Due grandi Serie. Una appena agli inizi, l’altra divenuta da tempo un cult senza uguali. La prima è destinata a condurre la narrazione seriale su un territorio ancora inesplorato, la seconda incarna l’esperienza televisiva per antonomasia. Benvenuti nell’Olimpo della serialità, ragazzi: oggi vi parliamo di Westworld e Lost.
Quando J.J. Abrams lega il suo nome a un progetto non lo fa mai superficialmente (d’altronde ecco 10 sue Serie imperdibili). Se di Lost il regista della nuova trilogia di Star Wars è stato anche autore, salvo poi distaccarsene, in Westworld ha ricoperto “solamente” il ruolo di produttore. Quest’ultima è, infatti, frutto della mente visionaria di Jonathan Nolan, coadiuvato dalla moglie, Lisa Joy. Tuttavia, quando coinvolgi una personalità così importante come Abrams è lecito attendersi delle analogie.
In effetti, seppur con tempi e modi diversi, entrambe nascono da una premessa affine: condurre l’individuo alla scoperta di sé stesso, in un luogo fuori dal tempo, governato da un Dio in carne e ossa. Prima ancora, però, le due Serie sono trattati sulla natura umana, capaci di passare al vaglio la coscienza dell’individuo in tutte le sue sfaccettature. La ricerca di sè stessi è il punto di partenza dell’una e dell’altra.
In Person of Interest Nolan aveva conferito un’anima alla Macchina; in Westworld estende il discorso alle AI, trasformandole in una metafora dell’essere umano. Non a caso, oltre a provare sentimenti, le Attrazioni del dr. Ford presentano anche fattezze umane. Il viaggio verso l’autoconsapevolezza è prima di tutto un viaggio nel proprio subconscio (mi rincresce ridurre all’osso un concetto di una profondità pazzesca, ma potete approfondirlo qui).
Meno retorico e più pragmatico, almeno apparentemente, è il modo con cui Lost approccia allo stesso obiettivo. In questo caso, l’Isola è il luogo in cui i naufraghi vengono privati delle loro “maschere”, qui intese nell’accezione pirandelliana del termine, per recuperare il vero “io”. Jack, all’inizio della Serie, sembra un uomo tutto d’un pezzo, per poi scoprirsi fragile, tormentato, irascibile; Sawyer non è l’egoista truffatore che ci viene introdotto, ma un individuo estremamente più complesso. Lo stesso vale per John, Kate, Jin, Sayid.
Quanto detto finora rende abbastanza l’idea di quanto queste Serie debbano necessariamente essere lette in chiave filosofica. La filosofia ne pervade ogni aspetto, risultando una parte integrante e funzionale della trama.
“Siamo stati portati qui per uno scopo, per un motivo, tutti noi. Ognuno di noi è stato portato qui per un motivo”.
Lost si regge interamente sulla contrapposizione tra fato e libero arbitrio, come suggerisce il nome di molti personaggi: i vari Locke, Hume, Rousseau rimandano a importanti filosofi che hanno approfondito la questione, uno dei misteri della nostra esistenza. In quanto tale, la stessa Serie Tv non si sbilancia mai nell’una o nell’altra direzione: per quanto Jacob abbia condotto i naufraghi sull’Isola è pur vero che questi ultimi, potendo scegliere, hanno deciso di restare (o di tornare). L’accostamento personaggi-filosofo, inoltre, funziona anche con altri concetti portanti: ad esempio, John sull’Isola coglie la possibilità di riscrivere la propria vita, riabbracciando la teoria della Tabula Rasa dell’omonimo illuminista inglese.
“Questo mondo non appartiene a Loro. Appartiene a Noi”.
Il tema del free will investe inevitabilmente anche Westworld. Alla fine della prima stagione alcuni androidi riusciranno a ottenere il libero arbitrio, partendo dalla dolorosa presa di coscienza della sua assenza. In questo senso la Serie si profila come una meravigliosa rappresentazione scenica della morale kantiana, secondo cui la libertà è data dal raggiungimento della piena consapevolezza del sè. L’altro grande riferimento al pensiero di Kant è dato dalla Teoria della Percezione (e in particolar modo dalla sua variante, l’appercezione) in relazione all’impossibilità dei robot di osservare ogni dettaglio della realtà.
Coerentemente con ciò, si delinea anche il punto di vista delle due Serie sulla religione. Entrambe concepiscono un Dio mortale: nel caso di Lost, questi altri non è che un custode col compito di proteggere il segreto dell’Isola; in Westworld si tratta di una figura a metà tra il Christoff di Truman Show e il Demiurgo artigiano di Platone (non a caso Ford e Arnold hanno “costruito” Delos e i suoi abitanti).
Ne consegue una visione della religione imperfetta perchè umana.
Al netto delle analogie, le due Serie sono strutturalmente incompatibili. Lost è nata per la Tv generalista e un pubblico molto più eterogeneo; Westworld è una Serie HBO, caratterizzata perciò da un registro linguistico e narrativo a sè stante. L’una risponde alle logiche dell’audience, l’altra terminerà quando la storia si sarà esaurita, a prescindere dagli ascolti. E non arriverà mai a 20 episodi, come nel primo caso.
Come accennato in partenza, Lost è la più sensazionale esperienza televisiva di sempre. Con ciò si intende che la scrittura di ogni singolo episodio induceva lo spettatore a immedesimarsi nella storia: cosa faranno? Quale mistero si cela dietro l’Isola? Tale espediente non è però sinonimo di qualità e, infatti, la Serie ha risentito di un calo nelle ultime stagioni. Al contrario, Westworld, che dura soli 10 episodi a stagione, non sarà mai un appuntamento televisivo fisso e improrogabile. In compenso può comunque impiegare un gran numero di personaggi e dare risalto alle varie storyline, grazie al minutaggio superiore: 60 minuti contro 40.
Emblematiche del diverso tono con cui le due Serie si approcciano sono le rispettive sigle: sbrigativa e quasi inesistente quella di Lost, lenta e solenne l’opening di Westworld. Anche gli archi temporali, altro possibile elemento in comune, vengono utilizzati in modo diametralmente opposto. I sideways di Lost vertono su un personaggio alla volta, sono lineari e riconoscibili. Quelli di Westworld sono corali e molto meno intuitivi, salvo far quadrare il cerchio alla fine.
In ultima analisi le ambientazioni. L’Isola, catalizzatrice di tutti gli eventi, risulta essere la vera protagonista di Lost. Il parco western della Serie HBO è, al contrario, solamente uno dei mondi artificiali possibili creati a Delos. Entrambi sono però funzionali a racchiudere il senso ultimo delle due narrazioni: il-mistero-è-ciò-che-alimenta-le-azioni-dei-personaggi nel primo caso; il-viaggio-inteso-come-esperienza-interiore nel secondo.