Le produzioni televisive e cinematografiche hanno a propria disposizione a uno scrigno ricco di trame da cui attingere: quello delle trasposizioni è e rimane una opzione importante per il mondo dell’intrattenimento. Oltre ai remake e reboot che tanto fanno tendenza ultimamente (si pensi al reboot di Gossip Girl o alla stessa Euphoria che è tratta da una serie tv israeliana), la cinematografia e la serialità possono ricorrere a quell’arma a doppio taglio che è il ricorso a storie già esistenti. Tanti sono gli adattamenti vincenti in cui la versione televisiva eguaglia o addirittura surclassa l’opera da cui è originata, come è il caso di Sweet Tooth o Normal People per citarne degli esempi recenti. Infatti, proprio in virtù dei risvolti più o meno positivi che tale pratica può avere, ci sono poi quei titoli che si collocano in un limbo di risultati raggiunti a metà, come accade per la nuova serie tv Hulu Y: The Last Man.
In un contesto fatto di tanti titoli e altrettante trasposizioni vincenti, è facile perdersi in quanto spettatori e, allo stesso modo, è possibile che le opere stesse si lascino travolgere. Tra i molti, a pagarne le conseguenze sono anche i contenuti di genere fantastico e fantascientifico che da tempo sembrano subire il peso di un contesto strabordante di esperienza e trame.
Y: The Last Man è l’ultima fatica di FX Hulu, adattamento in questo caso dell’omonima serie a fumetti della DC Vertigo. Una fatica in una pluralità di sensi: i primi sviluppi della trasposizione hanno infatti avuto inizio nel 2015 mentre, di contro, ormai il mondo seriale sembra procedere a una velocità alla quale è impossibile stare dietro.
Costellata da flashback di quando la vita umana scorreva indisturbata, la serie tv ci proietta in uno scenario post-apocalittico in cui gli uomini sono vittime di un misterioso cataclisma. L’evento ha provocato la morte istantanea di tutti i mammiferi dotati del cromosoma Y. Coerentemente con gli effetti letali e il titolo del racconto, il protagonista e unico uomo superstite è York (Ben Schnetzer), sopravvissuto assieme alla sua scimmia domestica anch’essa di sesso maschile. In un mondo su cui sono calati scompiglio e disordine, le donne si trovano costrette ad adattarsi in fretta in nome dell’equilibrio globale e della sopravvivenza della razza umana, con uno specifico focus sulla situazione della Casa Bianca statunitense. Con lo sfondo delle dinamiche socio-politiche che ne seguono per restaurare la realtà americana, lo show segue il protagonista che, affiancato dall’agente segreto 335 (Ashley Romans), attraversa il paese nel tentativo di ripopolare la Terra. Nel viaggio che i personaggi intraprendono sono anche mostrati i diversi effetti che la catastrofe ha avuto sulle superstiti, ciascuna col proprio passato influenzato dalla presenza di una figura maschile. Un close-up particolarmente controverso e primario per Y: The Last Man è quello relativo a una setta di fanatiche nettamente schierate al fine di giungere alla totale estinzione del sesso maschile.
Disponibile in Italia su Disney+ come Star Original, la serie evidenzia con toni estremi le disparità di genere che tristemente sussistono ancora nella realtà occidentale. Queste imparità riguardano tanto il contesto lavorativo quanto le generali norme e aspettative di genere. Nell’ordinario sistema capitalistico in cui viviamo, ogni cosa è connessa, l’eliminazione di uno degli elementi che per convenzione sta alla base della catena genera un effetto farfalla irreparabile. Alcuni ruoli sono ancora incomprensibilmente ricoperti esclusivamente da uomini o da donne.
Inoltre, un altro aspetto problematico portato all’attenzione sta nel fatto che, pur rimuovendo la storica divisione binaria uomo-donna, la società che ne deriva non è comunque paritaria. La struttura che ne consegue, nella visione dello show (ma non solo), continua a basarsi sugli arcaici concetti erroneamente interiorizzati da decenni nelle comunità umane, come l’orientamento politico e sessuale, la razza, lo status economico e molto altro.
Che la serie sia l’adattamento televisivo di un’opera già esistente, e che questa sia una graphic novel ,è chiaro in tutta la narrazione: quella vena di eccentricità che ne è tipica accompagna tutte le puntate. Proprio in virtù della sua origine fumettistica e della trama distopica del racconto, Y: The Last Man è una storia che gioca coi limiti dell’esagerazione creativa e visiva, così come molti racconti che derivano dal medesimo formato e che ci hanno abituati a storie drammatiche e cruente.
