Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul nono e il decimo episodio di Yellowstone.
Il cowboy è andato via. All’improvviso, anche se questo sembrava esser stato il suo destino fin dall’inizio. Le avvisaglie, d’altronde, non erano mai mancate. Come avevamo evidenziato nelle precedenti recensioni di Yellowstone 5, un alone mortifero aleggiava da sempre intorno alla sua figura. Una figura sfumata tra la scomposizione di un soggetto immerso in un tempo non suo e la strenua resistenza al mondo che si dirige in un’altra direzione. Non è mai stato il mondo di John Dutton, questo. L’ha fatto suo all’interno di una disperata e feconda trincea, plasmando a sua immagine e somiglianza un fortino destinato a cadere, ma era una lotta impari tra la natura e l’irriverenza della contemporaneità. Le lancette non hanno mai smesso di scorrere dentro un orologio impazzito.
Ora, però, è il momento dell’addio. Dell’addio a un personaggio iconico, e a una scala di valori nel suo complesso. John Dutton era, in tal senso, un monolite. L’ultimo argine, lo spartiacque tra tutto quello che c’era stato prima e tutto quello che sarà. La narrativa si confonde così con la cronaca. La fantasia con la realtà. Yellowstone, nella stagione 5 come non mai, con tutto quello che sta fuori e finisce per invadere gli spazi vitali della poetica di Sheridan. Kevin Costner è andato via e John Dutton è morto, lasciando alle sue spalle un’eredità che nessuno avrà mai la forza di raccogliere.
Yellowstone 5 – La scelta (in)evitabile di Taylor Sheridan
A chi ha l’onore e l’onere di recensire gli ultimi episodi di Yellowstone 5, ora disponibili anche in Italia su Sky e Now, non resta allora che affrontare il doppio binario. Sì, la fantasia. Ma anche la realtà. Sfuggire alla tentazione di immergersi ancora nel crudo lirismo del racconto senza considerare il resto, come fatto in precedenza. E viverlo con la prospettiva di chi è consapevole del fatto che Yellowstone 5 sia diventata altro, dopo le complesse questioni degli ultimi mesi. In meglio o in peggio? È e sarà il pubblico a deciderlo, ma quello che resta è una delle migliori serie tv dell’ultimo decennio, ormai arrivata a un passo dal traguardo attraverso scelte più o meno obbligate. Yellowstone merita una chiusura all’altezza, e dovrà essere Sheridan a incidere con le potenzialità (ancora) a disposizione.
Si arriva, così, alla domanda delle domande: è stato giusto uccidere John Dutton?
Qui ci sono pochi dubbi: sarebbe stato pressoché impossibile immaginare uno scenario alternativo. Come dicevamo in apertura, d’altronde, il personaggio sembrava esser destinato a questo fin dall’inizio di Yellowstone 5. E non solo: fin dal pilot e persino da quello che abbiamo scoperto dei Dutton all’interno dei bellissimi prequel (1883, in particolare), la tappa conclusiva verso la “stazione” era sempre sembrata lo sbocco più naturale della straordinaria saga. Questo è un mondo che John Dutton rinnega e dal quale è rinnegato: un alieno, fossilizzato in un’era al tramonto. Con ogni probabilità, l’addio di Kevin Costner ha solo anticipato quello che avremmo comunque visto alla fine di Yellowstone 5 o nelle (eventuali) stagioni successive, ma le modalità fanno comunque malissimo. E lasciano più di un rimpianto.
La scelta di Sheridan è stata chiarissima, in tal senso. Piegare le logiche temporali alle esigenze di un racconto che non poteva non fare i conti con l’elefante nella stanza, uccidere Dutton fin dal primo istante del nuovo (e ultimo) ciclo di episodi e poi dare un senso allegorico alla sua morte attraverso una prospettiva che guarda subito avanti senza specchiarsi oltremisura. Con lui non se ne va solo un personaggio: se ne va un intero sistema di valori.
Come evidenzia lo stesso Rip, l’uomo che più di ogni altro avrebbe potuto raccogliere la sua eredità, tanti hanno provato a essere John Dutton ma nessuno c’è riuscito.
Con lui se ne vanno i cowboy, messi alla porta da logiche insostenibili che allungano le mani su un paradiso naturale da avvelenare. Un prima e un dopo. La morte di Dutton è l‘imponente preambolo del nono episodio, andato in onda a distanza di quasi due anni dall’ottavo, e scinde il tempo. Da qui, la scelta di dissezionare gli archi narrativi in due parti: quello che succede dopo la dipartita del cowboy, e quello che era successo in precedenza. Se da un lato si perde così la ferrea linearità che aveva caratterizzato Yellowstone 5 in precedenza (anche quando aveva fatto ricorso a flashback più che funzionali) dall’altra si rende plasticamente l’idea di cosa significa davvero perdere un personaggio del genere in un momento del genere.
Ne deriva una narrazione che genera disorientamento e allo stesso tempo restituisce il corpo emotivo della sua scomparsa. Sfuggendo a logiche didascaliche che mai hanno caratterizzato la serie, il commiato al protagonista è piuttosto silenzioso, relegato a poche parole significative e riflesso soprattutto nelle conseguenze. Nel momento in cui la stella cometa sparisce dall’orizzonte, i figli hanno uno spazio ancora maggiore per emergere nella loro essenza.
