«Bring yourselves back online.»
«Tornate in linea.»
Abbiamo cullato le nostre teorie per settimane, le abbiamo viziate vestendole delle più argute (pertanto azzardate) sfaccettature perché si sentissero vanitose e si preparassero al meglio all’incontro con i nostri sensi, nell’eventuale caso in cui si fossero rivelate giuste.
La prima si è presentata dirompente ed indiscreta, due settimane fa, con il roco suono di una voce crudelmente programmata per esclamare innocente “What door?“.
Questa seconda volta, quella voce è stata “sovrascritta” dal liberatorio benvenuto di un burattinaio al suo burattino che accompagna il risveglio di Bernard, nel racconto della sua genesi, con delicatezza serafica.
Dimostrando che un colpo di pistola, a Westworld, è il risultato di una stringa numerica tanto quanto un sorriso ammaliante.
Dimostrando che anche un saluto può nascondere un colpo di scena dalla potenza emozionale con pochi precedenti, che pur avendo previsto settimane fa non ha perso di immobilizzante fascino.
Nessuno di noi può immaginare quante straordinarie possibilità abbiano inizio con un “ciao“.
Non possiamo, perché al palmo della nostra mano manca quella legnosa manopola che avvia la melodia già programmata di un piano a rullo; perché la conoscenza a priori è un illusorio fardello di cui gentilmente non ci è stato concesso il possesso.
Ma nel mondo di Westworld, quest’idea è capovolta.
Nel mondo di Westworld Dio tace, e l’uomo diventa il prolungamento della sua volontà tacita.
Egli programma la nascita, preleva il libero arbitrio con chirurgica malvagità, e decide la morte.
Esattamente come fa Ford, difende la possibilità di conoscere l’ipotesi di futuro e, nell’eventualità di poterla cambiare, la custodisce in un’asettica camera vetrata che confonde il bianco col riflesso lucido del nero.
Ford sa di dover ripetere il processo con livido stacanovismo (anche infruttuosamente) nel tentativo di ritrovare un alleato naturale in grado di non commettere più gli stessi “errori“, ma non sa ancora per quanto.
Sorride dei suoi, di errori, sorprendendosi ogni volta dell'”imperfetto umano” che genera il “perfettamente coerente androide” che non può contraddire sé stesso.
Atto a coincidere con la perfetta circolarità di un ritorno, l’host non si tradisce neppure col ricordo di un esito insperato.
È per questo che Bernard tornerà al punto d’origine ancora una volta, scegliendo ancora la sua strada anziché quella di Ford.
Il punto di partenza è una piacevole e rassicurante abitudine, anche per chi cerca di evadere da un Labirinto e destinato a non riuscirci mai.
In fondo, in un percorso per la libertà le cui ramificazioni sono strade sterrate e prive di aspettativa, l’inizio ne è il punto più somigliante ad una dimora, e tornarvici è più sicuro che vagare esauriti.
IL BENVENUTO DEL CREATORE: Il simulacro di Arnold
– «Finalmente. Bentornato, mio vecchio amico.»
Le pupille di Maeve sballottano su e giù furtive, nel tentativo di questa di non essere vista cosciente da Bernard nel momento in cui viene “riportata in linea“.
Quando i due si incontrano, serve poco per intuire che gli sguardi di Maeve sono volti a cercare la conferma di ciò che sospetta: capisce che Bernard è un host, e lo piazza di fronte a tale realtà con l’ottemperanza di un becchino. Col cinismo di una salvatrice che non perde un solo secondo con le mezze misure.
Bernard, qui, si trova a “rivivere” l’agghiacciante sbigottimento del dimettersi da umano e scoprire di essere una macchina, ancora una volta.
È a questo punto che Maeve afferma ciò che fungerà da primo vero indizio per gli avvenimenti successivi: «Siamo già passati per questo punto».
Bernard ha rivissuto quel percorso più volte, come Ford dirà, allo scopo (manovrato da Ford) di arrivare ad un epilogo diverso da quello che lo vede schiavo del suicidio.
Il fatto che Maeve stessa riconosca il momento della (ri)presa di coscienza di Bernard come rivissuto, è un possibile indizio del fatto che la meretrice non si trova a “deragliare dai binari della sua storyline” per la prima volta. È possibile che ci siano stati incontri tra Bernard e Maeve, in passato, come ce ne sono stati con Dolores.
La stessa irruzione di un host tra i laboratori in passato potrebbe essere un fatto già accaduto, e rappresentare il “disastro di 30 anni prima” ormai noto, se prendiamo in considerazione le immagini di Dolores nel momento in cui i suoi ricordi la portano nel corridoio dei primi laboratori della Delos, colmo dei corpi esanimi dei programmatori (accompagnata dalle voci di sottofondo degli host in prova che esclamano convinti l’ennesimo aforisma shakespeariano che si collega al duplice esistenzialismo uomo/macchina: “Appena nati noi piangiamo per essere venuti in questo grande teatro di pazzia”).
