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Perché dovreste dare un’occasione a Wentworth

Wentworth
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Sei stagioni, innumerevoli svolte, paradossali giochi di potere e una grande, meravigliosa trama che non si smentisce mai. Abbiamo visto serie crollare dopo tre stagioni, alle volte quattro, ma si possono contare sulla punta delle dita quelle che sono riuscite ad arrivare alla sesta stagione mantenendo sempre alta l’attenzione e la suspense. Wentworth è riuscita nell’impresa.

Non abbiate comunque paura del recuperone che sarete costretti a fare. É dannatamente vero che sono sei stagioni piene, intense e a tratti emotivamente complesse, ma ne varrà la pena, anche perché riuscirà a prendervi immediatamente. Basterà poco tempo per recuperarla e sarà un’esperienza davvero originale e inedita.

Wentworth nasce nel 2013 e ha inizialmente una sola protagonista, Bea Smith.

Ruota tutto intorno ai suoi primi giorni da detenuta. Da qui comincia a venir fuori tutto ciò che sarà materia prima per la serie. Presenta decisamente delle analogie con Orange Is The New Black, nata nello stesso periodo da un creatore diverso. Ma questo solo nelle prime stagioni e ciò che la rende unica è molto di più.
Wentworth è molto più votata alla crudeltà, lascia senza fiato, non dà possibilità di risata, non in un primo approccio almeno. Sembra tutto così com’è, senza via di fuga né di redenzione.

Sembra raccontare delle vite finite, una routine quotidiana, ormai senza la minima idea di felicità. Ma le cose cambiano pian piano, si fanno più complesse e la realtà della prigione diventa l’unica realtà possibile. Non esiste nient’altro se non problemi interni e guerre civili tra detenute.

Persino gli stereotipi sulla vita in una prigione femminile vengono completamente sradicati. Quello che rimane è l’odio manifestato in ogni forma, verbale, fisica e velata. Non c’è alcun limite alla violenza e la sopravvivenza all’interno del carcere femminile di Wentworth è resa difficile, a volte impossibile, anche per le più forti. Rimane in piedi la più astuta, chi sa manipolare meglio delle altre.

Ad aumentare il caos non può mancare neanche la corruzione che parte dall’alto, da chi la legge dovrebbe farla rispettare.

L’ossessione, l’ordine, la tendenza al controllo è ciò che fa di Ferguson la donna più pericolosa e temibile della prigione. Regge la prigione e nello stesso tempo la distrugge lentamente dall’interno. Dall’alto della sua autorità controlla l’impero e lo adegua alle sue manie, diventandone parte lei stessa. Come tutti i disturbi mentali cominciano a crollare quando ne viene minacciata la verità, anche il controllo di Ferguson perde efficacia, a volte la porta all’esasperazione, altre volte ancora la uccide.

Ogni certezza perde la sua solidità per ognuna di queste donne, anche per chi fa affidamento solo su se stessa. Come succede a Franky Doyle: considerata per un po’ la Top Dog, controlla ogni singolo scambio, si occupa della droga che entra nelle mura della prigione e gode della stima di tutte. Almeno fino al cambiamento che trasforma Bea Smith. Franky è una delle protagoniste, anche quando gli episodi sono incentrati su dinamiche che non la riguardano. Non viene messo da parte neanche l’aspetto sentimentale, che si sposta in secondo piano in maniera alternata. Perché non si fanno sconti, non ci sono ripensamenti da parte degli autori: se qualcuno si deve far male, si fa male.

È questa la forza dello show: non permettere previsioni, colpire dritto al cuore e cambiare strada improvvisamente.

Ovviamente siamo di fronte a un cast scelto divinamente, a conferma del fatto che anche l’Australia ha da dare tantissimo al mondo delle Serie Tv. C’è davvero bisogno di dare una possibilità a questo prodotto, non ha nulla da invidiare alle serie americane più famose e fidatevi, vale la pena farsi coinvolgere in questo mondo il prima possibile. Non entrarci sarebbe un grosso peccato.

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