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Westworld 2×03 – Il nemico di Bernard potrebbe essere dentro di sé

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«Bring yourselves back online.
Tornate in linea.»

Quando Dolores guarda dentro se stessa, sepolto tra cumuli di ricordi mai vissuti trova Wyatt.
Quando Bernard guarda dentro se stesso, rannicchiato tra le intercapedini della memoria trova Arnold.
Quando Maeve guarda dentro se stessa, sull’uscio di un cuore che non esiste ma si sente, trova ad accoglierla un’amorevole madre.
Ognuno di questi surrogati di coscienza, illuse somme di percezioni che esigono “essere”, trova nel percorso interiore una figura antitetica. Una divisione machiavellica che marca il confine tra ciò che si decide di essere e il proprio antagonista.
È così che l’apatia di una meretrice si trasforma in amore materno; la solerzia di chi è convinto di conoscere perfettamente cosa ha di fronte si trasforma in tormento, ossessione e quindi incertezza; mentre lo sguardo verso “la bellezza di questo mondo” diventa la furia omicida della sfiducia.

Virtù e fortuna” è il titolo che Jonathan Nolan e Lisa Joy hanno saggiamente deciso di attribuire all’ultimo episodio di Westworld andato in onda.
Il riferimento a Il Principe di Machiavelli è, in questo terzo episodio, una rivisitazione della scoperta del nemico, che oltre a essere ritrovato dentro di sé finisce per rivelarsi parte del proprio “io”.
Il nemico diventa un ricordo, opprimente come un’ombra che cerca di rincorrerti quando hai il sole alle spalle.
Grace, nuovo personaggio introdotto grazie alla presentazione del RajWorld, fa esattamente questo: rincorre qualcosa.
Le sequenze che la vedono protagonista ci rilanciano in una struttura che era andata (necessariamente) affievolendosi nel programma stilistico di Westworld, una composizione narrativa affine al gioco di ruolo videoludico, indispensabile per la presentazione di scenografie, personaggi e dinamiche di un nuovo parco.

Westworld RajWorld

In contrapposizione logica a quel mondo ormai abbandonato dal divertimento, RajWorld emerge per durare un attimo, un frangente ellittico (forse anche lievemente raffazzonato) utile a collegare i punti con quello che è il fulcro delle vicende a Westworld.
La diffidenza di Grace è un fattore in un contesto di scelta arbitraria e abbandono al “piacere”, e sin da una delle prime battute scambiate con il suo seduttore, abbiamo un riscontro su quella che potrebbe essere l’identità della donna:
«Credi che il parco lascerebbe che uno di loro si fingesse uno di noi?», alla quale domanda segue la rassegnata risposta di Grace, che contemporaneamente fissa la sua immagine riflessa nello specchio: «Non mi sorprenderebbe».
La sua battuta denota consapevolezza, e allude indubbiamente a vicende che la riguarderebbero (indirettamente e non), e a causa delle quali sarebbe in missione al parco.
Il collegamento più naturale è che questa possa rivelarsi figlia di William. La stessa che avrebbe ragione di biasimare suo padre per la morte della madre, come l’Uomo in Nero racconta nel corso della prima stagione.

Westworld Grace

Chi deve trovare il coraggio di fissare la propria immagine riflessa è Bernard, sospeso nel limbo shakespeariano dell’essere e il non essere.
La sua coscienza è intrappolata in un incubo pavloviano, in un sistema nel quale ogni azione sembra il passo di un’opera teatrale (questa è l’ennesima riproposizione dell’aspetto metanarrativo) costruita per accedere al ricordo di qualcosa legato al suo passato.
Probabilmente, ideatrice del piano sarebbe Charlotte, il cui scopo potrebbe essere quello di indurre artificiosamente Bernard al ricordo chiave, riproponendo le medesime situazioni che le presunte copie dell’androide hanno già vissuto, come in una sorta di condizionamento classico.
Nella scena che vede il gruppo capitanato da Karl Strand arrivare alla base, l’atteggiamento di Charlotte è ancora una volta compromettente: dopo un paio di domande di circostanza, questa si rivolge immediatamente, e in maniera evidentemente interessata, a Bernard (con un’inquadratura zoommata che sembra incanalare l’attenzione verso la domanda, prima di passare al flashback), chiedendogli se avesse ricordato la posizione di Peter Abernathy.
Il dettaglio al quale risalire attraverso il labirinto della mente che occlude la coscienza di Bernard potrebbe essere la “One Time Password” (della quale soltanto lui è a conoscenza) che abbiamo già intravisto due volte e nelle quali lo stesso Bernard si imbatte una volta preso il controllo del pad.

