José Mourinho disse “Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”. La frase può essere applicata tranquillamente a ogni sport, ogni campo di gioco, soprattutto se la storia di cui si parla ha avuto enorme impatto nel proprio ambito. Winning Time conferma appieno la veridicità di queste parole. La serie, basata sul discusso libro di Jeff Pearlman, intende raccontare la storia di una delle dinastie più celebri della storia dell’NBA, nonché una delle più vincenti. I Los Angeles Lakers degli anni ’80 divennero una vera e propria icona, riuscendo a connettersi perfettamente col mondo hollywoodiano, portando quella Hollywood direttamente sul parquet.
La serie però, oltre al mondo dello spettacolo, si svolge in anni di grandi cambiamenti. La ABA era “confluita” nella NBA solamente 3 anni prima, portando con sé novità di non poco conto. L’approccio di gioco dell’ABA, particolarmente offensivo e caro soprattutto ai giocatori afroamericani, cambia anche la lega principale americana, facendo emergere giocatori sempre più spettacolari e nuovi allenatori con idee innovative. Un’altra introduzione, introdotta dall’ABA già in precedenza, fu quella del tiro da 3 punti, che fece la sua comparsa proprio nella stagione in cui ha inizio Winning Time. Inquadrando la serie in quest’ottica, inserendola nel momento storico di cui fa parte, risulta evidente come il racconto sia, prima di tutto, fondamentale per mostrare come queste novità siano state totalmente incarnate dai Lakers di Magic e Kareem. Lo showtime è una naturale conseguenza di una simile mentalità, e solo in questo momento a un allenatore offensivo come Jack McKinney poteva essere affidata una squadra che doveva, per forza, vincere il titolo. Naturalmente, di conseguenza, è anche il periodo ideale per il debutto di un Magic Johnson che avrebbe interpretato in modo unico il ruolo del play, contribuendo a rendere di nuovo grande la pallacanestro statunitense.
Si potrebbe parlare a lungo delle novità che i Lakers, durante gli anni ’80, hanno portato sul campo di gioco. Da subito Winning Time però, con una breve sequenza, mostra la futura diagnosi della malattia di Magic, anticipando così che attraverso il basket si sarebbe parlato anche di molto altro.
Proprio ricordando la malattia che colpirà Magic, Winning Time porta lo spettatore a guardare con uno sguardo differente i tanti rapporti occasionali che il giocatore ha episodio dopo episodio. Non sorprende certamente che un giocatore tanto celebre potesse avere tante relazioni. Conoscendo però il virus e la malattia che di lì a poco sarebbero divenuti una delle principali paure per la popolazione mondiale, è difficile non guardare con una qualche apprensione un simile comportamento (e in modo negativo l’iniziale reazione alla paternità del giocatore, sorprendentemente infantile). Se inizialmente l’AIDS non era così conosciuto e temuto, pensare che Magic abbia continuato per anni con una simile condotta, anche quando cominciava a esserne nota la pericolosità e la diffusione, conduce lo spettatore a considerare quantomeno sconsiderato il suo comportamento. Tutto ciò inoltre ricorda, più in generale, questo momento storico degli Stati Uniti e del mondo, e sicuramente nelle prossime stagioni l’argomento verrà affrontato con maggiore profondità.
Di non poco conto è il personaggio di Kareem Abdul-Jabbar, e certamente non solo perché era il capitano e uno dei centri più dominanti della storia del gioco. Kareem durante la serie mostra tutta la sua religiosità e la sua vicinanza alla religione islamica. La sua conversione, sulle orme di tanti afroamericani (tra cui il celeberrimo Muhammad Ali), ricorda un periodo storico particolarmente significativo. Se ancora oggi le lotte per i diritti degli afroamericani sono vive e combattute, queste si verificano evidentemente su un piano differente. Tra gli anni ’60 e ’70, in particolare sull’onda delle battaglie e dell’esempio di Malcolm X, la religione musulmana venne interiorizzata dalla popolazione afroamericana con caratteristiche proprie, diventando quindi il motore delle loro battaglie di emancipazione. Per garantire, come sostenuto da Gerd Baumann, maggiore forza e maggiore unità nella propria battaglia, i diritti etnici e civili confluirono in diritti religiosi. Se oggi, come accennato in precedenza, questa comunanza è meno frequente, negli anni in cui era ambientata la serie era al contrario particolarmente forte, e proietta lo spettatore in un’epoca diversa, di estrema importanza per la storia americana.
La grande religiosità di Kareem traspare continuamente e il modo in cui i compagni lo guardano, con enorme rispetto e ammirazione, conferma che non era soltanto un’icona sportiva, ma anche un’icona sociale. Ecco perché Winning Time, parlando di questo personaggio, parla anche di tanto altro.
