Lo Sceriffo di Ruttingham l’avrebbe definita “grande al più i tutti Robin Hood id tempi us parodia“, eppure non è stata la prima e, udite udite, Mel Brooks ci aveva già provato vent’anni prima con una serie incompiuta! Ah, non lo sapevate? Tranquilli, non è affatto grave dal momento che in Italia l’hanno vista davvero in pochi. La leggenda vorrebbe che in Rai la messa in onda di certe trivialità in fascia pomeridiana sia stata un mero errore di valutazione – chissà quante teste saranno saltate – e sulla scorta dell’entusiasmo popolare per La Freccia Nera (1968 – acclamato come il più grande sceneggiato italiano dall’invenzione della tv fino al colore) si pensò bene di continuare con tutto ciò che il mercato internazionale poteva offrire sul genere fantasy storico. E il nome stesso di Robin Hood non avrebbe mai potuto tradire le aspettative del pubblico e della rete nazionale. Fu così che nel 1977, previo adattamento del criptico titolo When Things Were Rotten (Quando le cose erano marce), la Rai mise in onda, nelle 13 puntate originali, Le rocambolesche avventure di Robin Hood contro l’odioso sceriffo. E non fu neanche un flop, ma le aspettative erano tutt’altre e non ci fu più una messa in onda sulla – allora unica – rete nazionale. Negli anni successivi la leggenda narra che puntate a caso comparvero su Telemontecarlo, Odeon e altre reti locali, ma non si sa quando e se qualcuno sia riuscito a ripescarle in tempi più recenti.
ALT! Fermiamoci un attimo per fare mente locale e capire se è davvero il caso continuare subito questa lettura oppure rimandarla a un secondo momento. Quindi se NON vi riconoscete in una delle affermazioni seguenti proseguite pure, in caso contrario vi invitiamo a guardare (o riguardare con più attenzione) Robin Hood – Un uomo in calzamaglia (Netflix):
- Ruttingham? Ma lo sceriffo non era di Nottingham?
- La frase dello sceriffo è incomprensibile. Ma le rileggete le bozze?
- Mel Brooks chi? L’amico di Ezio Greggio? (ah no, in questo caso potete continuare);
- Trivialità? In che senso?
Siete ancora qui? Ok, ok, vi abbiamo sottovalutato. Ma capiteci: per i nativi digitali la fruizione della verve comica di un capolavoro del cinema parodistico come Robin Hood – Un uomo in calzamaglia (Men in Tights) è già abbastanza difficile. A distanza di 30 anni ricordare tutti (ma proprio tutti) i riferimenti al già vecchio Robin “Kevin Costner” Hood – Principe dei ladri (Prince of Thieves) è complicato anche per i quasi boomer come me che andarono a vedere il trio Costner/Freeman/Rickman addirittura al cinema. Figuriamoci se possiamo mai ricordarci che la strega Latrina non si è sempre chiamata così, ma che si cambiò il nome di famiglia che inizialmente era Belcesso. E ha fatto bene! Ma partiamo dall’inizio… della fine.
Nei primi anni ’90 Evan Chandler, un dentista di Beverly Hills stava curando una carie a un ragazzo di appena 22 anni e, tra una chiacchiera in attesa dell’anestesia e un’altra per distrarlo, iniziò a parlargli della sua passione per il cinema e di quanto suo figlio avesse trovato insulso – “it sucked” – il recentissimo campione di incassi Robin Hood – Principe dei ladri. Ma il giovane paziente non era un ragazzo qualunque, bensì l’allora sconosciuto J. D. Shapiro, sceneggiatore in erba recentemente arrivato a Los Angeles dal New Jersey in cerca di fortuna. Tra Chandler e Shapiro fu subito amicizia e insieme decisero di riscrivere una sceneggiatura (l’ennesima) su Robin Hood, nella speranza di trovare un produttore abbastanza fuori di testa da accettare di competere col successo planetario del Principe dei ladri. E anche se Hollywood era piena di pazzi scatenati con il dollaro pesante, nessuno si mostrò abbastanza fuori di testa da investire su un dentista, uno sbarbatello sconosciuto e sull’ennesima riscrittura di Robin Hood a poche settimane dalla prima con Kevin Costner. Nessuno tranne Mel Brooks.
