesorabilmente il punto di partenza. Ma basata un rapido movimento di camera che ruota l’inquadratura per renderci conto che non è un cerchio quello che stiamo osservando, ma una spirale. Inizio e fine, alfa e omega, coincidono solo da un unico punto di vista. L’eterno ritorno verso noi stessi di nietzschiana memoria attraversa l’intera Serie di Watchmen per giungere a compimento in questo atto finale. Watchmen 1×09 “See How They Fly” dimostra che questo remix di Lindelof e della HBO ha la portata, il peso e la forza per lasciare una traccia indelebile nella serialità. Non tanto per questo finale in sé, ma per il percorso netto che da un teatro muto del 1921 compie una rivoluzione completa e lì torna quasi cento anni dopo a rievocare la medesima tragedia, senza sbavature ma osando e spingendo l’asticella sempre più in alto. Fino al cielo.
Quanti temi ha messo in campo Watchmen. Il razzismo, certamente, il primo e più evidente. La solitudine, presentata e affrontata in una moltitudine di sfaccettature. Le maschere e il loro significato. L’odio, la paura e la rabbia. L’ambizione. L’amore. Da dove iniziare dunque ad affrontare questo atto finale? Partiamo dal titolo: “See How They Fly“. Si tratta di un verso tratto da “I am The Walrus” canzone scritta da John Lennon e Paul McCarthy nel 1967 ma nella versione dei Spooky Tooth. Viene usata per accompagnare i titoli di coda, ma il cui testo rappresenta una linea guida sonora per comprendere il finale psichedelico e lasciato volutamente aperto. Non incompiuto, ma come un “punto a capo” che permette, volendo, di aprire un nuovo discorso. In uno dei versi la canzone dice: “I am the egg man”. Ecco l’uovo è il simbolo di questo Watchmen. Ma arriviamoci per gradi.
La simmetria del finale di Watchmen è assolutamente meravigliosa. Una Serie che inizia nel Dreamland Theatre di Tulsa e lì finisce.
In entrambe le occasioni al sue esterno stanno avvenendo degli attacchi devastanti e terribili. E in entrambe le occasioni Will Reeves (interpretato in un caso da Danny Boyd Jr. e poi da Louis Gossett Jr.) siede tra le fila fissando sopra il palco. Oltre cento anni fa, sua madre si trova poco più in là, al pianoforte, e un secolo dopo sua nipote Angela, è li accanto a lui. Quando lasciò il teatro da bambino la sua famiglia stava per essere distrutta. Quando ne esce da vecchio, la sua nuova famiglia è unita. Con il singolo e drammatico sacrificio del solo Cal.
La domanda che attraversa l’intera vicenda di Will e che lo accompagna fino al parallelo finale è semplice: cosa è cambiato? La risposta è tanto semplice quanto dolorosa: non abbastanza.
Per Will, la sua vita piena di sofferenze e perdite culmina in una riunione. Nell’essere di nuovo visto per l’uomo dietro la maschera e nelle preziose lezioni che lascia alla generazione successiva. Sembrerebbe un lieto fine e lo è, ma non del tutto. Nonostante tutti gli anni di lotte e combattimenti contro il crimine come Hooded Justice, i suoi sforzi più grandi, efficaci ed eroici avvengono solo quando decide di agire senza maschera. Senza bugie dietro cui nascondersi. Attraverso una dose eccessiva di Nostalgìa, e poche parole scelte oculatamente in un cinema, trasmette il suo vero eroismo ad Angela.
La rabbia di Will era generata dalla paura. La paura, dal dolore: “Non puoi nasconderti sotto una maschera, Angela“, dice. “Le ferite hanno bisogno di aria per guarire“.
In questo delicato e struggente scambio tra membri della famiglia, il potere collettivo di Watchmen si rivela. Non esiste una soluzione semplice a problemi complessi. Non esiste una soluzione semplice al razzismo e all’ingiustizia.
Non c’è un piano segreto che possa sradicare tale odio e pregiudizio dalla storia del mondo. Né tanto meno che possa impedire che ribolla di nuovo mentre pare sopito sotto la coltre del tempo che passa.
Non c’è l’azione di un dio o di un genio, folle o meno che sia, che può risolvere tutto questo. Watchmen 1×09 ci mette di fronte alle nosytre responsabilità. Gli sforzi devono essere fatti per mantenere la pace, ma le soluzioni non verranno dall’alto, che si tratti del calamaro dell’uomo o della mano di Dio, e non verranno da persone che indossano maschere. Arriveranno quando tutti le toglieranno.