Occorre spendere qualche parola anche su Spencer Haywood. Winning Time, attraverso questo giocatore, rammenta la dipendenza dalla cocaina e da ogni altra droga che, tra gli anni ’70 e ’80, era un fatto tutt’altro che raro tra i giocatori. Spesso si trattava di ragazzi giovani, provenienti da ambienti estremamente poveri e in cui la piccola criminalità non era affatto rara. Ecco perché, nel momento in cui il talento garantiva loro il raggiungimento di grandi risultati e dunque alti guadagni, cadere nel vortice della droga era davvero facile. È doloroso seguire la caduta di una persona buona, un padre di famiglia amorevole. Oggi i giocatori sono molto più controllati e, per quanto non manchi qualche caso di denuncia e squalifica, sono fatti sporadici che confermano l’efficacia dei controlli come grande deterrente. Deterrente che, purtroppo, non c’era in passato.
Infine è obbligatorio concentrare una riflessione sul personaggio di Jerry Buss, quello che forse è il vero protagonista di Winning Time. Buss incarna un tipo di proprietario che oggi, con i pregi e i difetti che ciò può avere, sarebbe difficile rivedere. Uomo geniale e al tempo stesso folle. Il modo in cui acquista i Lakers e come riesce a tenere in scacco i creditori è semplicemente folle, basato sulla scommessa della vittoria del titolo che, se non fosse arrivata, sarebbe stata un’autentica tragedia e indice di una probabile bancarotta. Eppure la sua follia non solo eleva la franchigia al massimo splendore, ma riesce a rilanciare l’intera lega, la quale versava in condizioni pessime. Portare il mondo hollywoodiano, il mondo delle feste, direttamente in campo, facendo diventare un vero e proprio show ogni partita (e oltre la partita stessa). L’approccio dei Playboy Club, con le dovute misure, viene applicato sul parquet. Questa è stata l’intuizione fondamentale, portando in campo show con ballerine provocanti come mai si era visto prima, locali sfarzosi che ruotavano attorno al campo, attori e personaggi hollywoodiani del momento ben presenti a bordocampo: questa è la formula Jerry Buss.
Ecco come Winning Time, parlando dell’approccio del suo patron, descrive anche una Hollywood di sfarzi, feste, ed esagerazioni che forse oggi non esiste, quantomeno in modo così ostentato.
Alla luce di quanto espresso in precedenza, è evidente come Buss e i Lakers del momento si fondessero perfettamente con le tendenze della lega, il nuovo gusto del pubblico e le esigenze sociali dell’epoca. La diffidenza degli altri club nei confronti della scelta di Magic, a discapito di un Larry Bird che convinceva di più (ed è evidente come Winning Time lasci intendere che ciò sia dovuto anche al colore della pelle, anche se il valore di Larry è indiscutibile), non poteva non convincere invece un uomo in controtendenza come Jerry Buss. La creazione della rivalità tra Magic e Larry è il più grande spot pubblicitario per tutti gli anni ’80 dell’NBA, e poche altre rivalità hanno incendiato lo sport a tal punto. La rivalità nata allora è ancora viva oggi e, come si vedrà prossimamente, nonostante gli screzi iniziali, è in realtà sana e vissuta con grande rispetto. Tra Larry Bird e Magic Johnson i rapporti sono ottimi e la presenza di Magic al ritiro di Bird è uno dei momenti più belli della storia dello sport.
Insomma, se Buss voleva portare Hollywood sul parquet, lo showtime non poteva che esserne la naturale conseguenza. McKinney è stato il grande fautore, e l’ottimo lavoro continuato da Westhead e, soprattutto, dal leggendario Pat Riley, è davvero la rappresentazione delle feste hollywoodiane su un campo di gioco. Un campo di gioco che, come abbiamo illustrato, diventa anche il luogo dove si manifestano appieno caratteristiche di un’America che non è più quella di oggi, nel bene e nel male. Non sapremo mai quanto ci sia di vero in tanti fatti privati che vengono raccontati. Sicuramente è probabile che alcune scelte possano non rispecchiare del tutto la realtà. Ciò non toglie che Winning Time mantenga appieno la sua forza sociale e documentaristica, fondendosi con una narrazione efficace e avvincente e confermandosi come una grande serie. Ci auguriamo che la serie continuerà e riuscirà a mostrarci le altre battaglie tra Lakers e Celtics, l’arrivo dei bad boys di Detroit e, da non dimenticare, l’avvento nella lega di un certo Air Jordan. Gli anni ’80 hanno cambiato per sempre la lega americana. Ci saranno tanti altri racconti per confermare che Winning Time parla di molto altro oltre che di una storia sportiva. Perché una storia di sport non è mai solo una storia di sport, ma parla anche di tutto il mondo che la circonda.