La televisione ci ha abituato a vampiri irresistibili, aitanti e muscolosi, creature millenarie la cui crudeltà è immensa, eppure scompare davanti alla bellezza senza pari di questi novelli Dracula. In un mondo in cui solo ai Brad Pitt, ai Robert Pattinson, agli Ian Somerhalder e agli Alexander Skarsgård sembrava concesso calarsi nei panni dei succhia-sangue più famosi nell’immaginario collettivo, c’è qualcuno che coraggiosamente ha osato opporsi alla tirannia del vampiro sexy, che ha detto basta all’onnipresenza degli addominali e dei glitter sui corpi di creature che sono in tutto e per tutto morte: Taika Waititi e Jemaine Clement. La coppia di attori, sceneggiatori e registi neozelandesi ha infatti prodotto e interpretato nel 2014 What We Do in the Shadows (noto in Italia con il titolo Vita da Vampiro), un film che, nato come prodotto di estrema nicchia, è diventato rapidamente un cult e ha portato alla creazione di ben due spin-off televisivi, tra cui quello omonimo prodotto da FX a partire dal 2019. Il lungometraggio What We Do in the Shadows è un mockumentary che segue da vicino le vite tutt’altro che spericolate, glamour o minimamente affascinanti di quattro vampiri di Wellington, capitale della Nuova Zelanda, mostrando con una spiccata vena comica quanto routinaria e poco avvincente possa essere la vita di creature che letteratura, cinema e televisione ci hanno abituato a vedere come imprevedibili e tremendamente irresistibili.
La serie tv omonima – dietro la quale continuano a nascondersi Waititi e Clement – segue il filone inauguarato dal film, mostrando al pubblico un mockumentary sulle vite spaventosamente poco emozionanti di Laszlo, Nadja, Nandor e Colin, quattro vampiri che abitano a Staten Island insieme al loro famiglio Guillermo. Indipendente dal lungometraggio – seppur non manchino omaggi ed esilaranti camei – What We Do in the Shadows è una comedy assurda, intelligente e assolutamente unica nel panorama televisivo attuale, che pur avendo ottenuto il favore unanime della critica (e addirittura una nomination come miglior commedia per la sua seconda stagione ai prestigiosi Emmy Awards) è rimasta un prodotto di nicchia, complice la messa in onda sia in Italia che negli Stati Uniti su canali a pagamento e in tarda serata.
Non fatevi ingannare dalla presunta normalità dei vampiri di “What We Do in the Shadows”, perché sarebbe un grave errore.
Pur trattando in modo quasi distaccato dell’ordinarietà della vita quotidiana dei vampiri contemporanei, questi restano pericolosi assassini, creature auto-interessate e del tutto indifferenti nei confronti della precarietà dell’esistenza umana. Eppure, nonostante la loro immortalità e la loro ancora più evidente immoralità, Nandor, Nadja, Laszlo e Colin ci rubano il cuore già dopo i primissimi minuti di What We Do in the Shadows, complice il brillante contrasto tra la loro (presunta) letalità e la loro (estremamente reale) incapacità di vivere in un presente che viaggia a ritmi a cui non riescono a stare dietro. L’immortalità è allora per i protagonisti della serie una condanna a rimanere eternamente bambini, costretti a un’infanzia e a un’innocenza esistenziale che si scontrano con tutto quanto abbiamo appreso nella nostra vita sui vampiri, tanto che il famiglio Guillermo – la cui apparenza richiama vagamente e ironicamente quella di un bambino – è di fatto dipinto come se fosse il baby-sitter del gruppo, costretto a procurare loro il cibo, a svegliarli e a occuparsi di loro in tutto e per tutto.
Il punto di forza di What We Do in the Shadows sono proprio i suoi protagonisti, cinque personaggi del tutto irresistibili che rifuggono qualsiasi stereotipo sui vampiri presentato in televisione, in un gioco di prospettive ribaltate che regala alla serie una freschezza che raramente abbiamo modo di osservare al giorno d’oggi.
