Quando si tira in causa The OA, le reazioni possibili possono essere suddivise in 4 gruppi:
- Bellissima.
- Una noia mortale.
- Non ci ho capito niente. Mi sento confuso (e anche un po’ tradito).
- Bellissima (anche se non ci ho capito niente).
Tendenzialmente, il parere generico negativo tende a includere una condanna di fallimento; quello generico positivo vuole acclamare un capolavoro.
Noi abbiamo deciso di farvi arrabbiare tutti con la dichiarazione seguente: The OA aveva diverse carte in regola per essere un capolavoro, ma non ce l’ha fatta.
Si parla spesso di The OA in riferimento quasi esclusivo allo stato confusionale a cui questa Serie sembra tanto indurre. Adesso vogliamo offrirvi una prospettiva diversa, in modo che questa caratteristica non diventi stigmatizzante.
Che in The OA si respiri costantemente un’aria di dubbio e di stranezza è innegabile. Ciò che conta ai fini dell’analisi della Serie è se il mistero, le ambiguità, il carattere evanescente che la costituiscono sono funzionali o meno.
Se trovate godibili solo opere che si spieghino davanti a voi nella loro interezza, senza alcun punto lasciato in sospeso, The OA certamente non è una Serie che fa per voi. La vera cattiva notizia è che a tener compagnia a The OA ci saranno altre tantissime opere di varia natura e di grandissimo valore.
The OA sa rendersi sicuramente godibile se si accetta il curioso universo che vuole proporci. La confusione sa trasformarsi in magia, in incanto. Come ha dimostrato anche una collega in un articolo sulle 5 reazioni graduali al primo episodio di The OA, è facile che se il primo episodio vi ha affascinato, sarete in grado di seguire questa Serie.
The OA confonderà diverse volte lo spettatore, ma il più delle volte questa confusione sembra piuttosto intenzionale.
Come il gruppo di cinque persone in cerca di altro siede davanti a Prairie/the OA, lo spettatore siede comodamente davanti a The OA per ricevere una storia.
Abbiamo quindi da un lato la narrazione della Serie in sé, con i suoi misteri, i suoi personaggi da scoprire, i suoi punti da collegare. Dall’altra, la narrazione solo apparentemente lineare di Prairie. In questa seconda storia, lo spettatore è posizionato passivamente rispetto alla narrazione. Quando The OA cambia le carte in regola imponendo una scelta tanto sui suoi personaggi quanto sullo spettatore, la scelta sull’approccio e la validità del racconto diventa determinante per il finale della Serie. Spesso anche per la sua valutazione.
Ma, in una certa misura, non è importante quale sia il finale che scegliamo. La validità e il significato della storia di Prairie vanno anche al di là della veridicità o falsità della stessa.
Quello che conta in particolar modo è l’effetto della storia stessa. Il riconoscimento della capacità di raccontare e di lasciarsi trascinare dal racconto.
Che il racconto sia una dimensione centrale in The OA lo capiamo dalla fine del primo episodio. Se ci fossero stati dubbi, benché l’inizio misterioso sembra già predisporre a una narrazione molto intima e particolare, il passaggio alla storia di Prairie/Nina/The OA segna la conferma. Su un inaspettato sfondo gelido e grandioso, inquadrature improvvisamente molto più ampie accompagnano il titolo, incalzate da una musica maestosa.
Il distacco dalla sterile realtà della cittadina “reale” è palpabile. The OA ci sorprende improvvisamente con una strana sensazione: che il respiro del racconto è più ampio di quello della vita stessa. E quello che The OA sembra volerci dire alla fine è anche quanto il racconto sia esso stesso origine di vita.
The OA è uno splendido invito al sogno. E uno splendido invito al racconto. Soprattutto al racconto di noi stessi come ponte verso l’altro. Come via d’uscita dall’isolamento nel sé.
La Serie è per certi versi riassumibile come la storia di un personaggio-guru che ritorna in un paesino dove trionfa l’indifferenza. Un paesino ricco di silenzi dolorosi. Un paesino pieno di persone in gabbia. E cinque di queste persone si faranno convincere a lasciarsi la porta aperta alle spalle per passare le notti a sentire un racconto.
I personaggi di The OA sono incapaci di comunicare effettivamente fra loro. È un problema sempre attuale, e anche molto moderno. Le incomprensioni che imprigionano i personaggi si basano largamente sui loro silenzi. Sul rifiuto di raccontarsi.
La storia di Prairie stessa apre una nuova dimensione per i suoi personaggi. Una nuova vita.
Il racconto di Prairie diventa un momento centrale di condivisione e di apertura verso l’altro. La natura del racconto, che sfida la concezione tradizionale della morte, apre una porta di speranza nella cella della soggettività chiusa in se stessa. I personaggi devono acquisire la capacita di raccontarsi. Quanto il racconto sia comprovabile dal concreto non è nell’interesse della Serie.
The OA non è intenzionata a portare a termine un’indagine.
E probabilmente uno dei momenti culminanti e più commoventi della Serie è quando Prairie decide di raccontare (e raccontarsi) ai suoi genitori.
Non sappiamo se la sua storia coincide con quella che ci è stata raccontata. Forse neanche conta. Quello che conta è il superamento del terrore che l’apertura verso l’altro possa causarci dolore.
Uno dei rapporti che meritava di essere esplorato più a fondo è forse proprio quello fra Prairie e sua madre. È a lei che Prairie ammette di non poter raccontare nulla per il dolore che ne deriverebbe. Poco dopo sceglierà di raccontarsi a cinque sconosciuti, che siano “forti, e flessibili, e coraggiosi”. Certo, non in senso fisico.E The OA è un po’ proprio questo: una storia di forza, flessibilità e coraggio.
La Serie ha un impatto narrativo a volte travolgente, sicuramente commovente. Anche quando non ci è chiaro il perché, The OA è un prodotto che sa follemente incantare chi voglia seguirlo (come testimonia una collega in un bellissimo articolo).
The OA si lascia percepire a tratti come una poesia. L’invito è un po’ proprio di evitare di sforzarci di abbattere la confusione e di lasciarci trascinare dalla magia di ciò che è inspiegabile, ma in qualche modo intuibile.
The OA spazia fra silenzi cosmici e interpersonali e le magiche note del violino che l’accompagna. La rabbia che contiene non si esprime attraverso grandi scene d’azione, esplosioni. Gli atti di violenza che vediamo compiere da Steve, ad esempio, sono sempre veri, agghiaccianti, palpabili. E la violenza più grande in The OA è in larga parte il rifiuto dell’altro, l’isolamento, la chiusura nel silenzio. L’incapacità di raccontare.