Con dieci puntate totali, la prima stagione è andata in onda a cadenza settimanale a partire dal 13 settembre 2021 su FX e Hulu. In virtù della grande varietà di titoli post-apocalittici e di genere sci-fi, anche se non si è letto il fumetto da cui è tratta, la storia ha un po’ il sapore del già visto. Il racconto distopico non ha osato, ma si è accontentato di riproporre elementi a cui siamo abituati da tempo. Nonostante l’atmosfera ridondante, il primo episodio gioca bene le sue carte e offrendo un segmento di 50 minuti dosato nella sua totalità. Nella sua versione per la televisione, il dramma si apre con un pilot brillante: era da tanto che non si vedeva un pilota tanto intrigante dello stesso genere. La puntata adempie al suo compito: illustra circostanze e legami in modo completo, fornendo tante informazioni chiaramente e senza troppi giri di parole. In sostanza, come i buon vecchi pilot della tv generalista, Y: The Last Man prepara nel primo slot da poco meno di un’ora tutta la struttura su cui la storia si reggerà.
Una partenza convincente, e poi?
Le prime tre puntate gettano le basi del racconto e introducono in modo delineato i personaggi e i molteplici archi, alcuni più interessanti di altri. Mentre la prima ci presenta il concept dello show, le seguenti due ci proiettano nel mondo caotico e anarchico che deriva dal collasso del sistema. Con ciò, Y: The Last Man crea tante aspettative su un titolo che pare emergere dalla grande quantità di sci-fi di cui il cosmo dell’intrattenimento è pieno. Il primo episodio si chiude con un cliffhanger che non fa altro che invogliare alla visione del segmento successivo. Nonostante i primi tre alimentino di tanto la curiosità, grazie a un’idea di fondo attraente e una buona strutturazione dei tanti intrecci, la lentezza che fa seguito e protrae la narrazione nel corso degli episodi provoca un drastico calo della magia che avvolge la serie tv. Questo trasforma la produzione in una vera e propria stagione-pilota dagli esiti poco felici. Il titolo sembra non avere alcuna fretta e nemmeno pare azzardare particolarmente con gli elementi del genere, rifugiandosi nelle dinamiche standard degli show apocalittici che abbiamo visto tante, troppe, volte.
Le premesse fornite dal primo episodio permettono di sognare la possibile nuova science fiction seriale dei prossimi anni. Sarà colpa delle aspettative costruite, ma il resto della stagione non è al pari di quanto anticipato. Che lo show post-apocalittico abbia sparato tutte le sue cartucce subito? Fa strano pensare che non abbia più molto di coinvolgente da dare.
Nonostante il registro narrativo e gli intrighi siano calanti, la serie rimane stabile fino al sesto episodio circa, per poi andare giù a picco nella seconda metà. La storia si perde in voli pindarici atterrando instabilmente su una trama che sembra non andare avanti, se non per grandi passi che lasciano quesiti irrisolti. I futili dettagli di cui si riempie sono dispersivi e ampollosi in senso deleterio per le dinamiche. Seppur sia di un certo interesse osservare le conseguenze che l’evento ha scatenato sulle diverse comunità umane, la serie si addentra troppo in questa scelta che sembra agita al solo fine di reiterarne l’epilogo.
Alla stagione manca un ritmo stabile ed efficace. Le dinamiche avviate nel corso delle dieci puntate trovano un risvolto negli ultimi quindici minuti dell’ultimo episodio: in questo ristretto lasso di tempo succede tanto in modo repentino. E’ consono voler restituire ritmo alla narrazione, ma questo avviene in ritardo e non fa che rendere la trama troppo altalenante per poterne godere a pieno. L’epilogo proposto è tale solo in virtù di forze maggiori: la prima stagione termina con un finale aperto che fa da apripista ad almeno un’altra produzione. Purtroppo per i creatori però, Y: The Last Man è stata cancellata lo scorso ottobre, lasciando incompiuta l’ennesima serie tv che avrebbe dovuto e potuto dare di più sin dal principio. Il panorama televisivo ha proposto col tempo tanti titoli di fantascienza, complice anche la complessità del genere e della sua realizzazione, è di molto ridotto il quantitativo di contenuti che è effettivamente vincente.
Almeno per il momento, Y: The Last Man non ritornerà per una seconda stagione.
