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Black Mirror e la democrazia dell’apparenza

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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 3×01, la 3×03 e la 3×06 di Black Mirror.

Niente come il surrealismo è efficace nell’affrontare in termini realistici il mondo che ci circonda. La storia letteraria inglese del Novecento l’ha dimostrato con forza, e Black Mirror continua ai giorni nostri sulla stessa falsariga. Un tempo c’erano George Orwell e Aldous Huxley, ora c’è Charlie Brooker. Visionari che rasentano la follia, all’apparenza. Lucidi tessitori di un futuro che si interseca col presente, in realtà.

La terza stagione di Black Mirror ha portato avanti un percorso avviato fin dal pilot, facendo del paradosso la più grande delle verità. È successo con la 3×01, la 3×02, la 3×03 e la 3×06, meno con la monumentale San Junipero e l’intrigante Men Against Fire, maggiormente avveniristiche. In particolare il primo, il terzo e il sesto episodio della prima stagione prodotta da Netflix hanno dato vita ad un’unica narrazione, pur mantenendo l’abituale natura antologica. Se i tre episodi citati avessero avuto un solo titolo, “La democrazia dell’apparenza” sarebbe stata la scelta ideale. Perché? Per giustificare il concetto, è necessario fare un ragionamento sui social network e l’evoluzione che sta caratterizzando la gestione delle nostre vite private.

La gogna mediatica ed una “nobiltà” da acquisire 

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State attenti agli hashtag che utilizzate. A prescindere dall’esistenza delle api assassine

Prima di essere fruitori su scala globale dei social network, siamo banalmente degli animali sociali. È nella nostra natura, oggi come agli albori. Nell’interfacciarci con gli altri, apparire più forti agli occhi del prossimo è ancora più importante dell’esserlo realmente. È questo, in fondo, a distinguerci da buona parte degli altri animali. Se si parte da un presupposto del genere, i social network non sono solo la causa che ha portato ad alcune dinamiche evidenziate da Giuseppina Cataldo in un bel focus di qualche settimana fa dedicato alla terza stagione di Black Mirror, ma anche la conseguenza di un meccanismo che prescinde dai tempi che stiamo vivendo.

Un tempo, questa necessità era legata principalmente ai ceti più alti. Uno status da mantenere, come nel caso dei Windsor di The Crown. Oppure da acquisire, come hanno dovuto fare i Medici borghesi raccontati recentemente dalla serie tv prodotta dalla Rai.  Essere “nobili” nel senso più superficiale del termine associa l’uomo a Dio, ma un tempo questo discorso non valeva per tutti. Ora, invece, sì. Anche se l’unico Dio che ci interessa oggi è l’uomo stesso in una forma sempre più distorta. Uno stereotipo, un modello da inseguire a prescindere da quel che siamo realmente. L’apparenza, oggi, è un bene comune. Se non ci si adatta, ci si sottopone ad una gogna mediatica durissima che può portare alle conseguenze evidenziate nella 3×06 di Black Mirror, oppure alla distruzione totale della nostra essenza, come ci ha mostrato la 3×01. L’esercizio dell’individualità costituisce un’eccezione che può trasformarsi in modello, talvolta. Oppure in uno schema umano da mettere in un angolo, se non si è accettati dal branco per motivi più o meno validi. Siamo diventati “nobili”, soprattutto quando c’è in gioco il fondoschiena di un altro.

I social network non hanno trasformato gli uomini: si sono limitati ad offrire un palcoscenico nel quale l’assurdo è diventato norma. La “nobiltà” da acquisire nel nuovo millennio è una sovraesposizione della felicità, una perfezione fittizia da esibire continuamente. Oppure una celata malinconia da mostrare nel momento in cui è condivisibile da una cerchia, specie il lunedì mattina. Siamo nati per comunicare con un mondo, ma stiamo dimenticando di parlare prima di tutto con noi stessi.

Il Grande Fratello ci guarda

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Black Mirror come 1984. Brooker come Orwell

Se la prospettiva mostrata non ritenete sia sufficientemente apocalittica, prendete in esame per un attimo la 3×03 del capolavoro di Charlie Brooker. Alla faccia di chi dava del pazzo a George Orwell, non possiamo più sottrarci alle leggi spietate dei social network. Anche quando pensiamo di essere soli. Allontanarvi da Facebook, Instagram, Snapchat o Twitter non vi salverà: la vita privata non è più tale. Ogni volta che accendiamo un computer o cerchiamo qualcosa con uno smartphone, il Grande Fratello ci guarda. Ci indica cosa ci piace e cosa no e ci dice cosa fare, seppure non ci abbia ancora costretto a rapinare una banca o uccidere un’altra persona.

La democrazia dell’apparenza è in essere anche quando siamo convinti di non avere un pubblico che ci giudica. A differenza del primo caso, il ceto “nobile” che ci valuta non ha un nome né un volto, e questo lo rende ancora più pericoloso. Dobbiamo stare attenti a cosa cerchiamo su Google. Dobbiamo plasmare i nostri gusti a seconda delle esigenze del mondo che ci circonda, perché il pericolo è sempre dietro l’angolo. Essere qualcuno o meno non conta: tutti siamo in ballo. Qualcuno è in grado di capire chi siamo a prescindere da chi affermiamo pubblicamente di essere: basta un algoritmo. Oppure hackerare un pc o uno smartphone, scrigni privati che potrebbero schiudersi da un momento all’altro manco fossero il vaso di Pandora.

Il surrealismo di un mondo governato dagli apprezzamenti sui social o di un Grande Fratello che invade ogni vita con la forza di un tornado apre i nostri occhi, lanciando un monito che probabilmente resterà inascoltato: Black Mirror esaspera per raccontare, l’invenzione è realtà. Un po’ come faceva George Orwell. Oppure Aldous Huxley. Quei due avrebbero amato Charlie Brooker, c’è da starne certi.

Antonio Casu 

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