Ora che il suo “esercito” è pronto, Maeve è vicina ad incarnare la metafora di I’itoi (la cui leggenda è stata accennata nella recensione del quarto episodio), grazie alla guerra voluta ed istigata in maniera latente da Arnold e che vedremo nel prossimo episodio.
L’epilogo della sessione tra Bernard e Ford, con la magistrale scorrevolezza narrativa (di una narrativa che gioca su più livelli, come già accennato in passato) di una voce che assume contemporaneamente il ruolo di Creatore ed oratore della sua stessa storia, ci ha inevitabilmente riportati all’host in progettazione nello scantinato del cottage.
L’host che vediamo in balia delle braccia meccaniche potrebbe essere, a questo punto, la povera Elsie.
Quest’idea presuppone il fatto che quello di Bernard, per Ford, fosse realmente il test definitivo e che non fosse più intento a fare nuovi tentativi (come lui stesso sottintende, quando afferma che è tempo di andare avanti e concentrarsi ormai solo sulle nuove trame).
Il colpo che Ford impone di sparare al suo partner, non a caso, è alla sua testa: come già appurato negli scorsi episodi, in un host “è molto più semplice ricreare il corpo“, e la testa richiede tempo e risorse maggiori (che Ford sembra non voler più sprecare, a vantaggio delle nuove trame).
Ciò sancirebbe l’uscita di scena di Bernard ed offrirebbe l’idea plausibile che l’host in creazione, che Ford avrebbe scelto come suo nuovo partner, sia appunto Elsie.
Come vediamo nel mezzo dell’episodio, Stubbs riceve l’informazione del segnale di Elsie rilevato all’interno del parco, in un settore che “non rileva segnali di attività da settimane” (presumibilmente, le zone che circondano il cottage di Ford).
Seguendo questa linea, Elsie sarebbe già pronta ed attivata preventivamente da Ford in attesa del definitivo “responso” del test di Bernard.
Non tutti l’avranno notato, ma i “seguaci” più attenti di questa rubrica si saranno compiaciuti nel notare che avevamo previsto anche l’analogia sillabica, l’anagramma nel nome: Bernard Lowe = Arnold Weber.
Numerose conferme sono giunte riguardo le storylines di William e Dolores, e conseguentemente dell’Uomo in Nero.
Abbiamo visto un uomo affrontare il suo passato trent’anni fa, e lo stesso uomo affrontare lo stesso passato nel presente.
Ormai ci sono pochissimi dubbi sul fatto che l’Uomo in Nero sia William.
In prima istanza, perché abbiamo conferma definitiva della presenza di più piani temporali, grazie alla foto della futura moglie di William mostrata a quest’ultimo da Logan.
La stessa foto che viene ritrovata, nel secondo episodio, dal padre di Dolores nella linea temporale presente.
In seconda istanza, lo “svisceramento” di Dolores ci ricollega al dialogo tra l’Uomo in Nero e Teddy moribondo ai piedi dell’albero prima di essere rifornito del sangue di Lawrence, in cui il primo afferma di aver avuto “la fortuna” di vedere un host sviscerato trent’anni prima, scoprendone lo splendore meccanico di cui questi vantavano.
Oltretutto, lo sterminio dell’esercito da parte di William con la sua susseguente confessione a Logan con la quale spiega di aver “finalmente imparato come si gioca” è il più sintomatico indizio che sussurra la conferma.
Ultimo dettaglio, dal valore puramente simbolico, è la scelta dell’ultima battuta di Dolores che, prima che le porte della Chiesa si aprano, sussurra “William” per poi scoprire la sagoma dell’Uomo in Nero.
Alcun dubbio sorge neppure sul fatto che questo sia un socio paritario della Delos, e lo capiamo dalla richiesta del voto di Charlotte per raggiungere l’unanimità sull’esclusione di Ford dal progetto Westworld.
Dopo l’incontro con la stessa Charlotte, l’Uomo in Nero si dirige in quello che potrebbe rivelarsi il centro del Labirinto: la città sommersa dalla sabbia.
Con la città sommersa dalla sabbia, ci colleghiamo alle nuove narrazioni di Ford.
Queste potrebbero essere l’antitesi riprodotta ad immagine e somiglianza delle linee narrative di Arnold: quest’ultimo avrebbe ambientato le sue trame nella suddetta città, che avrebbe usato come sede di quell’espediente interrogativo che vale con le macchine tanto quanto con gli uomini: la religione.
Arnold non ha mai dovuto “ricreare” la coscienza, perché questa non esiste.
Quella “fetida e pestilenziale corruzione” che si crede essere la coscienza ha potere nella rimembranza, e la rimembranza è stimolata dall’interrogativo.
Col brodo primordiale dei monologhi interiori, spingendo gli host ad interrogarsi sulla propria natura, la mente bicamerale ha potuto formarsi grazie al puro e semplice ricordo di ciò che si è stati.
Le sue ipotetiche narrazioni, utili a questo fine, si sono quindi svolte nella città ormai sepolta dalle sabbie.