Nel 1974, Mel Brooks aveva già vinto un Oscar per la migliore sceneggiatura originale al suo esordio cinematografico con Per favore, non toccate le vecchiette (1968) e tirato fuori due delle migliori parodie della storia del cinema: Mezzogiorno e mezzo di fuoco e Frankenstein Junior (entrambi del 1974). Nel 1975 veniva messa in onda l’ultima stagione del quinquennio di Get Smart (altra serie di Mel Brooks, sconosciuta ai più in Italia, parodia dei film con James Bond che ha ispirato dopo più di trent’anni il film omonimo – almeno nel titolo originale – con Steve Carell e Anne Hathaway) e voleva bissare il successo seriale puntando su una parodia di Robin Hood (The Adventures of Robin Hood), famosissimo – e lunghissimo – sceneggiato degli anni ‘50 con Richard Greene e Alan Wheatley.
L’umorismo di Mel Brooks era ormai un marchio di fabbrica apprezzato dal pubblico quindi via libera a battute demenziali, parolacce, abbattimenti gratuiti della quarta parete e tanti giochi di parole nella migliore tradizione della comicità yiddish.
– Trattenete la lingua! (L’esattore Bertram al popolo che si lamenta e i popolani… si bloccano la lingua con le dita).
Tra uno Sceriffo di Nottingham (Henry Polic II) che abbaia e ringhia quando si arrabbia, uno zingaro di nome Renaldo (Richard Dimitri), membro della banda di Sherwood che si proclama innocente direttamente rivolgendosi in camera a Mel Brooks e dame di compagnia di Lady Marian (Misty Rowe, la Wendy dei primi episodi di Happy Days) che cantano e ballano Stop! In the name of love delle Supremes, ci fu spazio anche per tanta satira (boarderline per l’epoca) come nell’episodio in cui il capriccioso Principe Giovanni (Ron Rifkin) si preparava a firmare un accordo con il cartello dei produttori d’olio d’oliva (OOPEC, chiaro riferimento ai produttori del petrolio dell’OPEC) esclamando:
Ora ho il controllo dell’olio! Chiunque vorrà fare un’insalata dovrà rivolgersi a me!
Il personaggio di Robin Hood (Dick Gautier), che il pubblico si aspettava come protagonista indiscusso delle vicende di Sherwood, finì relegato a comprimario delle vicende sia nella scrittura che sullo schermo. Forse fu anche il downgrade dell’eroe – corroborato da uno stile forse troppo demenziale per l’epoca e dalla satira sociale mal vista dai repubblicani dell’era moralista di Gerald Ford – a decretare un significativo insuccesso di pubblico per When Things Were Rotten. La messa in onda dello show venne interrotta e sostituita da La donna bionica (trasmessa fino agli anni 2000 in tutto il mondo) e la produzione interrotta alla tredicesima puntata solo per consentire alla miniserie di essere commercializzata all’estero con un finale che non lasciasse gli eventi in medias res.
Il flop televisivo di When Things Were Rotten fece abbandonare a Mel Brooks l’idea che si potesse ripensare una sceneggiatura su Robin Hood in chiave umoristica.
Dopo quasi vent’anni, quando Chandler e Shapiro si presentarono con l’idea di un remake del Principe dei ladri al cospetto di Mel Brooks, si aspettavano disponibilità ma non che si stappassero bottiglie di champagne negli uffici della Brooksfilms Productions. E invece l’entusiasmo dei due scrittori fu un catalizzatore di ricordi per Mel che non si era mai riuscito a dare pace per il suo primo vero insuccesso televisivo. L’investimento fu però subordinato a tre condizioni fondamentali: la prima, quella di riscrivere a tre mani l’intera sceneggiatura; la seconda, avere l’esclusiva e inderogabile carta bianca sul casting; la terza? Ovvio! Mel Brooks voleva che ci fosse l’imprinting della banda di Sherwood in When Things Were Rotten! E così fu.
