Vai al contenuto
Home » Welcome to Wrexham

La realtà sociale e televisiva di Welcome to Wrexham: una storia sempre più interessante da raccontare

Ryan Reynolds e Rob McElhenney in una scena di Welcome to Wrexham
Ma prima di continuare con la lettura abbiamo entusiasmanti novità da condividere con te. A breve sarà disponibile Hall of Series Plus, il nostro servizio in abbonamento che ti permetterà di accedere a moltissimi contenuti esclusivi e in anteprima.

Inserisci il tuo indirizzo email e clicca su ‘Avvisami’ per essere notificato quando Plus sarà disponibile.

* campo obbligatorio

All’inizio sembrava un gioco, o poco più. Due popolarissimi attori statunitensi, Rob McElhenney uno dei protagonisti di It’s Always Sunny in Philadelphia – e Ryan Reynolds (dobbiamo davvero presentarlo?), decidono di acquistare un’importante squadra di calcio gallese da tempo caduta in disgrazia, il Wrexham. L’obiettivo? Portarla dalla National League, l’ultima frontiera del calcio britannico, alla Premier League. Era il 2021: quattro anni dopo, il Wrexham ha ottenuto una doppia promozione e si sta attualmente giocando la terza, puntando allo sbarco nella Championship (la Serie B inglese, per intenderci). Parallelamente, Welcome to Wrexham, la docuserie che sta raccontando passo per passo lo sviluppo del progetto, è arrivata alla terza stagione ed è già stata rinnovata per la quarta.

Insomma, non si parla più del “gioco” di due ricchi attori alla ricerca di un diversivo originale. Si parla di un progetto vero, da più punti di vista. Dal punto di vista sportivo, visto che il Wrexham, dopo anni di amara decadenza, sta effettuando una scalata ai vertici davvero notevole, anche televisiva. Welcome to Wrexham è una delle docuserie sportive più intriganti in circolazione, e dopo tre stagioni continua a non mostrare alcun segno di cedimento. Per non parlare dell’aspetto sociale: grazie al gigantesco eco mediatico dell’operazione, la città di Wrexham è rinata e sta vivendo una nuova giovinezza. Meta turistica sempre più ambita, la piccola cittadina gallese da 65.000 abitanti è rifiorita per merito della spinta di McElhenney e Reynolds. Insomma, parliamo di un fenomeno stratificato e intrigante, meritevole di un’analisi più approfondita.

Il successo globale di Welcome to Wrexham

Un'immagine tratta dalla docuserie Welcome to Wrexham
Credits: FX

Partiamo dall’aspetto televisivo, visto che è questa la nostra area di competenza primaria. Avevamo già affrontato Welcome to Wrexham alcuni anni fa, dopo la messa in onda della prima stagione. E l’avevamo fatto con un titolo piuttosto ambizioso: Welcome to Wrexham “riscrive le regole dello storytelling sportivo”. L’articolo si apriva con una frase pronunciata qualche tempo prima da uno degli allenatori di più calcio più famosi del mondo: José Mourinho. Il tecnico portoghese regalò infatti una massima molto significativa: “Chi sa solo di calcio non sa niente di calcio”. Il calcio non è mai solo calcio, se affrontato seriamente. E i due protagonisti di Welcome to Wrexham (disponibile su Disney+) sembrano averlo capito fin troppo bene.

È chiaro: l’impresa sportiva ha e avrà sempre una centralità assoluta all’interno del racconto, ma il suo apporto non sarà mai totalizzante.

Si parla di calcio, ma anche della città di Wrexham e delle innumerevoli storie che orbitano più o meno da vicino intorno alle dinamiche calcistiche, nonché del Galles nelle sue sfumature più essenziali e talvolta approfondite. Welcome to Wrexham, caratterizzato da un linguaggio brillante e da un gusto eclettico per lo storytelling che sposta continuamente prospettive e punti di vista portandoci nelle direzioni più disparate, è un caleidoscopio di esperienze e racconti. Il calcio, in tal senso, è quasi un pretesto per occuparsi d’altro.

Poi è ovvio: non si può negare la forza motrice di un classico racconto all’americana dal sapore fortemente britannico. incentrato sulla “solita” storia dell’underdog che si fa da zero dopo anni molto difficili e scrive i capitoli di un’impresa all’inizio impossibile. Per intenderci: prima dello sbarco dei due attori, il Wrexham, protagonista di un’ottima storia sportiva, era rimasto bloccato per vent’anni nell’ultima categoria del calcio britannico. Troppi, per una squadra che sta ritrovando solo ora uno status calcistico in linea con le potenzialità storicamente espresse e lo straordinario calore del suo pubblico.

Risultato? Welcome to Wrexham è una validissima docuserie sportiva che ha assunto in qualche modo i toni di Ted Lasso, facendosi apprezzare anche dai più disinteressati al calcio. Niente di meglio, per un’opera di questo tipo: rappresenta, infatti, il trampolino di lancio ideale per esportare il brand Wrexham in tutto il mondo.

