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Le pupille di Maeve sballottano su e giù furtive, nel tentativo di questa di non essere vista cosciente da Bernard nel momento in cui viene “riportata in linea“.
Quando i due si incontrano, serve poco per intuire che gli sguardi di Maeve sono volti a cercare la conferma di ciò che sospetta: capisce che Bernard è un host, e lo piazza di fronte a tale realtà con l’ottemperanza di un becchino. Col cinismo di una salvatrice che non perde un solo secondo con le mezze misure.
Bernard, qui, si trova a “rivivere” l’agghiacciante sbigottimento del dimettersi da umano e scoprire di essere una macchina, ancora una volta.
È a questo punto che Maeve afferma ciò che fungerà da primo vero indizio per gli avvenimenti successivi: «Siamo già passati per questo punto». Bernard ha rivissuto quel percorso più volte, come Ford dirà , allo scopo (manovrato da Ford) di arrivare ad un epilogo diverso da quello che lo vede schiavo del suicidio.
Il fatto che Maeve stessa riconosca il momento della (ri)presa di coscienza di Bernard come rivissuto, è un possibile indizio del fatto che la meretrice non si trova a “deragliare dai binari della sua storyline” per la prima volta. È possibile che ci siano stati incontri tra Bernard e Maeve, in passato, come ce ne sono stati con Dolores.
La stessa irruzionedi un host tra i laboratori in passato potrebbe essere un fatto già accaduto, e rappresentare il “disastro di 30 anni prima” ormai noto, se prendiamo in considerazione le immagini di Dolores nel momento in cui i suoi ricordi la portano nel corridoio dei primi laboratori della Delos, colmo dei corpi esanimi dei programmatori (accompagnata dalle voci di sottofondo degli host in prova che esclamano convinti l’ennesimo aforisma shakespeariano che si collega al duplice esistenzialismo uomo/macchina: “Appena nati noi piangiamo per essere venuti in questo grande teatro di pazzia”). Ora che il suo “esercito” è pronto, Maeve è vicina ad incarnare la metafora di I’itoi (la cui leggenda è stata accennata nella recensione del quarto episodio), grazie alla guerra voluta ed istigata in maniera latente da Arnold e che vedremo nel prossimo episodio.
L’epilogo della sessione tra Bernard e Ford, con la magistrale scorrevolezza narrativa (di una narrativa che gioca su più livelli, come già accennato in passato) di una voce che assume contemporaneamente il ruolo di Creatore ed oratore della sua stessa storia, ci ha inevitabilmente riportati all’host in progettazione nello scantinato del cottage.
L’host che vediamo in balia delle braccia meccaniche potrebbe essere, a questo punto, la povera Elsie.
Quest’idea presuppone il fatto che quello di Bernard, per Ford, fosse realmente il test definitivo e che non fosse più intento a fare nuovi tentativi (come lui stesso sottintende, quando afferma che è tempo di andare avanti e concentrarsi ormai solo sulle nuove trame).
Il colpo che Ford impone di sparare al suo partner, non a caso, è alla sua testa: come già appurato negli scorsi episodi, in un host “è molto più semplice ricreare il corpo“, e la testa richiede tempo e risorse maggiori (che Ford sembra non voler più sprecare, a vantaggio delle nuove trame). Ciò sancirebbe l’uscita di scena di Bernard ed offrirebbe l’idea plausibile che l’host in creazione, che Ford avrebbe scelto come suo nuovo partner, sia appunto Elsie. Come vediamo nel mezzo dell’episodio, Stubbs riceve l’informazione del segnale di Elsie rilevato all’interno del parco, in un settore che “non rileva segnali di attività da settimane” (presumibilmente, le zone che circondano il cottage di Ford).
Seguendo questa linea, Elsie sarebbe già pronta ed attivata preventivamente da Ford in attesa del definitivo “responso” del test di Bernard.
LA MEMORIA PORTANTE: Inception ed i livelli del subconscio
– «La sua memoria portante è stata sovrascritta dal trauma dell’omicidio di sua figlia. Dobbiamo tagliare quella relazione, e ricominciare.»
Jonathan Nolan rende ancora evidente omaggio al più celebre fratello, stavolta iniettandoci tra le intercapedini del subconscio, tra i livelli del “sogno” attraverso il viaggio di Bernard.
L’intera sessione di Bernard fa da eco alle pratiche procedurali del viaggio onirico che Cobb e la sua squadra “architettano” nell’esemplare effigie cinematografica della mente umana di Christopher Nolan, del 2010, “Inception“. Bernard si ritrova faccia a faccia col suo creatore, intento a scoprire la verità .
La perfezione della ripetizione, della ciclicità sequenziale, adorna una scena a tratti sospensiva per quanto evocativa: quella del viaggio di Bernard nel suo subconscio, alla scoperta della verità .
Ford finge di sottostare all’insubordinazione di Bernard, con ingannevole fare remissivo, quando fa volare le sue dita sul pad di comando per favorire quello che ha già deciso essere il suo ultimo test, nella speranza di vedere il suo partner donargli la fiducia che per i suoi ideali non ha potuto donargli in vita. – «Il partner ideale, come un attrezzo e la mano che lo impugna.»
Prima di conoscere Arnold, Bernard ha bisogno di lasciar andare la memoria portante, così rivive il dolore per l’ultima volta. – «Sei una bugia, Charlie. La pena per la tua perdita, la desidero. La rivivo. La rievoco ancora e ancora. È l’unica cosa che mi trattiene. Ma devo lasciarti andare.»
Soltanto allora, Bernard “distrugge il suo antefatto”, ed i comandi di suo figlio sembrano dissolvere la coltre di nevischio che blandamente separa le istanze psichiche, quasi come se fungessero da “calcio” (quell’espediente usato da Cobb nel film) per tornare senziente, gli permettono di tornare a ricordare di essere nato come tributo di Arnold, e non aver pertanto mai incrociato la sua persona. Poi Bernard fallisce all’irrisolvibile gioco del suo creatore, e dopo l’eleganza della voce narrante di Ford che disegna i tratti del suicidio del suo partner, arriva il saluto che fa da antitesi al commovente benvenuto che l’aveva visto venire in vita per la prima volta: – «Addio, amico mio.»
“L’errore ci dona semplicemente l’opportunità di cominciare a diventare più intelligenti”, come diceva Henry Ford.
Contempliamo le nostre scelte, le passiamo in rassegna e le studiamo con quel macchinoso fare cavilloso di chi si illude di voler conoscere la storia per non doverla ripetere.
Cambiamo per poter tonare allo stesso medesimo punto di partenza al quale è tornato Bernard diventando Arnold, per poterci illudere del fatto che anche quel ritorno all’origine sia un cambiamento.
Proviamo e sbagliamo, per tornare a riprovare e sbagliare nuovamente.
Con accanimento quasi compiaciuto.