Colin Robinson, l’unico dei quattro immortali ad avere un cognome, non si nutre di sangue come potremmo aspettarci, bensì di energie negative. Ecco allora che lo vediamo interagire costantemente con gli umani nel tentativo non di ucciderli ma di renderli infelici, lo osserviamo mentre lavora nel più noioso degli uffici e divertirsi come un bambino a Disneyland poiché circondato da lamentele e totale mancanza di creatività, ossia ciò che per lui è letteralmente linfa vitale. Laszlo è un dongiovanni fin troppo equilibrato per essere un vampiro, a metà tra l’essere la voce della ragione e il totale disinteresse per le follie di sua moglie Nadja e del suo amico Nandor, senza ombra di dubbio i personaggi migliori di What We Do in the Shadows. Nadja è tanto intelligente quanto fuori dal mondo, egoista, dotata di un fascino tutto suo che non sempre è capace di utilizzare, inspiegabilmente adorabile nel suo essere una spietata assassina che non è in grado di preoccuparsi delle conseguenze – spesso decisamente gravi – delle sue azioni sconsiderate. Nandor è il più umano e infantile del gruppo, a differenza degli altri sembra essere a modo suo dotato di una coscienza, che tuttavia non gli impedisce di prendere decisioni assolutamente insensate e pericolose per sé e per gli altri in continuazione. A prendersi cura dei quattro troviamo l’instancabile Guillermo, che ha accettato di diventare un famiglio con la promessa di essere trasformato in vampiro in un futuro poco distante, ma che di fatto si comporta spesso come un padre bonario nei confronti dei suoi padroni, i quali da soli sono incapaci di svolgere i compiti più elementari.
Seguiamo i cinque personaggi principali mentre ci mostrano con convinzione e dedizione le loro esistenze, mentre si rivolgono direttamente alla telecamera per raccontarsi come invincibili, per poi osservarli mentre commettono errori basilari e si ritrovano del tutto perduti mentre affrontano le più banali delle situazioni. E lasciatecelo dire, raramente qualcosa ci ha fatto ridere così tanto e così di gusto come guardare gli spietati vampiri di “What We Do in the Shadows” alle prese con le banalissime noie della vita quotidiana. Che si tratti di passare un paio di giorni ad Atlantic City, di contestare una multa, di fare amicizia con i vicini di casa o di comprare cibo per esseri umani (e cosa c’è di più delizioso del pollo crudo?), Nandor, Nadja e Laszlo, spalleggiati da Colin Robinson, ossia il vampiro meno vampiresco mai apparso in televisione (non certo come lo Spike di Buffy l’ammazzavampiri), non ci deludono mai quando si tratta di prendere la strada più intricata possibile, sorprendendoci con la loro incapacità più assoluta di stare al mondo.
La serie non manca di fare continui riferimenti alla cultura popolare che è andata a crearsi intorno alla figura del vampiro, tra cui non si può dimenticare una delle scene migliori di What We Do in the Shadows, in cui vi è una riunione di alcuni dei più celebri succhia-sangue mai apparsi in televisione che vede la partecipazione tra gli altri di Cate Blanchett, Evan Rachel Wood e dei protagonisti del film onomimo (ma non di Robert Pattinson, che come ci spiega Cate Blanchett non ama ricordare il suo oscuro passato da vampiro).
What We Do in the Shadows è caotica e sempre brillante, capace di rendere lo straordinario ordinario e viceversa, in un ribaltamento di prospettive irresistibile, che la rende un prodotto unico all’interno di un panorama televisivo nel quale l’originalità è una caratteristica sempre più difficile da scovare. Personaggi inaspettatamente complessi e situazioni surreali vi faranno compagnia in un viaggio che parte in sordina e finisce per trascinarvi in un vortici di assurdità che riescono a trovare un senso senza che nemmeno il più brillante degli spettatori capisca come sia possibile. Che siate appassionati di vampiri o che non possiate tollerarne la rappresentazione che la cultura popolare ha reso famosa, fatevi un favore e guardate What We Do in the Shadows, siamo certi che non ve ne pentirete.