Yellowstone 5 – Le reazioni inevitabili
La morte di John Dutton, tuttavia, non riscrive i pattern. Yellowstone 5 non evita l’argomento (sarebbe stato impossibile immaginare il contrario), ma parallelamente va per la sua strada. Si prova così un particolare senso di straniamento nello stacco brutale che accompagna il pubblico dalla morte di John Dutton, inscenata come se si fosse tolto la vita (francamente poco credibile per chiunque, dentro Yellowstone e fuori) al resto del nono episodio. La sigla inframezza così un passaggio indispensabile e il ritorno alla “normalità” della serie. Il fantasma di John è onnipresente, ma allo stesso tempo Sheridan non perde tempo nel riconsegnare agli spettatori i riferimenti abituali. Non c’è niente di sorprendente nelle reazioni dei figli e delle persone che aleggiavano intorno al personaggio di Kevin Costner, e va bene così: c’è una spiccata coerenza nelle scelte fatte.
Beth, ovviamente, è un fiume in piena. La sua forza caotica si riflette nella passionalità con cui si stringe al suo Rip, prima, e poi con la vis impetuosa con la quale si scaglia ancora una volta contro l’odiato Jamie, ritenuto da subito l’unico vero responsabile della morte del padre. Il nono episodio di Yellowstone non nasconde a lungo la realtà dei fatti: è realmente Jamie il colpevole. Come sempre, però, è spettatore passivo della sua tragedia. La volontà del carnefice si scontra con le sue insanabili fragilità, portandolo a ordinare un omicidio che non ha mai ordinato davvero. C’è un sentimento sincero, nel suo struggente accartocciamento in un dolore infinito. Nudo ai nostri occhi, è impotente anche nel momento in cui gli eventi gli hanno consegnato le chiavi di uno scettro effimero.
Inevitabili anche le reazioni di Rip, il cowboy silenzioso che sfugge all’idea di poter raccogliere il testimone di quello che è stato a tutti gli effetti un padre adottivo, e di Kayce.
In questo caso, tuttavia, le evoluzioni potrebbero essere più significative. Dopo aver cercato la sua strada per una vita intera, spingendosi oltre i confini della realtà paterna con una forza centrifuga mai espressa fino in fondo, è ora costretto a recitare una parte diversa. Più centrale e importante, se non addirittura decisiva. E sarà interessante, a questo punto, vedere cosa succederà. Quel che resta, tuttavia, è una consapevolezza: gli orfani saranno ancora attratti dal centro di gravità del ranch, che lo vogliano o no. L’eredità di John, allora, ritrova così il suo risvolto più tragico: la solidità della casa si converte nella monumentale staticità di una prigione, ora come non mai. La natura immacolata è, in fondo, lo specchio deformato di una storia scritta al di là degli impulsi delle soggettività.
Yellowstone non finirà con Yellowstone 5
Permane, in ogni caso, una certezza: un’era si sta chiudendo. Da una parte c’era la volontà inscalfibile di John Dutton, destinato a piegare lo scorrere del tempo alla volontà del mondo da lui incarnato, dall’altra un tempo che sembra voler suggerire la continuità attraverso l’adattamento. La realtà, parallelamente, si immerge ancora nel lirismo attraverso la figura di Billy Klapper: l’uomo, presente nel nono episodio, ha prestato la sua figura da leggendario fabbricante di speroni ed è poi morto prima che l’episodio andasse in onda. Da qui l’emozionante tributo al termine della puntata e l’idea – stavolta involontaria – che questa storia si stia concludendo ben oltre i confini della fantasia.
Tra il tempo sospeso del Montana e quello del Texas, si crea un ponte che riconduce nella direzione opposta ai fasti della saga di 1883 e a un percorso che riporta a casa chi, quella terra lontana, non l’aveva mai conosciuta.
L’eredità dei Dutton trova così una nuova espressione: il viaggio alla ricerca della fortuna si traduce in un viaggio per la sopravvivenza, stabilendo nuovi riferimenti in una terra impervia. Non ospitale, ma fertile. “Indifferente”, e per questo ricca di opportunità per i più audaci. L’unico terreno ancora possibile per i cowboy, e per un racconto che si sta concludendo ma potrebbe trovare presto una nuova chiave di sviluppo. Ponti, si diceva. Come Summer, l’anello di congiunzione tra le esigenze della contemporaneità e la dura testimonianza di John.
Ponti, come Rip e i discepoli dell’uomo, fermi e in movimento. Tra un passato perduto, un presente confuso e un futuro ancora da scrivere. Perché no, anche coi numerosi prodotti derivati che spingeranno la narrazione di Yellowstone oltre i confini della stagione 5, rinnovando l’impegno di Sheridan nel farsi portavoce di una storia che ha sempre qualcosa da dire. Ma non è ancora arrivato il momento di parlarne. Il tramonto ha coperto ogni spazio dell’orizzonte, mentre la notte si paleserà tra alcune settimane.
Sì: John Dutton è morto, ma solo fino a un certo punto.
Antonio Casu