L’unica strada da percorrere è l’ascolto, la condivisione di storie, come quelle di Will. Ciò che Damon Lindelof, Nicole Kassell, Tom Spezialy e molti altri hanno creato è una storia magnifica e sostanziale non solo per le voci che eleva, ma soprattutto per il modo in cui incoraggia le persone ad ascoltare e a fare di più.
Ma Watchmen non è solo la storia di Will. Anzi forse il suo contributo più eroico arriva proprio nei minuti finali. Guardando Angela in cucina e fissando il fatidico uovo che può o meno conferirle poteri divini, Will ricorda Cal (Yahya Abdul-Mateen II) come Dottor Manhattan.
“Era un uomo buono. Ma considerando ciò che poteva fare, avrebbe potuto fare di più.”
Ecco come Lindelof riesce a scrivere una scena topica senza rinunciare alla graffiante ironia nera dell’opera originale. Con la morte di Cal così fresca, Will sta davvero mettendo in discussione le azioni e le scelte dell’uomo/dio appena morto? Nella sua cucina? A sua moglie?
Sì e no. Nulla è semplice nella vita come in Watchmen. Will potrebbe sapere che Cal ha ancora molto in serbo per Angela. Ma anche se non lo sapesse realmente le sta ricordando quello che lei già sa, e fa lo stesso per il pubblico, mentre guarda la scatola delle uova gettate a terra nello scorso episodio dove una rimane incredibilmente intatta.
E Angela inizia a mettere insieme tutti i collegamenti. E noi con lei.
“Non puoi fare una frittata senza rompere un paio di uova.” Ancora una volta, la simmetria è sorprendente: abbiamo incontrato Angela per la prima volta quando ha rotto un paio di uova in una ciotola davanti all’aula di suo figlio. Ora sta fissando un uovo che potrebbe, e probabilmente contiene, i poteri del dottor Manhattan. Tutto quello che deve fare è romperlo e accettare la responsabilità. È tempo di una pausa. Flashback.
L’episodio si apre mentre Ozymandias sta registrando il messaggio da recapitare al futuro presidente Robert Redford a Karnak. Come nella graphic novel la sua dimora è manutenuta da una pletora di immigrati vietnamiti post annessione del Vietnam come cinquantunesimo stato americano. Una donna delle pulizie accede al suo studio privato e si insemina artificialmente con la provetta numero 2346 contenente lo sperma di Adrian Veidt, nascosto in una cella frigorifera dietro il grande quadro raffigurante Alessandro Magno.
La donna è ovviamente Bian, madre di lady Trieu. La scena è impreziosita dalla citazione attribuita alla reale Lady Trieu del terzo secolo, eroina guerriera vietnamita che rispondendo al fratello che la intimava di smettere di occuparsi della guerra per dedicarsi ad attività più consone a una donna, disse:
“Voglio cavalcare i venti impetuosi, infrangere le alte onde, uccidere le orche assassine del mare orientale, mettere in fuga l’esercito di Wu, rivendicare la terra. Eliminare il giogo della schiavitù. Non piegherò la mia schiena diventando una schiava.”
La futura lady Trieu, che sceglie questo nome in omaggio alla Giovanna D’Arco vietnamita, trasuda questa stessa forza. Mista poi all’intelligenza ereditata dal padre ne delinea i tratti perfetti della grande burattinaia dietro le quinte. E così è. Ventitré anni dopo giunge a Karnak e si rivela al padre.
Lo mette al corrente del suo piano, delle sue informazioni su dove fosse in quel momento Manhattan e delle sue intenzioni di distruggerlo e acquisirne il potere. Chiede la sua parte di eredità per realizzarlo. Veidt non le riconosce nulla. Dal niente lui è partito, dal niente partirà lei. E non la chiamerà mai “figlia“.
Un altro anno è passato su Europa. Il messaggio lasciato anni prima è ora chiaro: “Save Me Daughter“. “Salvami Figlia”. Adrian ha ceduto. Ma Lindelof non cede d’un passo al rischio di far cadere nel buonismo da vecchio ammorbidito dal tempo lo stesso Veidt. Uscito dal tunnel scavato sotto la prigione il Gurdiacaccia si para davanti all’uomo in fuga. Fucile in mano gli intima di fermarsi. Adrian avanza e lui spara. A terra il corpo immobile con il braccio di traverso sul petto. Il Guardiacaccia si avvicina e vediamo la mano di Adrian aprirsi. Come poteva mancare questo riferimento! Il proiettile preso al volo da Adrian come nell’opera di Moore.
Il ferro di cavallo che ha permesso la fuga finisce per uccidere il guardiano. L’uomo morente chiede il perché Adrian gli avesse chiesto di indossare la maschera. Tutto quello che abbiamo visto su Europa era una grande messa in scena. Uno spettacolo votato solo a intrattenere Adrian e porre rimedio alla sua noia. “Perché indossare una maschera rende malvagi“. E Veidt aveva bisogno di un avversario. “Sono stato all’altezza padrone?” chiede l’uomo morente. “No“.
