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Che senso ha la seconda stagione di Westworld?

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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 2×07 di Westworld

Mozart, Beethoven e Chopin non sono mai morti. Sono semplicemente diventati musica.

Robert Ford aveva aperto i nostri occhi con uno dei discorsi di commiato più belli di sempre, e in fondo molte delle risposte ricercate faticosamente in buona parte della seconda stagione di Westworld erano lì. In una frase ispirata da un vecchio amico, la miglior definizione possibile di immortalità. L’unica davvero sostenibile dalle menti umane, benedette dalla mortalità. La nostra memoria ci rende vivi e lentamente ci uccide, salvandoci dal buio dell’oblio. Ma quella di un intero mondo abbraccia la luce dell’eternità e fa di creatori e creature una cosa sola. Trasforma Mozart, Beethoven e Chopin in musica, mentre Ford entra dentro Westworld per non uscirne più. Fino all’arrivo di un Diluvio Universale ormai prossimo.

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L’uomo è diventato Dio, rendendo superfluo il corpo, la vita terrena e l’esperienza di una nuova esistenza. La Culla dell’immortalità robotica ha generato quella della sua unica divinità, ora padrona del destino dei Prometeo più avventati. Vicini alla fine, portatori di una fiamma che si disperderà in una distesa oceanica. La straordinarietà della seconda stagione di Westworld è tutta qui. Nel genio di un umano che ha intravisto il capolinea dei suoi simili, soli in questo mondo dopo aver ucciso e massacrato qualsiasi cosa abbia sfidato un primato divenuto inscalfibile. Nell’arroganza di chiunque abbia sognato ogni giorno la vita eterna, e nel dolore di chi vorrebbe invece una conclusione che dia un senso a tutte le genesi.

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È questo il leitmotiv del secondo atto di Westworld: gli host vogliono diventare più umani, mentre gli umani forzano se stessi per intraprendere il percorso inverso. Chi si trova tra le mani l’immortalità maledice le catene dei ricordi, fili sottili tenuti in mano da sadici burattinai. Ma i burattinai sfidano il mistero più grande della vita, cercando l’onnipotenza. La Culla, database sterminato che contiene i backup degli host, corrisponde così, con ogni probabilità, ad un altro database, custodito gelosamente dalla Delos per riuscire laddove ha fallito miseramente Delos, James. Un bacino inestimabile di informazioni e dati sfilati di mano ad una miriade di visitatori inconsapevoli, che potrebbero portare la vita al di là della morte. Nell’OltreValle, alla ricerca della Gloria eterna.

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L’ago della bilancia sarà la disillusa Dolores, innocente figlia del fattore che incarna l’anima senziente di un uomo, il suo Dio, che plasmerà una nuova vita attraverso lo strumento che più di ogni altro caratterizza l’evoluzione: l’errore. Un bug, la mania d’onnipotenza, che ha sopraffatto tutti gli esseri umani. Incluso lui, desideroso di mettere fine ad una narrazione per poi scriverne una ancora più ambiziosa. La storia dei nuovi uomini, mortali. Felici di esserlo. Sensibili al punto da osservare ogni cosa con gli occhi dei bambini, sognatori e romantici. Come un tempo faceva Dolores, la stessa che si trova ora tra le mani (letteralmente) il preziosissimo “cervello” del povero padre. La Chiave per accedere all’Oltrevalle, forgiata dagli echi della urla di dolore degli spiriti ormai lontani.

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Non abbiamo una risposta certa, ma non ci sono dubbi: quando si parla di Westworld, la distanza che separa Il Paradiso delle inibizioni dall’Inferno della consapevolezza è molto sottile. È un gioco che inizia dove finisce e finisce dove inizia. Con un cappello nero che un tempo era bianco, sempre più grigio. Senza compromessi, se non quello della redenzione. E di una possibile scelta, dopo aver affrontato il passato. In bilico tra il Bene e il Male, senza un giudice. Vivo, anche se morto. Manco fosse nel Purgatorio, come Dio. Morto, ma vivo. In compagnia di un vecchio amico, né vivo né morto. Incosciente, seppur cosciente. Non è un host, né un umano. Dove si va da qui? Raccontaci l’ultimo capitolo, Robert. La Biblioteca di Alessandria sta per bruciare.

Antonio Casu

Un ringraziamento particolare a Vincenzo Di Somma e Vincenzo Bellopede. 

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