Dopo quasi due anni di attesa, Westworld è finalmente tornata sui nostri schermi con la sua attesissima terza stagione. Sin dall’esordio nel 2016, lo show di Jonathan Nolan e Lisa Joy ha dimostrato di essere una serie complicata, intricata, ingannatrice ma non per questo meno soddisfacente. Sebbene la seconda stagione non abbia avuto la stessa forza e lo stesso impatto della prima, Westworld ha continuato a confondere e intrigare i suoi spettatori con intrecci di varie storyline e linee temporali sovrapposte, non abbandonando mai la narrazione ambiziosa e articolata che ci ha fatto innamorare della serie.
Tuttavia, come ci era stato preannunciato da autori e cast, sin dal primo episodio la terza stagione risulta più accessibile grazie a una narrazione all’apparenza più lineare e comprensibile. Per quanto possa far nascere dubbi e preoccupazioni nei fan di lunga data, questo cambio di passo non va a snaturare completamente l’essenza di Westworld che possiamo ritrovare anche nel nuovo parco di questa stagione: il mondo reale.
Il primo episodio ci scaraventa in un’ambientazione futuristica e deterministica che, pur richiamando gli scenari di Black Mirror, non si allontana poi tanto dal nostro preoccupante presente.
Siamo nell’anno 2058. Il mondo e il destino degli esseri umani è dettato da Rehoboam, un sistema di proprietà della Incite (società rivale della Delos) che decide come ognuno debba vivere e comportarsi analizzando ogni evento e valutandone statisticamente i benefici. Una tecnologia dalle enormi potenzialità che potrebbe migliorare il mondo e dare uno scopo a ognuno di noi ma che finisce inevitabilmente per essere un mezzo per controllare la società. Infatti, proprio come gli host nel parco, gli esseri umani che popolano questa realtà non hanno davvero un potere decisionale sul loro percorso che giorno dopo giorno non cambia di una virgola. Dunque ci è subito chiaro quanto il mondo reale non sia poi così tanto diverso dal parco di Westworld con il quale condivide quel senso di loop continuo che si palesa attraverso percorsi definiti dai quali nessuno sembra voler effettivamente distaccarsi.
Uno degli elementi che contribuisce a questo senso di ripetizione e controllo è la tecnologia che ci viene presentata in questo mondo futuristico. Lavoratori robot, impianti digitali sottocutanei, stabilizzatori dell’umore che vanno ad agire sul sistema limbico, servizi di terapia basati sulla simulazione. Ciò che unisce e accomuna questi strumenti non è tanto la loro “utilità” e il loro utilizzo quotidiano quanto più la loro capacità nel far sembrare reale quello che non lo è affatto. La tecnologia di Westworld non riesce a migliorare il mondo ma va solo a mascherare una realtà desolante e insoddisfacente, ben lontana dalla perfezione e dal progresso decantato da coloro che si trovano ai vertici della società.
La profonda delusione verso questo mondo è incarnata perfettamente da Caleb Nichols, la new entry della terza stagione.
Caleb, ex soldato, è un operaio edile assistito da George, un robot della Delos progettato per aiutare nelle mansioni più difficili e rischiose. Un personaggio decisamente disilluso, con una madre malata che non lo riconosce, senza abbastanza soldi per pagare le bollette e profondamente segnato dal trauma della perdita di Francis, suo compagno durante il servizio militare. Attraverso i suoi monologhi interiori e le conversazioni con la voce simulata dell’amico, sin da subito Caleb ci mostra la sua estrema diffidenza nei confronti di quella tecnologia così avanzata che però non è mai stata in grado di migliorare la sua vita.
Questa sfiducia si manifesta più volte nel corso dell’episodio. A differenza della maggior parte delle persone, Caleb è sprovvisto dell’impianto sottocutaneo necessario per l’assunzione degli stabilizzatori d’umore, una decisione che evidenzia il suo desiderio di distanziarsi dalla massa e che potrebbe anche indicare la mancanza di collegamento diretto con Rehoboam. Inoltre, la riluttanza nell’usufruire del servizio di terapia offertogli dal sistema simboleggia la sua mancanza di fiducia nella simulazione di Francis e ancor di più la sua incapacità di andare avanti e fronteggiare il proprio trauma.
Personaggio perso e tormentato da un disagio e da un malessere costante, Caleb non riesce ad adattarsi al mondo in cui vive. Gli esseri umani che lo circondano sono indifferenti ai problemi altrui che in caso di necessità vengono risolti delegando il tutto a delle macchine o a delle intelligenze artificiali. Nessuno gli ha insegnato come sopravvivere in questa realtà che è stata impostata come un gioco che, proprio come nel parco, non offre le stesse possibilità a tutti poiché contraffatto affinché vincano sempre “loro”: gli ospiti nel parco di Westworld, i potenti nel mondo reale.
Sin da subito, il percorso di Caleb si lega a quello di Dolores.
È impossibile non notare le similitudini fra la determinata Dolores e il disilluso Caleb i cui risvegli durante l’episodio ci ricordano immediatamente quelli dell’androide nella prima stagione. La prima, grazie al viaggio cognitivo del Labirinto, è riuscita a risvegliarsi e ad andare al di là di ciò che era stato scritto per lei, liberandosi così dai percorsi narrativi ed etici prestabili. Il processo previsto da Ford (qui un articolo sulle possibilità di rivederlo nella terza stagione) porta Dolores, così come altri host, ad avere per la prima volta il controllo di sé e del proprio destino. Un percorso che molto probabilmente caratterizzerà anche il personaggio di Caleb. Nonostante non sappiamo ancora molto sul suo passato, è chiaro che per tutta la sua vita gli sono stati imposti una routine e un ruolo non desiderati.
Il mondo reale di Westworld è molto più vicino a una simulazione che alla realtà.
Ciò che gli offre il sistema non è sufficiente per determinarsi, distinguersi e superare i propri traumi. Ed è per questo che non ci stupisce la sua decisione finale di cancellare il servizio di terapia. Quella voce simulata non potrà mai rimpiazzare l’amico perso, non potrà portargli il conforto di cui ha bisogno. Per poter andare avanti, è necessario spezzare lo schema e trovare qualcosa, qualcuno che sia reale. E, paradossalmente, quel qualcuno di reale è proprio Dolores, un androide frutto di quella tecnologia tanto disprezzata da Caleb ma allo stesso tempo caratterizzata da un individualismo e una determinazione che molto probabilmente lo porteranno a superare i propri limiti e liberarsi dai vincoli imposti dalla società.
Ancora una volta Westworld dimostra di essere una serie tv in grado di rivoluzionarsi e riformularsi mantenendo comunque viva la propria essenza attraverso la rappresentazione di un mondo che per quanto nuovo risulta comunque tanto vibrante quanto quello dei parchi. Decisamente vincente anche l’introduzione di Caleb. L’incontro fra la sua ideologia e quella di Dolores potrebbe essere uno dei punti focali di questa nuova stagione che, pur essendo ancora all’inizio, promette assolutamente bene proponendoci da subito storyline interessanti e spunti intriganti per i prossimi episodi che non possiamo far altro che aspettare con trepidazione.