Per Robin Hood – Un uomo in calzamaglia il primo scritturato fu proprio l’indiscutibile Dick Van Patten nel ruolo dell’abate, mentre vent’anni prima gli era toccato un divertentissimo Frate Tuck nella miniserie. Frate che in Men in Tights diventerà un rabbino (la cultura yiddish è un leit motiv delle commedie di Brooks) e verrà interpretato dallo stesso Mel, non nuovo a camei e ruoli di rilievo nei suoi stessi film. Il resto del cast venne individuato sulla scorta della vocazione parodistica del film, quindi si pensò a un Robin Hood belloccio e narcisista (Cary Elwes) a una Marian abbastanza voluttuosa ma casta per forza maggiore (Amy Yasbeck che sarà anche in Dracula Morto e Contento, qui costretta nella celebre cintura di castità Everlast), un Principe Giovanni ciociaro e viveur (Richard Lewis), uno Sceriffo di “Ruttingham” dislessico e arrogante ma sostanzialmente codardo (Roger Rees) ed Etcì, figlio di Starnì, una spalla di colore che diventerà uno dei più iconici stand-up comedian della black culture (Dave Chapelle).
Diciamolo, Robin Hood – Un uomo in calzamaglia non è stato il capolavoro di Mel Brooks, eppure ancora oggi fa parlare di sé!
Tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90 il cinema demenziale era sulla cresta dell’onda come mai prima. Il favore del mainstream anche per produzioni al limite del buon gusto (e non facciamo nomi e cognomi solo perché siete arrivati a leggere fin qui e sarebbe un peccato rovinare questo bel rapporto) era alle stelle. L’hype che precedeva l’uscita di qualsiasi cosa prendesse in giro mostri sacri come Il Principe dei ladri era mostruoso e come andò a finire anche in Italia lo sappiamo tutti: scene memorabili, battute che hanno fatto la storia della nostra adolescenza, attori che ancora oggi escono fuori dal dimenticatoio (non tutti, eh) solo per citare il personaggio interpretato nella parodia. Insomma, i tempi erano maturi e Men In Tights divenne il successo planetario per cui – come direbbe Mark “Bellosguardo” Blankfield – i rewatch su Netflix si sprecano ancora oggi.
Purtroppo il viaggio di Robin Hood da When Things Were Rotten a Un uomo in calzamaglia non finì lì. Shapiro continuò a scrivere senza grande successo mentre Evan Chandler interruppe il lavoro di sceneggiatore per tornare a fare il dentista part-time e passare gran parte degli anni ’90 nei tribunali ad accusare Michael Jackson di pedofilia nei confronti del figlio Jordan “Jordy” Chandler.
Lo stesso figlio che un paio di anni prima aveva criticato Il Principe dei Ladri – antefatto senza il quale oggi non avremmo mai visto Men in Tights e che ha dato il via al riscatto di When Things Were Rotten – diventò protagonista di una vicenda che finì con l’emancipazione del figlio, una faida familiare senza precedenti, la morte di Jackson e il suicidio di Evan Chandler, avvenuto nel 2009 cinque mesi dopo la dipartita della pop star.
Per chiunque avesse voglia di rivedere Le rocambolesche avventure di Robin Hood contro l’odioso sceriffo con il doppiaggio italiano originale, sappiate che è andato perduto.
Al contrario, When Things Were Rotten è acquistabile in dvd sui più famosi store internazionali sia in RPC1 (compatibile solo con lettori americani e canadesi) che RPC2 (compatibile con la maggior parte dei lettori europei). Se siete interessati, la versione tedesca con lingua originale SUB english fa sicuramente al caso vostro. In ogni caso, non sapendo se siete arrivati a leggere fin qui perché avete già visto Robin Hood – Un uomo in calzamaglia e vi è piaciuto o perché non l’avete mai visto (impossibile) ma eravate curiosi di saperne di più, dopo questo approfondimento che ha sviscerato tutto – ma proprio tutto – quello che ci sarebbe da sapere sulla genesi della più celebre parodia di Robin Hood della storia del cinema, regalatevi una serata leggera, aprite Netflix e schiacciate play. Ne vedrete delle belle! Parola di Bellosguardo.