Analisi.
Nell’ottobre scorso “Westworld” ha fatto la sua comparsa sugli schermi italiani dopo una breve, ma intensa, campagna pubblicitaria che annunciava l’arrivo di questa Serie Tv un po’ western e un po’ di fantascienza, con il faccione di Anthony Hopkins a svettare implacabile su tutto e tutti nel chiaro tentativo di fungere da garanzia di qualità assoluta.
Devo dire che l’approccio è stato quantomeno colmo di sospetto, dato che il “fantawestern” (un genere che solo gli americani potevano inventarsi) ha partorito negli anni un filotto di obbrobri di incalcolabile portata come “Cowboy vs. Aliens”, “Jonah Hex” o “Il West del Futuro”, tuttavia non avevo calcolato che questi prodotti facevano tutti parte del mondo cinematografico e che quando si entra nell’area della serialità, come per magia, tutto cambia.
Il titolo ideato da Jonathan Nolan ha abbattuto nell’arco di una manciata di scene tutti i pregiudizi possibili e immaginabili, confermando che la qualità di cui sopra era stata predicata con cognizione di causa e issandosi di diritto a candidata principale per diventare la sorpresa del 2016.
È passato un po’ di tempo, probabilmente il giusto per lasciar attecchire i pensieri e lasciare alle idee il tempo di svilupparsi appieno, ma ora non ci si può più esimere dal raccontarvi perché secondo noi di Hall of Series la prima stagione di “Westworld” (in attesa di una seconda che si preannuncia epocale) si può indiscutibilmente definire un capolavoro!
Non occorre neanche dirvi che in questo articolo sono presenti degli SPOILER vero? Per carità, nulla di epocale, però vi consiglio di sgattaiolare altrove se proprio non volete essere contaminati in alcun modo.
Innanzitutto il tema, potentissimo ed alienante come solo una visione di Michael Crichton può essere.
L’idea che possa esistere un parco a tema popolato da androidi con sembianze umane disposti a guidare i visitatori in avventure epiche, a fargli dimenticare le pressioni del mondo esterno e a mostrargli tutte le bellezze della natura selvaggia, oltre ovviamente a farsi picchiare, stuprare o ammazzare, è una genialata colossale molto ben mascherata da americanata squallida.
Si perché è molto facile abbandonarsi alle considerazioni spicce e vedere marciume commerciale in ogni dove, specie nelle produzioni ad alto budget, però a volte è bene anche essere obiettivi e riconoscere la brillantezza che c’è nel concepire un luogo immaginario in cui letteralmente tutto è concesso, dove l’avveniristico e il pionieristico si fondono e gli uomini possono sfogare i loro istinti primordiali prima annichiliti e poi esaltati da un progresso arrivato talmente lontano da essere in grado di nascondere la propria grandezza e mascherarsi da elemento epico.
Epico, avete letto bene.
La civiltà statunitense non possiede delle vere e proprie radici antiche (o meglio, le possiede eccome, ma se le mostrasse bisognerebbe tirare in ballo anche uno dei più grandi genocidi della storia e allo Zio Sam non piacerebbe questo elemento), perciò si rifugia da sempre nel vecchio West e nelle imprese di questi uomini risoluti alla conquista delle terre selvagge per ritrovare la propria essenza e ripassare i contorni della propria storia, esattamente come un greco farebbe con l’Atene di Pericle, un romano con l’epoca imperiale e via discorrendo.
“Westworld” mette in contatto i secoli e sospende le regole della morale, costituendo una sorta di microcosmo secolarizzato a disposizione di chiunque abbia abbastanza fegato per abitarlo che è anche il teatro della meravigliosa trama messa a punto da Nolan e Lisa Joy.
Al centro di tutto c’è Robert Ford, capo e ideatore del parco stesso, che negli anni ha perfezionato sempre di più la sua creatura introducendo residenti via via più complessi, veritieri e perfetti per rispondere alle richieste di un pubblico autorizzato a smembrarli pezzo per pezzo o peggio nel caso del misterioso Uomo in Nero.