Nessuna altra risposta sarebbe stata accettabile. Questo è Ozymandias.
Da qui possiamo correre veloci. Adrian torna con il razzo mandato dal Lady Trieu, finendo però rinchiuso da un materiale bronzeo: la statua nel giardino della miliardaria era realmente suo padre in bella vista fin dal’inizio.
Il piano dei Ciclopi si rivela essere solo un ingranaggio lasciato correre dalla Trieu per non attirare su di sé le attenzioni di Manhattan. Il senatore Keene davanti al padre (che aveva redatto il primo atto di messa al bando dei vigilanti nell’opera originale), Jane Crawford e altri suprematisti, cerca di ottenere i poteri di Cal finendo inesorabilmente liquefatto.
Lady Trieu elimina tutti gli altri nel tempo di un respiro. La sua ambizione e la sua smania di potere giustificata dalla volontà di salvare il mondo è sconfinata.
La vera battaglia nel finale si svolge quindi tra “degni avversari“: Trieu e Veidt, due personaggi geniali, con risorse illimitate e l’arroganza di credere di poter dominare o controllare il mondo.
Imprigionato nella gabbia di litio Manhattan attende la fine. Sfruttando i resti liquefatti di Keene teletrasporta Adrian, Laurie e Looking Glass a Karnak. Ma non vuole morire da solo: per questa ragione non allontana Angela. Quando Jon Osterman divenne per la prima volta Doctor Manhattan attraverso una finestra di vetro vide i suoi colleghi inorriditi rendersi conto che sta per morire. Janey, la sua fidanzata, scappa via, anche se Jon la supplica di rimanere.
Ora succede di nuovo. Il tempo non accade solo simultaneamente per Jon, ma si ripete, come un cerchio che si chiude. Ancora una volta, è intrappolato. Ancora una volta la gente lo sta guardando. Ancora una volta, non c’è nessuno che possa salvarlo. Ma questa volta dice ad Angela che non l’ha allontanata con gli altri perché non vuole essere solo quando morirà.
Poco dopo, quando ormai tutto sta per compiersi, la prega di andarsene. Ma lei rifiuta. Lei sta al suo fianco. Gli ultimi ricordi di Jon sono del suo tempo con Angela. “Sono in tutti i momenti passati insieme. Fusi. Insieme“, dice. “Ti amo.” Mentre lei guarda, muore.
Adrian riesce a salvare di nuovo il mondo. Da Karnak congela i calamari prima di farli piovere sul centro di Tulsa, distruggendo così la macchina, le ambizioni e la vita della figlia. Riconosce troppo di se stesso in lei per lasciarla agire: “Chiunque cerchi di ottenere il potere di un dio, gli deve essere impedito a tutti i costi di ottenerlo“. E in un ribaltamento inaspettato ma coerente viene arrestato da Laurie Blake per la strage di New York.
Ma torniamo ad Angela e all’uovo. Prendendo l’uovo e mangiandolo non sta forse cercando di ottenere il potere di un dio? Anche lei non dovrebbe essere fermata?
La domanda è lecita, ma è chiaro che la risposta sia no. Non è Lady Trieu. Non ha ucciso nessuno per ottenere ciò che in realtà non voleva. E pare non desiderare essere adorata. Accettare la responsabilità è diverso dalla brama di potere e Angela ha dimostrato durante il suo viaggio di essere in grado di ascoltare e agire.
Accettare l’inevitabile non è un atto di eroismo, ma rifiutarlo può esserlo. Quando Angela ha rifiutato di ascoltare il Dottor Manhattan anche se non c’era nulla che potesse fare per salvarlo era disposta a sacrificarsi per proteggerlo; per proteggere la sua famiglia. È una qualità umana, ma soprattutto è una qualità di un individuo buono. Angela Abar è un’eroina in cui tutti possiamo credere e identificarci perché è reale. È imperfetta. Non si nasconde dietro una maschera, non più, e qualunque cosa faccia dopo sarà per il bene più grande. Angela non è guidata dalla logica, dal narcisismo o dall’odio, non più, ma dall’amore.
Non puoi nasconderti dietro una maschera. Un Dio non può nascondersi dietro il proprio potere. E Angela non si nasconderà più. Rompendo quell’uovo e allungando il piede sulla piscina, ha risposto all’appello di Will di cui parlavamo. Farà di più. Che sia o meno diventata un Dio Blu. Questo è ciò di cui sono fatti gli eroi e questa è stata una straordinaria storia della sua nascita. Raccontata magistralmente dall’inizio alla fine.