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Taylor Sheridan trasforma in oro tutto quello che tocca

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Probabilmente i produttori di cinema e di serie tv, in particolar modo quelli della Paramount, vedono in Taylor Sheridan la gallina dalle uova d’oro. E non intendono lasciarselo scappare. La critica lo definirebbe un Re Mida. I fan delle sue opere si limitano a ringraziare le giuste divinità per averlo sulla Terra, a dispensare la sua creatività, augurandogli lunga vita e prosperità. Perché tutto quello che tocca si trasforma in oro.
Taylor Sheridan, pur conscio dell’enorme successo derivato dalle sue creazioni, appena può raggiunge il suo ranch, in Texas, si infila gli stivali e calza il suo cappello da cowboy e osserva. Osserva quel mondo fatto di pochi alberi, molti cespugli, armadilli e insetti. Mosche fastidiose e polvere soffocante. E pascoli che si perdono a vista d’occhio, verso l’orizzonte infuocato dal sole. Un mondo che conosce fin da bambino e che ama più di ogni altra cosa. L’unico posto dove si sente veramente a casa e dove la sua vena creativa si ricarica, pronta per esser sfogata sulla tastiera di un pc.

La biografia di Taylor Sheridan è interessante ma soprattutto importante perché da essa, l’attore, regista e sceneggiatore, prende continuamente spunto. Yellowstone, per esempio, la serie di grande successo, già iconica, che racconta l’epopea del più grande ranch del Montana, con protagonista Kevin Costner, nasce proprio da una vicenda famigliare, la vendita del ranch della famiglia materna. Una vicenda drammatica che, a detta dello sceneggiatore, lo ha segnato profondamente e che ha cercato di esorcizzare proprio nella creazione del neo western televisivo. Non solo: il personaggio interpretato da Jeff Bridges in Hell or High Water, film che a Sheridan è valsa la candidatura all’Oscar per la miglior sceneggiatura, è basato su un suo zio, US Marshall in pensione e poi eletto sceriffo in una contea dei Texas.
Per avere una buona sceneggiatura si deve sempre partire da quello che si conosce“, è la ricetta vincente di Taylor Sheridan. “Io sono molto autobiografico in questo. Certo, poi le idee vanno sviluppate perché al pubblico non interessa la mia vita noiosa. È così che lavoro, partendo da me stesso, dai miei ricordi, e ci lavoro sopra“.

Taylor Sheridan
Taylor Sheridan 640×360

In realtà la carriera del texano dagli occhi di ghiaccio e la mascella squadrata inizia come attore. Qualche particina qua e là nei soliti telefilm a episodi, fino ad avere il ruolo di Danny Boyd in Veronica Mars, tra il 2005 e il 2007. Poi tra il 2008 e il 2010 è David Hale nella meravigliosa e iconica Sons of Anarchy. La sua esperienza di attore, in particolar modo sul set di SOA è fondamentale per arrivare a quella di sceneggiatore: “ho letto così tante, brutte sceneggiature che sapevo quello che non andava scritto“. Al di là delle battute durante le riprese di Sons of Anarchy Sheridan ha proposto la sua visione del personaggio agli autori i quali hanno risposto positivamente all’idea che è stata poi inserita nella storia. La possibilità di inserire una propria idea e vederla sviluppata ha incuriosito Taylor Sheridan che ha potuto così studiare gli ingranaggi, il dietro le quinte di uno spettacolo televisivo direttamente dal vivo. E qualche anno dopo, nel 2015, ha prodotto la sceneggiatura di Sicario, il thriller drammatico diretto da Denis Villeneuve con protagonisti Emily Blunt, Josh Brolin e Benicio Del Toro. Un esordio col botto considerato che il film è stato candidato a tre Oscar, un BAFTA, un Golden Globe ed è rientrato nella cinquina di film per la Palma d’Oro a Cannes.
Dopo Sicario Sheridan ha scritto Hell or High Water (2016), I segreti di Wind River (2017) e Soldado (2018), seguito di Sicario, questa volta per la regia di Stefano Sollima. Quattro film molto intensi che hanno permesso allo sceneggiatore di raccontare storie fuori dall’ordinario dove buoni e cattivi si mescolano tra loro lasciando in sospeso il giudizio dello spettatore.

Terminato il lavoro con Soldado lo sceneggiatore ha sentito la necessità di raccontare qualcosa di diverso. Di suo, personale. E così è nata Yellowstone, una seria nella quale Taylor Sheridan ha potuto raccontare se stesso, le sue passioni, l’amore per la vita dei cowboy (in merito ha creato un reality show dal titolo The Last Cowboy) e per il suo ranch. Sentimenti che si notano benissimo nella sceneggiatura, ricca di personaggi ben descritti e ben caratterizzati per uno spettacolo senza tempo che esplora temi sempre attuali. Yellowstone è storia incredibile che si tuffa nelle affascinanti tensioni e rivalità della moderna frontiera americana e tra l’altro, è stata la prima serie prodotta dal neonato canale Paramount Network. Una scelta vincente effettuata da Keith Cox, allora direttore di rete: “ero ossessionato da Taylor Sheridan. I suoi primi film sono tra i miei preferiti. Ho fatto di tutto perché entrasse a far parte della nostra grande famiglia“. Una stima reciproca che ha fruttato alla serie un Golden Globe a Kevin Costner come miglior attore protagonista e una nomination nel 2022 agli Screen Actors Guild Awards nella categoria miglior cast per una serie drammatica.