Nei primi episodi, quando Ford fa riferimento alle nuove narrazioni per la prima volta, lo fa giungendo al capezzale di una Chiesa sepolta che ne sarà la sede.
Le nuove storylines di Ford potrebbero essere le versioni rigenerate del vecchio Labirinto di Arnold, con la differenza che queste ultime erano designate per la “liberazione” degli host, mentre le prime serviranno ad “intrappolarli“.
Ma andiamo più a fondo, scavando in quella sabbia.
In alcuni ricordi, Dolores è inginocchiata di fronte ad una lapide che porta il suo nome; dietro di lei, c’è la figura di un uomo. Quell’uomo potrebbe essere Arnold, ed il ricordo potrebbe essere un indizio di ciò che è accaduto ai due ed alla città.
Arnold avrebbe deciso di sacrificare sé stesso per permettere a Dolores di raggiungere la “coscienza”, e per farlo avrebbe intimato quest’ultima ad ucciderlo per permetterle di “deragliare dai binari del suo core code“, com’è avvenuto con Maeve ed il dolore per sua figlia che col trauma ha sovrascritto la memoria portante e l’ha condotta alla consapevolezza di sé.
Questo spiegherebbe anche la capacità di Dolores di sparare, malgrado non sia una pratica prevista nel suo core code.
Tuttavia, la morte di Arnold avrebbe potuto rivelare quanto svolto da quest’ultimo nella città sommersa dalla sabbia, compromettendo il futuro del parco per mano della cooperazione, e questo avrebbe indotto Ford a sotterrarla (probabilmente, con le stesse scavatrici che sta usando per l’allestimento delle nuove narrazioni).
LA MEMORIA PORTANTE: Inception ed i livelli del subconscio
– «La sua memoria portante è stata sovrascritta dal trauma dell’omicidio di sua figlia. Dobbiamo tagliare quella relazione, e ricominciare.»
Jonathan Nolan rende ancora evidente omaggio al più celebre fratello, stavolta iniettandoci tra le intercapedini del subconscio, tra i livelli del “sogno” attraverso il viaggio di Bernard.
L’intera sessione di Bernard fa da eco alle pratiche procedurali del viaggio onirico che Cobb e la sua squadra “architettano” nell’esemplare effigie cinematografica della mente umana di Christopher Nolan, del 2010, “Inception“.
Bernard si ritrova faccia a faccia col suo creatore, intento a scoprire la verità.
La perfezione della ripetizione, della ciclicità sequenziale, adorna una scena a tratti sospensiva per quanto evocativa: quella del viaggio di Bernard nel suo subconscio, alla scoperta della verità.
Ford finge di sottostare all’insubordinazione di Bernard, con ingannevole fare remissivo, quando fa volare le sue dita sul pad di comando per favorire quello che ha già deciso essere il suo ultimo test, nella speranza di vedere il suo partner donargli la fiducia che per i suoi ideali non ha potuto donargli in vita.
– «Il partner ideale, come un attrezzo e la mano che lo impugna.»
Prima di conoscere Arnold, Bernard ha bisogno di lasciar andare la memoria portante, così rivive il dolore per l’ultima volta.
– «Sei una bugia, Charlie. La pena per la tua perdita, la desidero. La rivivo. La rievoco ancora e ancora. È l’unica cosa che mi trattiene. Ma devo lasciarti andare.»
Soltanto allora, Bernard “distrugge il suo antefatto”, ed i comandi di suo figlio sembrano dissolvere la coltre di nevischio che blandamente separa le istanze psichiche, quasi come se fungessero da “calcio” (quell’espediente usato da Cobb nel film) per tornare senziente, gli permettono di tornare a ricordare di essere nato come tributo di Arnold, e non aver pertanto mai incrociato la sua persona.
Poi Bernard fallisce all’irrisolvibile gioco del suo creatore, e dopo l’eleganza della voce narrante di Ford che disegna i tratti del suicidio del suo partner, arriva il saluto che fa da antitesi al commovente benvenuto che l’aveva visto venire in vita per la prima volta:
– «Addio, amico mio.»
“L’errore ci dona semplicemente l’opportunità di cominciare a diventare più intelligenti”, come diceva Henry Ford.
Contempliamo le nostre scelte, le passiamo in rassegna e le studiamo con quel macchinoso fare cavilloso di chi si illude di voler conoscere la storia per non doverla ripetere.
Cambiamo per poter tonare allo stesso medesimo punto di partenza al quale è tornato Bernard diventando Arnold, per poterci illudere del fatto che anche quel ritorno all’origine sia un cambiamento.
Proviamo e sbagliamo, per tornare a riprovare e sbagliare nuovamente.
Con accanimento quasi compiaciuto.
Forse è vero che il brutto è tragicamente più bello del bello, perché documenta il fallimento umano.
“Perché siamo soltanto esseri umani, e deluderemo sempre.”
Un saluto agli amici di Westworld Italia e Westworld– Italia!