A prescindere da cosa può far loro anche la più perversa delle menti umane, gli androidi tornano sempre il giorno dopo, con la memoria resettata e il sorriso se possibile ancora più splendente di prima, pronti a intrattenere gli ospiti a seconda che la loro programmazione preveda di farsi sbattere come la maitresse Maeve, di tentare una rapina nei panni del temibile Hector Escaton o semplicemente di farsi ammazzare come il povero Teddy Flood, perennemente innamorato di Dolores Abernathy la quale, ahilei, è semplicemente destinata a soffrire.
Lo stesso spettacolo, 24 al giorno, 7 giorni alla settimana e per tutto l’anno, con giusto qualche modifica narrativa qui e là per introdurre storie più avvincenti o personaggi nuovi.
Cosa succederebbe però, se di colpo alcuni residenti riuscissero a ricordare e il loro ruolo non si riducesse più solo alla recita, ma fossero in grado di improvvisare? I file cancellati diverrebbero traumi, si inizierebbe piano piano ad uscire dagli schemi prestabiliti, nascerebbero delle ambizioni, si stuferebbero di incassare e basta…praticamente diverrebbero umani.
Con l’installazione dell’aggiornamento denominato “le ricordanze”, Ford mette consapevolmente in moto un meccanismo che porterà alla ribellione delle macchine da lui stesso create, con conseguenze di portata sempre più distruttiva a partire dai primi, lentissimi episodi fino ad arrivare agli ultimi, potenti e primordialmente intensi quant’altri mai.
Finalmente l’essere umano, come al solito il peggiore fra gli esseri viventi, paga tutti i suoi sbagli e quella che sembrerebbe essere la sua fine viene applaudita dal pubblico che, nonostante faccia parte della stessa razza, tifa istintivamente per gli oppressi e gli sfortunati dimenticandosi di essere fatto della stessa, marcia pasta dei cattivi.
Ci rendiamo conto di quanto sia devastante questo messaggio e di quanto siano stati maledettamente bravi a metterlo in scena?
Chiunque abbia collaborato alla realizzazione di “Westworld” ha fatto un lavoro egregio.
Nolan e Joy sono stati immensi e coraggiosi nel puntare su un concept così rischioso, nelle migliorie che hanno apportato e nella maniacale attenzione a ogni microscopico dettaglio. Chapeau.
Ottimi voti anche agli effetti speciali, che erano pressoché fondamentali e non hanno mai annoiato, anzi, hanno esaltato le scene il più possibile (che è poi il compito che dovrebbero sempre avere, ma che raramente riescono a portare a termine al meglio come in questo caso).
I costumi sono eccellenti sia per quanto concerne abbigliamenti sobri e molto western come quello del bastardone raffigurato qui sopra sia negli elaboratissimi corpetti delle prostitute da saloon, passando per gli abiti sporchi, rozzi e bellissimi degli sceriffi, dei bifolchi, delle massaie e di qualsivoglia bipede si possa scorgere in questo capolavoro. Nessuno escluso.
E poi c’è il cast. Mamma mia che cast.
Hopkins è Hopkins, non è neanche il caso di perdere tempo a dirvi quanto sia immenso. Ed Harris ha passato la vita a fare il cattivo riuscendo a non essere mai banale o ripetitivo, ma questo livello recitativo forse non l’aveva mai raggiunto. Jeffrey Wright conferma la sua ascesa nel tutt’altro che banale ruolo di Bernard, una figura complicata che ne racchiude una ancora più complicata, che il nativo di Washington ha gestito egregiamente. Thandie Newton diventa sempre più bella ogni giorno che passa ed è credibile tanto nei panni di sciacquetta quanto in quelli della cibernetica leader rivoluzionaria. Ottime figure anche per James Marsden ed Evan Rachel Wood, che incrementano la loro performance man mano che i loro personaggi prendono vita.
Insomma, la prima stagione di Westworld è praticamente priva di difetti e si presta ad essere guardata, riguardata e vissuta dalla prima all’ultima inquadratura fino all’arrivo della prossima, per essere pronti al ritorno dei residenti che si preannuncia mirabolante fin da ora.
Può bastare.