Taylor Sheridan
Taylor Sheridan 640×360

Definito dagli addetti ai lavori come un creativo visionario il cui lavoro ha reinventato i generi il golden boy della sceneggiatura ha la peculiarità di lavorare su più fronti, contemporaneamente. Durante la prima fase della pandemia COVID19 Taylor Sheridan è riuscito a produrre i soggetti e le sceneggiature di ben nove show televisivi, tutti targati Paramount+. Alcuni dei quali già in onda, come 1883 e 1923, due prequel di Yellowstone; oppure Mayor of Kingstown con Jeremy Renner; o ancora Tulsa King, con Sylvester Stallone qui alla sua prima partecipazione da protagonista in una serie televisiva. Altre, invece, che vedranno la luce nei prossimi anni alcune delle quali ancora dedicate all’universo di Yellowstone e i cowboy in generale.
Un ritmo frenetico, insostenibile che lo hanno portato ad affidare certi progetti, come Tulsa King, ad altri showrunner (Terence Winter, che da poco si è licenziato per divergenze di opinione). È lo stesso Sheridan ad ammetterlo: “non potrei certamente lavorare con questa costanza per tutta la vita. Ma ora che i ritmi sono diminuiti a causa della pandemia e sto più a casa ho deciso di portarmi avanti con il lavoro“. Un lavoro sempre eccezionale, di altissima qualità che lo hanno incoronato tra i Re della sceneggiatura. E non importa che le sue storie abbiano dei buchi di trama grandi come quelli presenti in una forma di Emmental. Le storie reggono alla perfezione perché sostenute da personaggi meravigliosi, eroi difficili, sporchi, maledetti, che tanto piacciono al pubblico stufo di vedere il buono e il cattivo divisi da barriere invisibili.
Dalle serie di Sheridan, infatti, si intuisce bene cosa gli interessi: rendere i suoi personaggi credibili, veri, reali. La trama, solitamente, è poco complessa o comunque non ha quegli intrecci difficili da seguire. I personaggi, invece, sono epici, complessi, ricchi di sfumature. In particolar modo quelli femminili, così realistici e articolati, interpretati, solitamente, da grandi attrici che si sono sempre trovate bene in quei panni ritenendoli addirittura i ruoli più complessi finora affrontati.

A poco più di cinquant’anni Taylor Sheridan è considerato uno degli sceneggiatori più importanti e influenti dell’universo televisivo e cinematografico americano. Intenzionato a ritirarsi nel breve tempo ha dovuto rimandare il suo sogno di darsi all’allevamento (sono suoi i cavalli che compaiono in Yellowstone) per motivi finanziari. L’acquisto del suo ranch, infatti, lo “costringe” continuare a lavorare per ancora qualche tempo. Non che la cosa ci dispiaccia, detto sinceramente. Se la qualità della sua scrittura resterà tale e la vena creativa non si esaurirà possiamo stare certi che ne vedremo ancora delle belle.
Intanto, lo sceneggiatore sta affinando l’arte della regia. Dopo aver diretto tre film (Vile, I segreti di Wind River e Quelli che mi vogliono morto) si è dedicato a diverse puntate delle serie da lui ideate e scritte. La regia è la logica conseguenza del suo lavoro, iniziato da attore e proseguito come sceneggiatore anche se non sembra attirarlo particolarmente.

In un mondo dove tutti sognano di fare i cowboy occorre che qualcuno racconti il più realisticamente possibile com’è questa vita. E chi meglio di un vero cowboy può farlo? Chi meglio di lui può raccontare, attraverso il tempo, le origini e l’evoluzione del suo stesso paese? Taylor Sheridan è qui per questo. Per raccontare storie diverse che viaggiano verso orizzonti infuocati dal sole. Storie che sorpassino i soliti cliché senza perdere, però, in poesia. Che raccontino l’ambiguità di un paese, quello statunitense, non esente da critiche. In perenne lotta tra il desiderio di scrivere e quello di cavalcare è chiaro che l’attore, sceneggiatore e regista, ha ancora molte cose da narrare (anche perché la Paramount continua a rinnovargli il contratto per tenerselo stretto visti i risultati strepitosi). Ma l’equilibrio sul quale cammina è costantemente precario e pende un po’ di qua, verso la scrittura, un po’ di là, verso la cavalcatura. Un po’ come i suoi personaggi, del resto, che si ritrovano sovente sul filo del rasoio a dover scegliere, sempre, tra il male minore.