«Bring yourselves back online.»
«Tornate in linea.»
Le palpebre che fanno da sipario, la pragmatica danza di una routine vuota, che si sospende e si riconosce solo nel vedersi riflessa allo specchio nelle familiari vesti della sua ballerina. Davanti a quel sipario, un mondo (stavolta quello vero) troppo distratto per fare da pubblico a una “storia col lieto fine”.
Cristina prova a offrire al mondo la storia di una donna alla ricerca di qualcosa, ed è da qui che vuole ricominciare Westworld con la sua quarta stagione: dal labirinto esistenziale che prima è stato di Dolores, ballerina danzante nel rituale fatto di codici e predestinazione del parco a tinte western, e che oggi è di Cristina nell’angosciante ampiezza della libertà.
Ma chi è Cristina, e chi è Dolores?
Canvas e pennelli sullo sfondo, un risveglio morbido e fiabesco e l’alienazione da un mondo al quale sembra non appartenere fanno di Cristina un apparente innesto della vecchia Dolores in un contesto futuristico, eppure somiglianza non vuol dire sovrapposizione (non stavolta, forse). Cristina somiglia indubbiamente a Dolores, ma abbiamo sin da subito la sensazione che quello di Westworld 4 possa essere un concetto di somiglianza filosofica più che scientifica, che ci spinge a interpretare gli indizi in maniera “originaria” in riferimento al tenore della primissima Westworld: ragionando cioè per timeline.
I due nomi che somatizzano in un unico volto rappresentano in questo “nuovo vecchio inizio” di Westworld la ricorrenza del tema del Doppio, in termini psicoanalitici ma anche e soprattutto narrativi. Questo perché, sebbene siamo tendenti a ipotizzare sin dal primo istante che Cristina possa essere l’ennesima “versione” di Dolores, il nuovo nome di Westworld potrebbe aver già rivelato la sua identità nella semplicità di un rituale. Cristina, in questa 4×01 di Westworld, si vedrà riflessa allo specchio per ben 3 volte, ognuna delle quali assumerà il senso dell’avanzamento metaforico di una fase importante, potenzialmente (appunto) rivelatrice.
Cristina osserva e si osserva, vivendo quello che Lacan identifica nella sua psicanalisi come “lo stadio dello specchio”, un ciclo tipico dell’apprendimento. È durante questo processo che, secondo Lacan, il bambino comincia a riconoscere se stesso come un individuo completo, totale e indipendente (non più dipendente dalla figura materna). Tale momento rappresenta una “frattura” che genera nell’individuo un pensiero dualista che oscilla tra ego e corpo, tra immaginario e reale.
Se sin dalla prima stagione – anche attraverso il glaciale sguardo vacuo di Maeve che contempla la sua figura – abbiamo assistito al gesto dello specchiarsi come il progresso degli androidi verso un processo di auto-coscienza, questa volta tutto sembra ricondurre a un processo inverso che porta all’identificazione, e non alla dissociazione, nella misura in cui Cristina potrebbe rivelarsi (“semplicemente”) un essere umano e non l’ennesimo host.
Cristina, come precedentemente detto, indugerà sulla propria immagine riflessa per ben tre volte in maniera chiave, tante quante sono le fasi che scandiscono lo “stadio dello specchio” secondo Lacan:
- Durante la prima fase, l’individuo identifica questa immagine con quella di uno sconosciuto; così fa Cristina, dandoci inizialmente l’idea di star assistendo proprio al processo dissociativo di Dolores imprigionata in un nuovo corpo.
- Durante la seconda fase, l’individuo è in grado di riconoscere “qualcos’altro”, ma unicamente come immagine; allo stesso modo, Cristina riconoscerà l’orrore di una “realtà” che non è tale, bensì solo scritta nelle storyline da lei create per lavoro, quindi pura immagine.
- Durante la terza fase, l’individuo riconosce il riflesso come se stesso; è qui che Cristina parlerà a cuore aperto della “storia di una donna in cerca di qualcosa”, conciliando finalmente se stessa con una storia che finalmente può davvero essere il riflesso di se stessa, di ciò che vorrebbe essere.