L’adattamento cerca di adeguarsi al cambiamento sociale e politico avvenuto nel tessuto sociale nel corso degli ultimi vent’anni.
La trasposizione seriale si prende la libertà di cambiare alcuni aspetti dell’opera da cui è tratta. L’omonimo fumetto è pur sempre un prodotto degli anni tra il 2002 e il 2008 e, proprio perchè di tempo ne è passato, la creatrice dello show, Eliza Clark, ha apportato degli aggiustamenti al racconto adeguandolo alla realtà attuale. Ad esempio, una prima differenza che risalta se si è fruito di entrambi i prodotti è la presenza di un nuovo personaggio tra i primari, Sam Jordan (Elliot Fletcher). Il concetto portante dello show è stato amplificato ed esteso, attribuendo un peso maggiore agli uomini transgender anch’essi sopravvissuti. Il personaggio in questione non ha una relativa solida controparte nel fumetto, ma poco importa al fine di una rappresentazione più inclusiva e aderente allo scenario contemporaneo che ne esplori le dinamiche in modo più profondo.
A tal proposito è particolarmente interessante l’osservazione su generi e identità fatta dallo stesso interprete Elliot Fletcher:
In this world post the event, gender is somewhat irrelevant. I think one of the hilarious things about this show is that post the event, Yorick can walk around without a mask on because he’s assumed to be trans, rather than pre-the-event, people are assumed to be cisgender. And so, I just think it flips the traditional idea of gender completely on its head, and so I was very comfortable joining a project that knew that ahead of time and committed to it fully.
Indipendentemente dall’insuccesso dello show è bene sottolinearne il merito. L’unico altro vanto dello show è che, pur avendo un protagonista univoco, Y: The Last Man è più propriamente una serie tv corale fatta di tante donne forti e coinvolte in ruoli e circostanze differenti. Tra guerriere, scienziate, soldatesse, politiche, leader e seguaci, le figure femminili sono molte e sono il cuore pulsante del racconto. York Brown è circondato da donne anche prima del cataclisma, queste hanno in qualche modo posizioni importanti (la madre, ad esempio, è membro del Congresso statunitense) e sono tutte inesorabilmente legate.
Pur vertendo la trama principale sulle sorti dell’effettivo protagonista, le donne sono l’elemento che concretamente dà vita alla storia. Il tutto ha come filo conduttore la figura di York, che paradossalmente è quella che funziona meno. Buona parte dei personaggi femminili è comunque determinato e sviluppato in relazione all’esistenza degli organismi col cromosoma Y: ciò nonostante, di rado si sono viste vicende così visceralmente legate all’introspezione femminile, in modo più o meno controverso. Proprio in virtù dei tanti personaggi che entrano ed escono dal racconto, questo è costellato da molte dinamiche che si diramano e intrecciano, forse anche troppe, perdendo di vista il debole obiettivo principale della narrazione.
In conclusione, a fronte dell’intrigante premessa e prospettiva narrativa dello show, è ancora più deludente essere spettatori della strana piega in discesa che ha assunto nel corso della sua unica stagione. Il momento di rinchiudere Y: The Last Man nel baule delle tante science fiction che non ce l’hanno fatta è arrivato prima del previsto, ma di certo la sua fine non ha lasciato il consueto amaro in bocca che segue una cancellazione. Talmente a largo si è persa la storia che già essere arrivati alla fine della prima stagione fa onore. Terminarla in virtù delle poche puntate è lecito, ma la ragione per giungerne all’epilogo non è di certo dettata dalla curiosità che dovrebbe essere stimolata nel corso degli episodi. L’insoddisfazione è piuttosto data dal potenziale sprecato di un titolo che ha convinto soltanto nei primi 50 minuti e poco più. E’ insolito che storie di fantasia come quelle di questo genere perdano di creatività e fascino in un lasso di tempo così ridotto. La serie poteva esser sviluppata brillantemente, ma si è accontentata di una rappresentazione piatta che non ne ha permesso la piena espressione, relegandola all’angolo del grande novero di contenuti digitali. E’ diventata uno show distopico come tanti, non fornendo un contributo inedito e/o rilevante alla storia della serialità del genere. Y: The Last Man sarebbe potuta essere l’erede delle serie tv di fantascienza che tanto ci hanno cullato in passato, ma così non è stato: poco male perché di dramma post-apocalittici tra cui scegliere ce ne sono tanti, che siano più o meno buoni.