Westworld

È allora che ci viene fornita la conferma di quanto precedentemente ipotizzato (nella recensione del primo episodio): il Bernard che vediamo in missione con Charlotte nella timeline che succede la serata di Gala potrebbe non essere lo stesso in diversi momenti del percorso, in quanto potremmo essere spettatori di diverse linee temporali ripetute in maniera speculare e con prototipi di Bernard diversi (ognuno dei quali, stando alla teoria della prospoagnosia ipotizzata negli scorsi episodi, si ritroverebbe alla fine del percorso al laboratorio e corrisponderebbe a ognuno dei droni bianchi che Bernard non è in grado di percepire visivamente).
Se a suggerirlo nel primo episodio erano la sovrapposizione delle affermazioni tra Bernard e Strand, le scarpe di Charlotte o ancora l’ambiguità della stessa, stavolta a darne conferma quasi certa è l’abito indossato da Bernard nel flashback che lo vede, nuovamente, nella linea temporale del dopo-Gala.
Nel primo episodio, durante le vicende che lo vedono coinvolto nella fuga con Charlotte, Bernard indossa un completo interamente nero; nel flashback mostrato in questo episodio, il completo di Bernard in quella che dovrebbe essere la medesima timeline è grigio con camicia bianca.
Non è da escludere che tali dettagli siano un escamotage per confondere lo spettatore, spiegato narrativamente dal fatto che quanto vediamo sia il ricordo annebbiato di Bernard, che non riesce a distinguere nitidamente i dettagli del vissuto (come il modo in cui era vestito).

Westworld bernard

Il nemico di Bernard è la sua stessa divisione tra virtù e fortuna, risiede nel suo subconscio ed è pronto a tradirlo col ricordo che rende vulnerabili.
L’immortalità degli host sembra quasi crollare sotto il peso del ricordo, e ne sono immagini quasi iconografiche l’incontro di Dolores con suo padre Peter Abernathy, che porta la prima a interfacciarsi (da Wyatt) con quella che è la metà antagonista (la fanciulla figlia del fattore, appunto), in una morbida e drammatica scena che sublima la necessità di abbandonarsi a ciò che si è destinati ad essere, con Dolores che nutre la memoria di suo padre raccontando dettagliatamente la scena del suo risveglio («Vai a ritirare un altro angolo di questo splendore?» – «Vorrei»); e l’incontro di Maeve con gli indigeni, evocatore della vulnerabilità insita nel potere di chi non può ricordare, e che grazie al ricordo realizza di non essere poi “così immortale”.
È la stessa “simmetria” nel montaggio che pone i tre percorsi (in ordine di successione quello di Bernard, Dolores e poi Maeve) in perfetta simbiosi concettuale nel vederli compiere quella che somiglia a una marcia.

Esiste un’interconnessione particolare tra il titolo di questo episodio e l’intera seconda stagione di Westworld.
Il ricordo che indebolisce e svela la divisione di un unico sistema composto da due interpreti differenti.
Uno sguardo “Oltre”.
Lungo la traiettoria di quello sguardo interiore, gli host scoprono quanto sia falso pensare che parlando forte non si senta più la guerra, e come Il Principe si arrendono alla coesistenza della fortuna al fianco della virtù. Sapendo di esistere grazie al ricordo di essere stati qualcos’altro.

E chissà che quando anche Peter Abernathy guarda dentro se stesso non veda James Delos.
Peter Abernathy: quell’anima docile corrotta da sogni di immortalità indebita all’uomo, ma che sono dolce condanna delle macchine.
Un conflitto di speranze che ci somiglia tanto.
Perché in fondo, come diceva Carl Gustav Jung, in ognuno di noi c’è un altro che non conosciamo.

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