Da questa crasi, da quest’ultima presa di coscienza, potrebbe nascere la teoria che Cristina sia un personaggio del tutto nuovo, presente in una timeline precedente i 7 anni del “disastro di Westworld”, e che sia un dipendente di un’azienda che si occuperebbe di scrivere trame e personaggi dei parchi a tema (ancora in fase di esordio in questa presunta timeline, come potrebbe confermare una delle prime scene dell’episodio, che vede Cristina passare di fianco a tre ragazzi che urlano euforici: “questo nuovo posto è pazzesco, non ci posso credere che sia la tua prima volta!”).
Cristina avrebbe così sublimato la terza fase con l’identificazione nel personaggio che di lì a poco costruirà, una Cristina le cui sofferenze potranno annullarsi nel labirinto di codici e attenuarsi lungo pareti di carne sintetica, e il cui dolore potrà racchiudersi in una metafora: Dolores.
Sono tante le analogie nei gesti, nei pensieri e nella visione del mondo tra Cristina e Dolores, e tutte danno la sensazione di essere un “vissuto” della prima trasmesso alla seconda (basti pensare alla scena di Cristina che lascia cadere il cellulare distratta dalla visione di un uomo, parallelo di Dolores che lascia cadere il suo barattolo al cospetto di Teddy). Lo stesso ritorno di Teddy sul finale di episodio è l’indizio che più avvicina a questa teoria, nella misura in cui proprio un’ipotetica relazione tra Cristina e “Teddy” (quale sarà il suo nome nella nuova, presunta, timeline precedente Westworld 1?) possa essere ciò che ha ispirato la prima nella scrittura della trama di Dolores all’interno del parco.
Quello di Cristina è quasi un ritorno allo “stato di natura” così come lo intende Russeau, in uno stato umano privo di contaminazione, e così prova a fare anche Westworld 4, cercando di tornare al suo stato naturale e riuscendoci (per il momento) solo parzialmente, ritrovando una naturalezza e una suggestione narrativa che aveva indubbiamente perso nelle ultime due stagioni, specie nella terza. Lo fa provando anche a restituirci un personaggio forse troppo bistrattato nella scorsa stagione, quale William, ormai presente in forma androide negli eventi “post catastrofe” e al quale potrebbe collegarsi il destino dell’ancora disperso Bernard.
Proprio in merito a Bernard, possiamo cogliere un potenziale indizio in una brevissima scena di Cristina che si dirige nel suo ufficio, e che uscendo dall’ascensore lascia scorrere alle sue spalle il numero del piano al quale accede: il 47, che ci ricorda lo “space 47”, il settore nel quale è stato rivelato trovarsi la casa di Arnold nella seconda stagione. Ci risulta impossibile non pensare a una correlazione tra Cristina (se questa dovesse rivelarsi l’umano che ha ispirato la nascita di Dolores) e Arnold, proprio come ci è impossibile pensare a Dolores senza Bernard.
Un ritorno allo stato di natura, dunque, un passo indietro che potrà (forse) servire a farne altri dieci in avanti e restituirci la Westworld che abbiamo sempre amato.
Così, sulle note di una traccia che sembra ironicamente rimarcare la natura metanarrativa di una serie che cerca di tornare grande (il solito sublime riadattamento di Ramin Djawadi, stavolta della Video Games di Lana del Rey), il primo episodio di Westworld 4 si conclude con un monologo dai tratti shakespeariani, tra i nuovi Romeo e Giulietta che precedono i Romeo e Giulietta che saranno (o che sono stati, nel passato di questa serie, nella prima stagione), corpi freddi la cui sofferenza è rovente, androidi nostalgici per cose che nemmeno hanno vissuto, felici per momenti che non vivranno mai.
Come un loop che cerca pace nell’eternità, il sipario si riapre, sull’episodio ma più in generale su Westworld. Le palpebre di Cristina ora dividono ciò che il mondo non vuol vedere da ciò che non può essere compromesso dalla prospettiva: un mondo che spera di tornare al suo “stato di natura”.