Trovare un prodotto di qualità superiore è diventata, ormai, un’impresa abbastanza ardua nel panorama seriale attuale. Tra storie che si ripetono, personaggi poco accattivanti e dinamiche inesistenti, nella massa indistinta delle serie tv succede raramente di trovare uno show che ti tenga incollato. Incollato sul serio e per i giusti motivi. E come spesso e volentieri accade, la qualità sbuca fuori quando meno te la aspetti, proprio come è successo con Yellowjackets. Creata da Ashley Lyle e Bart Nickerson e in onda su Showtime, Yellowjackets è un survival drama dalle tinte sovrannaturali e con una forte componente teen che, per fortuna, non sfocia mai in esagerazioni di “riverdaliana” memoria.
Alternandosi tra passato e presente, la storia ruota attorno a quattro ex amiche del liceo e compagne di squadra che, nel 1996, a seguito di un incidente aereo, precipitarono in una zona selvaggia dell’Ontario insieme al resto del team. In viaggio per partecipare al campionato nazionale di calcio femminile, le Yellowjackets si ritrovano a dover sopravvivere tra le foreste selvagge per diciannove mesi, prima di essere soccorse. Quello che è accaduto in tutto quel tempo, tra cannibalismo e morti, rimane un segreto per 25 anni. Nessuna delle quattro superstiti – Shauna, Taissa, Natalie e Misty – ha mai detto la verità, nascondendosi dietro una versione ufficiale che le ha rese delle eroine e sopravvissute. Adesso, dopo così tanti anni, il passato sembra tornare portando con sé il trauma, il dolore e l’oscurità.
SPOILER ALERT. Se non avete ancora visto la prima stagione di Yellowjackets, disponibile su Sky Atlantic, vi consigliamo di tornare più tardi.
Mischiando elementi da Lost, Stand by Me, Il signore delle mosche e Big Little Lies, la serie tv dal successo inaspettato si è dimostrata un progetto ben riuscito pur non avendo chissà quali ambizioni. La storia procede seguendo le due linee temporali del 1996, anno dell’incidente aereo, e del 2021, dove troviamo solo quattro delle Yellowjackets, alle prese con fallimenti familiari, vuoti sentimentali e segreti. Nel passato i membri della squadra, il coach Ben e i due figli dell’allenatore, devono trovare un modo per sopravvivere, ma soprattutto mantenere la propria sanità mentale, mentre attorno a loro si presentano strani avvenimenti e simboli pagani coprono la maggior parte degli alberi della foresta.
Yellowjackets è, in gran parte, un survival alla Lost e numerosi easter egg ci sembrano un omaggio alla serie tv sopramenzionata: dall’aereo all’orso, dalla cabina agli schieramenti interni.
Ed è proprio in relazione alla storyline della foresta che moltissime domande aspettano ancora di ricevere risposta: dove è finito il fratello di Travis? Cosa significa quello strano simbolo inciso sui tronchi? Chi abitava nella casa nel bosco? La bestialità latente di Taissa è davvero una causa dell’incidente o c’è di più? Intorno alla figura di Taissa abbiamo, di certo, numerose perplessità, soprattutto dopo aver assistito alla rivelazione di quel macabro altare nascosto in cantina. Siamo di fronte a uno sdoppiamento di personalità inconsapevole, come la stessa Taissa vuole farci credere, o si cela qualcosa di più oscuro dietro? Eppure non è lei a vincere il premio di personaggio migliore. Quello spetta a Misty e alla bravissima Cristina Ricci.
Misty è il burattinaio che muove le fila dei suoi inconsapevoli giocattoli. Sia nel passato che nel presente, è lei a determinare la maggior parte delle situazioni cruciali dello show: dall’avvelenamento da funghi allucinogeni all’occultamento del cadavere di Adam. Quale sia il suo piano rimane ancora un mistero, ma di certo c’è Misty dietro gran parte di ciò che di terribile accade nel 1996. D’altronde, l’ultima scena la vede al fianco di Van, che a suo dire ha ricevuto una sorta di illuminazione divina, e di Lottie, auto elettasi sciamana del gruppo. Lottie Matthews è un personaggio che rimane in disparte per quasi tutto lo show, di lei viene detto solo che sin da piccola ha sempre avuto delle visioni e che la sua famiglia è estremamente ricca. Allo stesso tempo, però, è evidente come se una qualche forza sovrannaturale esiste in Yellowjackets, questa ha trovato il Lottie la sua messia.
Nel finale di stagione di Yellowjackets, scopriamo che oltre a Shauna, Nat, Taissa e Misty, anche Lottie è sopravvissuta ed è tornata indietro.
Cosa le è accaduto esattamente? Le visioni di Lottie sono l’unico vero elemento sovrannaturale dello show, il che ci porta a riconsiderare completamente il suo personaggio. Possiamo dedurre che il suo ruolo sia molto più grande di quello che ci ha stato detto finora, che al suo ritorno possa aver creato una setta e che non sia rimasta in alcun rapporto con le altre sopravvissute ma vogliamo saperne decisamente di più.
Tutti i personaggi dello show risultano ben costruiti, anche se esistono alcune contraddizioni tra le versioni giovane e adulte. Se la figura di Misty si rivela essere quella complessivamente meglio delineata, quella di Shauna (Melanie Lynskey) purtroppo finisce per spegnersi con il passare delle puntate. La vicenda di Adam è gestita in maniera troppo frettolosa e schizofrenica, il personaggio stesso di Shauna risulta eccessivamente altalenante senza un motivo. Siamo sicuramente all’inizio, è necessario approfondire, modellare e costruire la struttura di una casa che parte da ottime fondamenta.
La prima stagione di Yellowjackets ha appena grattato la superficie, stuzzicandoci con uno show ricco di colpi di scena, segreti da rivelare e vite da distruggere. Se il passato ci lascia con domande di carattere sovrannaturale e una leggera influenza di folklore nordico, il presente si prepara a fare i conti con problemi di carattere pratico, dall’omicidio di Adam al rapimento di Natalie. In tutto questo, la morte di Jackie (Ella Purnell) nel finale di stagione ci sembra di una crudezza così inverosimile da essere plausibile perché, forse, è proprio questo l’avvertimento della serie tv: non abbiamo idea di cosa aspettarci.