Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul quarto episodio della seconda stagione di Westworld
Gioca col fuoco, William. Lo sta facendo per l’ultima volta, contro il nemico più pericoloso. È costretto ad affrontarlo, senza sfidarlo. Dovrà ammettere la sua inferiorità, di fronte all’imponderabile. E stavolta la morte non c’entra. Vincerà sempre, l’ha dimostrato l’Inferno di James Delos. Ma l’immortalità è ancora più terribile. Quella che vive di ricordi e abbatte le barriere del tempo. Il rimorso dell’uomo, il disdegno del mondo intero. Un loop, un disco rotto con il solito pezzo degli Stones. Sulle tracce di Prometeo, smarrendo la via. I nemici si intrecciano e la morte, più viva che mai, non esiste più. William è confuso. Westworld, il suo impero, è sempre stato un carcere di massima insicurezza. Chi deve affrontare, davvero? L’eternità? Oppure l’ultimo barlume di sé? Forse entrambi. I due volti di un grigio tramonto.
Ha fatto tanti errori, il Man in Black. E non sarà una buona azione a redimerlo. Non un déjà vu a parti invertite, vissuto con vergogna a capo chino. Neppure il dolore sincero e vivo, come il sangue della moglie perduta e lo sguardo imperscrutabile di una figlia alla ricerca della resa dei conti. È un circolo vizioso, Westworld. Un incubo senza fine, riflesso negli occhi del sogno liberatorio. Nero che abbraccia tutto, sempre sugli Stones. Bianco che muta, fino a ricercare una forma primordiale. Essenziale. Una coscienza umana che si giudica da sé e non ha bisogno di un Dio, smarrito nelle illusioni di chi si arrende alle sensazioni. Manco fosse un amore impossibile, rinnegato in nome di un nuovo uomo. Più forte. Più debole.
Westworld ha generato un mostro perché non siamo mai quel che siamo: siamo solo un flusso di esperienze. Ci vestiamo di nero per celare il bianco. E indossiamo il bianco per lo stesso motivo. Siamo amore che diventa odio, ingabbiati in sensazioni che ci rendono liberi. Essere umani significa essere contraddittori. Legarsi al Diavolo, con le ali dell’angelo prediletto. Essere William, in assenza di filtri. Sopravvivere, attraverso la sopraffazione. Interpretare un ruolo, per non arrendersi alla circolarità di un copione scritto fin dall’origine. Senza uno schema, non resta che l’onestà del caos. Il cinismo immane dell’egoismo, la vita alimentata dalla morte. Westworld è l’unico compromesso possibile tra William e il Man in Black. Ma la speranza, nonostante tutto, sopravvive anche al peccato originale.
William, ad un passo dalla morte, ha un’ultima occasione. Una Porta da cercare, un percorso da affrontare volgendo lo sguardo indietro. Un gioco, che inizia dove finisce e finisce dov’è iniziato. È il viatico per l’OltreValle, la soluzione estrema per elevare alla Gloria un nome macchiato di sangue. Grazie ad un Dio che forse gli darà un rifugio, forse una scelta. Perché no, tra una morte significativa e un‘immortalità (forse) senza senso. Chissà cosa troverà, una volta che tornerà alla casella del via. Con un’arma tra le mani, liquida come l’acqua. Fino ad abbracciare un giudizio universale, l’unico possibile. Il suo. Il Man in Black, dopo aver affrontato il passato, non potrà far altro che confrontarsi con il nemico più pericoloso. Il suo migliore amico. William.
Robert Ford, l’uomo che l’ha messo di fronte agli echi lontani di una tragedia infinita, potrebbe aver fatto di lui il secondo host umano, al quale Bernard ha fatto riferimento in The Riddle of the Sphinx. Un essere dalle sembianze giovani, e dalla coscienza con chissà quali ricordi. Quali esperienze. Che ha vissuto chissà quanti dei 149 tentativi ai quali ha costretto il maledetto James Delos. Un William nuovo, ad immagine e dissomiglianza dell’uomo che inconsapevolmente l’ha generato. Se andrà così, il Man in Black potrà finalmente guardarsi allo specchio e chiudere il suo racconto. Una narrazione cruenta, dal finale agrodolce. Con un’unica motivazione per continuare a vivere, oltre la mortalità: l’amore della donna, finalmente simile a lui, che l’ha trasformato in quello che è. La stessa che potrebbe colpirlo fatalmente, mentre guarda negli occhi se stesso. Sarebbe stupendo. Sarebbe terribile. Come succede a chi si eccita, mentre brucia tra le fiamme.
Antonio Casu
Un ringraziamento particolare a Vincenzo Bellopede e Vincenzo Di Somma