Welcome to Wrexham e la cultura di una storia arrivata da lontano

Un'immagine della città di Wrexham
Credits: The Guardian

Una delle chiavi più evidenti del successo del progetto è legato indubbiamente al forte attaccamento dei due attori al territorio e alla sua storia. Come hanno testimoniato a più riprese all’interno della docuserie, l’operazione Wrexham ha finito per coinvolgerli emotivamente molto più di quanto avessero prospettato all’inizio. Questo amore, al di là delle narrazioni funzionali che stanno consolidando il brand con indotti sempre più importanti, sembra esser trasmesso con una certa sincerità. Wrexham porta con sé la storia di una comunità che aveva vissuto anni molto difficili nell’ultimo periodo. Dopo aver vissuto un’importante crescita del polo industriale, era stata protagonista di un decadimento significativo che l’aveva abbandonata al suo destino.

L’ingresso in scena degli attori, tuttavia, ha riportato Wrexham al centro del Galles con echi mediatici che l’hanno portata alla ribalta in tutto il mondo.

Rende bene l’idea in tal senso Michael Hett, volto noto della docuserie, nel corso di un’intervista rilasciata qualche tempo fa al The Guardian: “Avevamo perso un po’ con le miniere di carbone, l’acciaio, i mercati, le birrerie. Non avevamo mai avuto turisti prima. Quando le crociere arrivavano a Liverpool, andavano ai castelli e al tour dei Beatles, ma ora vengono al famoso pub Turf. Ho visto cinquanta americani entrare lì”.

Tutto ciò, peraltro, è stato fatto senza mai snaturare in alcun modo le narrazioni. Attraverso Welcome to Wrexham, si nota la forte interconnessione tra il progetto sportivo, il branding e l’occhio di riguardo riservato a una comunità rinata grazie al turismo, foriero di opportunità sul piano economico per tutti i suoi membri. Valorizzare una storia significa prima di tutto conoscerla: questa è una delle finalità della docuserie e di un progetto d’ampio respiro che coinvolge la città nella sua interezza. Ripetiamo: le narrazioni hanno alla base anche la necessità di uno storytelling funzionale all’arricchimento del brand, ma in tutto ciò che sempre un fondo radicato di verità.

Fin dove potrà arrivare il racconto di Welcome to Wrexham?

Paul Mullin, attaccante del Wrexham
Credits: BBC

A questo punto, però, una domanda è d’obbligo: fin dove potrà arrivare il Wrexham? La risposta più ovvia sembrerebbe essere una: la Premier League. Più che un sogno, tuttavia, è al momento qualcosa di simile a un’utopia. I risultati finora ottenuti non devono ingannare. Gli investimenti dei due attori sono ingenti per le categorie di rincalzo del calcio britannico, al punto da aver attirato più di una critica a riguardo. Qualcuno, infatti, sostiene che la narrazione dell’underdog “alla Rocky” sia poco credibile, visto che i budget impostati finora sono ben superiori a quelli di gran parte delle squadre rivali: alcuni sono arrivati addirittura a mettere in discussione la “correttezza” di un’operazione del genere, tale da aver scompaginato i piani di tutte le altre.

Le polemiche, francamente, lasciano il tempo che trovano: il Wrexham d’altronde, ha sempre agito nei limiti dei regolamenti imposti dalle federazioni di riferimento. Ma la Premier League, in ogni caso, è un’altra cosa. Mentre Reynolds e McElhenney possono giganteggiare nelle categorie inferiori, non hanno al momento le potenzialità per competere coi colossi della Premier League, il campionato di calcio più ricco del mondo. Welcome to Wrexham l’ha evidenziato a sua volta nel corso di una puntata della terza stagione: passare dalla National League alla League One (la Serie C britannica) è di per sé un’impresa straordinaria, ma il salto in Championship (Serie B) e poi in Premier League è un altro mondo.

Lo è, soprattutto, perché necessiterebbe di investimenti esponenzialmente superiori rispetto a quelli fatti finora. E lo è perché un progetto del genere necessita di sostenibilità e di finanziatori d’altissimo profilo: servono, in sintesi, tempo e soldi.

Come sta dimostrando, per molti versi, una realtà in qualche modo associabile a quella del Wrexham: il Como. La squadra, appena tornata nella Serie A italiana dopo anni di purgatorio nelle categorie inferiori, sta puntando forte sul branding (ne abbiamo parlato a proposito della parata di stelle a cui assistiamo settimanalmente nel corso delle loro partite) e su investimenti graduali che mirano alla costruzione e al consolidamento senza voli pindarici. Il paragone, però, regge solo in minima parte: i proprietari del Como sono due ricchissimi miliardari, e la Serie A non è certo la Premier League sul piano economico.

Un’utopia, allora. Per ora, almeno. La crescita del progetto e di Welcome to Wrexham, docuserie capace di vincere la bellezza di cinque Emmy, potrebbero attirare nuovi investimenti e offrire prospettive diverse alla squadra gallese. Prima in Championship, dove potrebbero consolidarsi e crescere ancora, e poi chissà. Niente è più precluso a priori: questa è una storia di successo. E quando si parla di storie di successo, gli americani non cercano altro che il lieto fine. Attendiamo con curiosità le prossime evoluzioni: questo racconto, a quanto pare, ha ancora molto da dire.

Antonio Casu